Scuola specializzazione Psicoterapia: Le vacanze e il riposo.

Luciano Rispoli, 1991. 

Andare in vacanza: discrepanza tra immaginario e realtà, nell’eterna falsa antitesi tra fare e riposarsi, e soprattutto nell’imperativo categorico del riposarsi e divertirsi ora o mai più.


Si ripete il solito rito, quando arriva l’estate: andare in vacanza. Ma insieme ad un turbinio di bagagli, file, soldi, autostrade, sole, c’è sempre al fondo un dramma che sembra “avvelenare” il nostro relax. Siamo convinti, infatti, che questo sia il solo momento concesso per rigenerarci; dobbiamo assolutamente approfittarne per recuperare le fatiche del lavoro, le tossine accumulate, la stanchezza dei ritmi soliti. Altrimenti ci toccherebbe ricominciare un nuovo anno senza aver potuto approfittare della benefica pausa estiva.

E’ questo imperativo categorico a innervosirci, rendendoci insofferenti alle difficoltà  delle vacanze. Vacanze: vacatio dei latini, sospensione dell’agire e del fare. Ma riusciamo veramente a sospendere il nostro agire?

Vediamo quali sono gli stereotipi con cui viene alimentato l’immaginario delle vacanze: “stare in panciolle”, “sdraiarsi come lucertole al sole”, “un dolce far niente”, “immergersi nella natura”, “godersi un buon libro e una bibita ghiacciata”, “il dondolìo dell’amaca e una dolce fresca brezza”. Sono espressioni in cui l’azione è sospesa o ridotta, in cui il piacere è più di tipo ricettivo-passivo che attivo. Sappiamo che la realtà è invece un’altra: prenotazioni, treni e aerei, chiedere, guidare l’auto, spostarsi, decidere, decidere, decidere.

Il nocciolo del problema profondo è qua: nella discrepanza tra immaginario e realtà, nell’eterna falsa antitesi tra fare e riposarsi, e soprattutto nell’imperativo categorico del riposarsi e divertirsi ora o mai più.

Questa sottile inquietudine, di non sciupare il momento, la ritroviamo anche nella vita di ogni giorno, e si chiama: cogliere l’occasione. Possiamo pensare a una serata inaspettatamente libera -“Se solo l’avessi saputo prima!”- mentre incalza l’ansia di cosa fare, a chi telefonare. Oppure può essere una persona che abbiamo da tempo desiderato e che improvvisamente riappare nella nostra vita. O una ragazza che abbiamo avuto la fortuna d’incontrare e che poi andrà per la sua strada -“Forse dovrei seguirla, dovunque vada!”-. O ancora, quel colloquio, quella persona, possono dare una spinta decisiva nel lavoro, raggiungere risultati insperati. “L’occasione della mia vita!”

E’ la filosofia degli esami da superare, che il grande Eduardo richiamava nel suo teatro così fortemente psicologico. Non solo gli esami non finiscono mai, ma devono andar bene alla prima prova, perchè un’altra non si sa se vi sarà poi data. La verità è che, con un migliore contatto con noi stessi e attraverso energie non condizionate, le occasioni ce le possiamo creare e ricreare quando vogliamo. E non solo l’occasione di un fortunato evento, ma anche di una piacevole vacanza.

Dobbiamo riuscire, durante la vita di ogni giorno, a ritrovare mille occasioni in cui “andiamo in vacanza”, in cui allentiamo il controllo e le tensioni eccessive, alternativamente agendo attivamente e “lasciando”.

Non si tratta tanto di trovare il tempo per un sonnellino in più, né solo di aprire delle parentesi separate nella nostra vita quotidiana. Si tratta soprattutto di svolgere le nostre attività diversamente, senza ansia, senza una concentrazione dura, ossessiva e stressante.

Sia le vacanze che il lavoro potranno allora diventare, ciascuno certo con le proprie caratteristiche ed entro certi limiti, un fare “morbido”, un agire con un’attenzione “dolce”, e perciò piacevole e riposante. La capacità di fermarsi del tutto, l’ozio totale, saranno a questo punto un lusso in più, obbiettivi non indispensabili, che comunque potranno essere raggiunti in un secondo momento, e che perciò possiamo lasciare ad irriducibili cultori.