Scuola psicoterapia: Studio e Verifica del processo terapeutico.

Luciano Rispoli, , Torino, 1995.

Il problema della verifica degli effetti in psicoterapia (o dei risultati), per quanto complesso, si pone oggi all’attenzione dei ricercatori come un elemento su cui va incentrandosi il dibattito sulla “scientificità” della terapia.


Introduzione

E’ oramai da tempo largamente condiviso il punto di vista che considera la relazione come concetto fondante ed oggetto principale della psicologia clinica. La relazione tra paziente e terapeuta, nell’insieme di elementi passati e presenti che la costituiscono, è infatti al tempo stesso sia il campo di indagine sia lo strumento attraverso cui avviene la conoscenza. Tutto ciò ha comportato notevoli difficoltà, non tanto nel generare ipotesi e teorie (e quindi relative tecniche di intervento), quanto nel momento di costruire uno statuto scientifico generale di tale disciplina, e in particolare nella possibilità di validare le teorie valutando gli effetti delle pratiche operative. Su queste difficoltà si sono originati controversi punti di vista e a volte notevoli confusioni, spesso sfociate in sterili contrapposizioni tra soggettivismo e oggettivismo, tra sperimentalisti e sostenitori del metodo clinico descrittivo.

Soggettività ed oggettività

Per studiare un’esperienza dal vivo (ovviamente unica ed irripetibile come la relazione terapeutica) non è scontato che si debba usare solo il “metodo storico”, di analisi cioè dell’accaduto svolta tutta all’interno della soggettività della singola vicenda terapeutica e del singolo operatore. L’oggetto della ricerca, il paziente e la sua relazione con il terapeuta, esistono anche al di fuori della soggettività dei due. Se è vero che i dati di quanto accade in terapia vanno strettamente legati al contesto della relazione (con le sue parti antiche e attuali), se è vero che la loro analisi deve essere condotta rispetto al significato che i dati assumono per terapeuta e paziente, questo non vuol dire che tale significato non possa essere colto e condiviso anche da un osservatore esterno.  Preoccuparsi, in psicologia clinica, del fatto che l’osservatore incida sulla realtà osservata è però fuorviante. L’effetto della presenza dell’osservatore-terapeuta non è infatti un “disturbo”, ma è esattamente quello che ci proponiamo di ottenere. Vogliamo far sì che la presenza e l’azione del terapeuta portino a dei cambiamenti: nella relazione e di conseguenza nella vita del paziente. Il problema allora si sposta nel cercare di capire (e di verificare) in che modo si producano e agiscano questi effetti, e se agiscono nella direzione desiderata. Da più parti si insiste sulla necessità di prendere in considerazione il problema della complessità in psicoterapia, e più in generale nelle scienze umane: alla conoscenza risulta indispensabile non solo la descrizione dell’oggetto ma anche la descrizione della descrizione, con una rivalutazione di categorie come “l’integrazione”, l'”articolazione” alla stessa stregua di altre come l'”opposizione” e la “distinzione” (Morin 1983). Il fatto di accettare la teoria della complessità non vuol dire però rinunciare all’indagine delle variabili in gioco e limitarsi a una visione puramente qualitativa e soggettivistica dei fenomeni. L’utilizzazione di metodologie sperimentali è auspicata da tempo da numerosi autori (Liotti 1986, Sanavio 1986). Ma questo, di contro, non significa dover ricorrere per forza all’esperimento classico da laboratorio, all’isolamento delle variabili; né è necessario far ricorso a metodi statistici di tipo probabilistico (Di Nuovo 1992). E’ possibile considerare “sperimentali” anche le condizioni in cui si svolgono i trattamenti terapeutici, e valutare la “grandezza dell’effetto” ottenuto, anche attraverso lo studio di pochi casi, se però sono ben definiti gli effetti attesi e l’opzione teorica cui si fa riferimento.

Siamo dunque in presenza di una possibilità di ricerca qualitativo-quantitativa, così come siamo in presenza di dati che sono sia soggettivi che oggettivi. Gli accadimenti soggettivi e irripetibili di una relazione terapeutica, il loro svilupparsi e modificarsi, si possono leggere anche attraverso dati oggettivi e condivisibili, non legati al solo mondo interno del terapeuta (o della coppia terapeuta-paziente) (Luborsky, 1992). Questione centrale diviene quella di individuare quali elementi, nei processi intersoggettivi, possano essere condiderati ripetibili, costanti e quindi comunicabili scientificamente. In ogni processo terapeutico esistono una serie di fenomeni (componenti dell’interazione nella sua globalità) che possono essere rilevati da chiunque sia lì ad osservare, o sia al posto del terapeuta.

Narrazione storica e narrazione scientifica

Potremmo allora arrivare a dire che l’irripetibile è sicuramente il tessuto di ogni vicenda relazionale, ma che in tutte le vicende esistono e si ritrovano elementi costanti. Questi elementi sono tanto più riconoscibili quanto più vengono tenuti in considerazione i vari “stadi” attraverso cui è scandita ogni vicenda relazionale, e sono tanto più marcati ed evidenti quanto più la psicoterapia procede verso gli obiettivi e le conclusioni previsti dal modello terapeutico. Sembra dunque possibile individuare due diversi piani. Il piano dell’unicità di ogni storia, di ogni paziente o gruppo, di ogni singola processualità di relazione, è quello nel quale si ritrovano le differenze delle esperienze di vita di ogni paziente, così come della formazione individuale di ogni terapeuta, e potrebbe essere definito il piano della narrazione storica. L’altro, nel quale andrebbero posti i criteri di verifica, è il piano della comunicabilità e della ripetibilità di fasi ed elementi costanti in ogni vicenda terapeutica: è il piano che potremmo chiamare della narrazione scientifica. Bisogna però precisare che la scientificità in psicoterapia non è da cogliere in rapporti stretti di causa-effetto: non si può collegare all’agire del terapeuta linearmente ciò che accade al paziente. Le leggi che pure è possibile individuare non traducono in equazioni esatte il comportamento di un soggetto in rapporto a movimenti, frasi, suoni, e gesti dell’altro, i quali nella loro infinita variabilità sono indubbiamente idiosincratici. La costanza è da ricercare piuttosto nelle fasi che scandiscono le vicende terapeutiche, sul piano delle condizioni generali che contraddistinguono e connotano la relazione in ciascun momento.

Fasi e regolarità in terapia

Uno studio sulle regolarità nella relazione clinica scopre momenti e sequenze che si ripetono costantemente in ogni iter terapeutico : un inizio caratterizzato da vissuti molto intensi; un tipico periodo di forte opposizione; una fase di profonda regressione; il ritorno di vecchi sintomi (infantili e adolescenziali); un trasformarsi del modo in cui si percepisce il terapeuta; una fase finale che caratterizza la separazione. Questi momenti, queste “fasi”, hanno necessità di essere sistematizzati in formulazioni di carattere generale, che risultino valide ad una verifica sistematica e continuativa. Occorre allora che siano posti nell’asse teoriamodello (Lo Verso 1989, Pinkus 1978), cioè che siano collocati all’interno di procedure metodologiche e teorie di riferimento chiaramente specificate per ogni singolo approccio. Da queste basi è possibile poi partire per ipotizzare criteri di valutazione e di verifica che si inscrivano nel “processo psicoterapeutico” più in generale, andando oltre il singolo particolare modello clinico. Una ipotesi siffatta non può però che rimandare ad una concezione della psicoterapia che possiamo definire “evolutiva”, una concezione, cioè, che ipotizzi un procedere per gradi in una certa direzione. Essa definisce cambiamenti e modifiche come moduli di un “continuum” che, proprio perché ricondotto a un andamento in “evoluzione”, può essere in un certo senso misurato e verificato.

La valutazione

Per misurare gli effetti dell’operato del terapeuta è necessaria una griglia di lettura che sia basata in parte su elementi soggettivi (forniti dal paziente e dal suo terapeuta), e in parte su elementi oggettivi, rilevabili cioè da qualunque altro osservatore (che però sia esperto delle tecniche ivi adoperate). Inizialmente si può pensare di formulare una griglia di osservazioni basata sugli elementi portanti di ogni singola teoria. La scheda di valutazione che interverrà nelle fasi successive della ricerca, (quella inter-modelli), dovrà essere invece incentrata sui concetti condivisi e su specificazioni insieme concordate.

Il problema della “generalizzabilità” dei risultati potrebbe essere affrontato attraverso ricerche inter-modello (come quella che abbiamo proposto), o attraverso l’uso della metaanalisi, confrontando i risultati di diverse ricerche condotte sullo stesso tema.

Verifica degli effetti in psicoterapia funzionale

La ricerca di verifica degli effetti nell’ambito della psicoterapia funzionale è oramai in corso da due anni, e si basa su quelle stesse condizioni epistemologiche che abbiamo fin qui esposte. A tal uopo è stata messa a punto una “scheda di verifica” degli effetti composta da 16 items, tratti da tecniche e da modalità terapeutiche stesse adoperate nel’ambito della psicoterapia funzionale. Partendo dunque dal modello di riferimento, i 16 items riguardano i differenti aspetti del Sé che in psicoterapia funzionale vengono presi in considerazione e sui quali si interviene con varie tecniche e metodologie: dalle emozionalità all’attività di simbolizzazione, dal lasciarsi andare alla forza aperta, dalla capacità di visualizzare e immaginare a quella di raggiungere fisiologicamente la vagotonia attraverso una respirazione diaframmatica, dalle sensazioni ai movimenti. Gli items indagano sull’ampiezza di ogni singola funzione esaminata e sulla sua mobilità, cioè sulla capacità del soggetto di passare da una polarità all’altra della gamma che normalmente dovrebbe essere a disposizione della propria espressività: rabbia-tenerezza, simpaticotonia-vagotonia, forza-debolezza, controllo-abbandono, e così via.

Uno studio particolare ha dimostrato che gli items della scheda (che evidentemente non sono solo verbali ma sono anche delle osservazioni condotte su altri piani e dei “movimenti” che il terapeuta fa compiere alla persona, cioè in fondo delle modalità tipiche della terapia funzionale) possono essere utilizzati anche da qualcuno che non sia il terapeuta personale del soggetto, ottenendo con una buona approssimazione gli stessi risultati.  A ogni item possono essere dati 4 possibili livelli di lettura della condizione della funzione in esame: da D (il peggiore) ad A (il migliore), dettagliatamente descritti negli items stessi. I risultati, messi su un grafico di tipo polare, portano a diagrammi del tipo di quelli in figura 1 e 2: la prima di una persona a fine terapia, con livelli buoni di mobilità, la seconda invece tipica di una persona ad inizio terapia.

Tutti i risultati sono stati riportati poi su di un grafico complessivo (come quello di figura 3) ottenuto dando un punteggio da 1 a 4 alle risposte da D alla A, e sommando insieme tutti i punteggi così ricavati.

Le misurazioni, come si può notare, sono state fatte alli’nizio, a metà e alla fine della terapia, e i relativi punteggi risultano marcatamente e significativamente discosti gli uni dagli altri, specie quelli di inizio da quelli di fine terapia.

La ricerca delle regolarità

Tutto questo studio longitudinale sulle singole vicende terapeutiche e sul confronto tra di esse, a partire dal diagramma funzionale tracciato per ciascun paziente (l’insieme delle condizioni attuali di tuutte le sue funzioni psicocorporee) proseguendo per la verifica soggettivo-oggettiva realizzata attraverso la scheda con i suoi 16 items, ci ha permesso di approfondire sempre di più cosa accade nel processo terapeutico stesso, e di scoprire alcuni fatti di estremo interesse. Rimandando ad altri scritti la trattazione analitica e dettagliata, basti qui ricordare che si sono trovate delle vere e proprie fasi in cui viene ad essere scandito il processo terapeutico, il quale mostra dunque chiaramente un andamento evolutivo, di trasformazione da una condizione iniziale verso altre condizioni.

Le fasi sono caratterizzate da due ordini di fattori differenti:

– la diversità della modalità di relazione tra paziente e terapeuta,

– la diversità di porsi del terapeuta stesso, specie nel senso di attuare modalità di intervento terapeutico che non sono le stesse dall’inizio alla fine del trattamento, bensì specifiche per ciascuna fase.

I criteri che ci permettono di osservare (e anche di verificare!) il passaggio da una fase all’altra riguardano vari aspetti del processo terapeutico: dalla relazione transferale a quella reale affettiva, dalla percezione del paziente alle emozioni del terapeuta, dai sintomi ai miglioramenti, e così via. Ora, all’interno delle fasi è possibile individuare il presentarsi di elementi costanti per ciascuna terapia, di regolarità, appunto, che le caratterizzano e che possono essere viste come le modalità più specifiche con cui le fasi si svolgono. Anche se la ricerca sulle regolarità è lungi dall’essere conclusa, pure è stato possibile cominciare ad individuarne alcune delle più importanti che, nella loro caratteristica, sembrano confermare e al contempo precisare l’ipotesi di una terapia evolutiva, per fasi, e di andamenti caratteristici che si presentano in tutte le terapie, al di là delle ovvie differenze e della unicità di ogni vicenda terapeutica. La tabella seguente riassume tutte le regolarità individuate finora, sulle quali la ricerca comunque sta proseguendo.

ELENCO DELLE REGOLARITA’

Sintomi

– Miglioramento iniziale

– Ripeggioramento

– Sintomo antico

– Alternanza rapida miglioramento e peggioramento

– Sintomo sorto in terapia

– Miglioramento decisivo

Relazione

– Relazione diretta con il terapeuta

– Percezione reale del terapeuta

Regressione

– Lasciare profondo

– Affidarsi completamente al terapeuta. Momenti cruciali. Paziente “preso” dal terapeuta (vedi anche Transfert positivo profondo)

– Sensazione antica infantile (percezione dell’attuale come se si fosse ancora nelle drammatiche condizioni del passato)

Transfert

– Negativo intenso (terapeuta come genitore antico negativo)

– Positivo profondo (vedi anche Regressione)

Autopercezione

– Consapevolezza del paziente dei suoi non funzionamenti (tensioni muscolari, dissimetrie, zone fredde, zone dolenti, stanchezza non avvertita prima, gola strozzata, respiro carente, ecc.)

– Sensazioni in terapia simili ai sintomi (ma non angoscianti).

Il passo successivo consiste nel verificare in che parti della terapia si presenti maggiormente e più frequentemente ciascun elemento, per poterlo poi meglio collegare alle varie fasi di cui la terapia è composta. Naturalmente va da sé che ciascuna fase, così come ciascuna regolarità, non ha dei limiti netti, poiché in una vicenda coosì complessa ed articolata come la terapia si può parlare solo di prevalenza di elementi, di fasi, di regolarità. Nondimeno questa prevalenza fornisce delle caratterizzazioni abbastanza spiccate che sono, in ultima analisi, di grande aiuto sia per chi studia il processo terapeutico, sia per il terapeuta stesso nel suo lavoro.

Conclusioni

Pur partendo dallo studio interno ad un singolo quadro teorico siamo ritornati ad affrontare, come avevamo già precisato, il processo terapeutico nella sua essenza di processo di cambiamento, di iter di trasformazione attraverso l’ausilio di una relazione interpersonale. Ora siamo in grado di cominciare ad abbozzare alcune prime conclusioni che riguardano appunto il processo terapeutico, ed in particolare il che cosa viene messo realmente in moto nella relazione al di là delle varie tecniche terapeutiche. Si tratta di capire in che cosa realmente consista questa condizione così delicata e così particolare, paradigmatica non solo della terapia ma in genere per le trasformazioni, di qualunque tipo esse siano, e anche per le varie possibili attività di prevenzione.

In figura 4 riportiamo il quadro delle modalità terapeutiche che (almeno fino a questo punto della ricerca) sono emerse come caratterizzanti le varie fasi del processo terapeutico in sé. Pur essendo estremamente interessanti un’analisi ed un commento di questa ultima parte della ricerca, non possiamo che rimandarli ad un’altro successivo momento, per dar loro lo spazio e il peso che certamente meritano, e la portata che l’acquisizione di nuovi dati indubbiamente porterà.