Scuola di psicoterapia: Le voci di dentro.

Luciano Rispoli, 1994.

Nel seguente articolo cercheremo di dare spazio al mondo interno della persona, ai segnali che ci giungono dal mondo delle emozioni, delle fantasie, ma anche dal nostro corpo. Lo faremo con l’aiuto della psicologia e della psicoterapia, due rami della scienza che sempre più si avviano a divenire un sostegno di tutte le fasi e dei momenti importanti della nostra vita.


Presentazione

Il mondo può correre molto veloce e noi con lui. Ma il nostro mondo interno, i nostri sentimenti, gli stati d’animo, i momenti di gioia o di tristezza sono sempre lì, a colorare la nostra esistenza, a darle o meno un significato.
Noi possiamo correre ma non possiamo trascurare tutto ciò che dalla vita pian piano si deposita al nostro interno, sin dalla prima infanzia, e che da dentro, poi, condiziona in modo determinante le nostre emozioni, la capacità di gioire, di trovare soddisfazioni significative, di godere delle cose che abbiamo, di sentirci pieni, di rinnovare l’amore e l’entusiasmo di vivere. Finanche la capacità di fare le scelte giuste dipende da questo mondo che ci portiamo dentro: quante volte ci accorgiamo (quando riusciamo ad accorgercene) di commettere sempre lo stesso errore, di ricadere in situazioni che si rivelano deludenti o addirittura dannose?

Qui cercheremo di dare spazio a questo mondo interno, o – per dirla con le parole del grande Eduardo – alle “voci di dentro”, ai segnali che ci giungono dal mondo delle emozioni, delle fantasie, ma anche dal nostro corpo. Lo faremo con l’aiuto della psicologia e della psicoterapia, due rami della scienza forse non ancora pienamente conosciuti e apprezzati, ma che sempre più si avviano a divenire un sostegno di tutte le fasi e dei momenti importanti della nostra vita, e non soltanto come strumenti di cura dei malesseri mentali. Cercheremo, attraverso le vostre lettere, di dare spazio a queste voci, di capirle insieme, di guardare ai problemi e alle difficoltà nel rapporto con l’altro, nel rapporto con i figli, nei rapporti di amore; ma anche nel rapporto con se stessi. Cercheremo di capire, ma anche di trovare delle strade per recuperare e mantenere il nostro pieno diritto di esseri umani alla positività della vita.

IL FIGLIO ADOLESCENTE

Sono una donna di 42 anni, che è riuscita a portare avanti abbastanza bene il proprio matrimonio, dal quale sono nati un figlio e una figlia. Ma oggi il rapporto con il figlio maggiore, che ha 16 anni, è diventato veramente difficile. Parla poco con noi, esce troppo, è sempre di malumore e arrabbiato. E’ cresciuto tanto negli ultimi due anni e mi fa impressione vederlo grande e grosso. Ma non mi sembra maturo. Comunque non riesco a giustificare il suo comportamento; perché come madre ho sempre rispettato la sua privacy e mi sono sforzata sempre di capirlo. Ho fatto anche da cuscinetto tra lui e suo padre, sempre esageratamente rigido e severo.

Con la figlia più piccola (che ha 10 anni) invece scherziamo molto e andiamo d’accordo.

E’ possibile che l’adolescenza sia cosi difficile, o è mio figlio che ha particolari problemi?

Certamente l’adolescenza è un momento delicato, perché il bambino e la bambina crescono e diventano improvvisamente un uomo e una donna, con i caratteri sessuali adulti, con spinte all’autonomia molto forti, con nuovi strani desideri nei confronti dell’altro sesso, con compiti e responsabilità che si accrescono. Ma proviamo a ribaltare il solito punto di vista. Uno sviluppo ormonale e fisiologico così improvviso, una crescita del corpo tanto rapida, non possono corrispondere a uno sviluppo emotivo altrettanto veloce. Voglio dire che, insieme alle sensazioni nuove, nell’adolescente permangono comunque desideri e bisogni più infantili: di giocare, di essere sostenuto e coccolato, di potersi sentire ancora un po’ “piccolo”.  Quasi sempre modelli culturali e di comportamento troppo rigidi interferiscono con questa situazione, per cui l’adolescente finisce per astenersi da questi atteggiamenti ancora infantili perché se ne vergogna. Forse la rigidità di suo marito non ha aiutato a far si che suo figlio potesse sentire che anche un maschio adulto può essere tenero e coccolone. Forse anche il suo atteggiamento di madre rispettosa della sua privacy non ha favorito nel ragazzo un tipo di affettività più aperta, che si esprimesse anche fisicamente: con abbracci, con una vicinanza corporea priva di sensi di colpa e di vergogna. In fondo questi ragazzi divenuti “uomini” e “donne” sono improvvisamente trattati con maggior distacco, con imbarazzo e disagio, proprio dagli stessi genitori, specie quelli di sesso opposto. Quante volte invece ho visto adolescenti che, liberandosi occasionalmente dal ruolo forzato e pesante di adulti, ritornano a divertirsi spensieratamente, giocando (ad esempio con i fratelli e le sorelle più piccoli) scherzando e muovendosi con il loro corpo proprio come facevano da bambini. E dunque il malumore e l’arrabbiatura possono dipendere proprio da questa battaglia interna in cui suo figlio alla fine soffoca i propri bisogni più infantili, i bisogni che in fondo tutti noi ci portiamo dentro durante tutta la vita, e che non dovrebbero mai essere del tutto dimenticati.

L’AMORE PER L ‘ALTRO

Vi scrivo perché mi sento confusa, infelice, disperata. Sono una ragazza di 18 anni, fidanzata da oltre 3 anni con un ragazzo al quale mi sono promessa e col quale dobbiamo sposarci. E invece mi è capitato di avere conosciuto un altro ragazzo molto più grande di me, di 28 anni. L’ho incontrato più volte, mentre andavo a scuola, e ora penso sempre a lui. Ci continuiamo a sentire e a vedere di nascosto. Ma continuo a voler bene al mio ragazzo. Non ci capisco più niente. Come è possibile? Forse sono io che ho una cattiveria dentro. Che debbo fare?

Quando ci si fidanza cosi giovani, a 15 anni, pensando già al matrimonio, non ci si deve meravigliare poi se i bisogni del cuore si fanno sentire. A quell’età sarebbe più giusto innamorarsi più volte, sperimentare questo sentimento, sentire che cosa significa, cercare. E solo dopo forse sì può scegliere con più serenità la persona con cui condividere un progetto, con cui costruire un rapporto ed eventualmente una famiglia. Quante donne si rivolgono a noi psicologi (ma anche guariti uomini) con situazioni difficili, con rapporti traballanti e spenti, proprio perché hanno “saltato”, non hanno vissuto appieno questa fase importante degli amori giovanili. A quell’età si è in realtà innamorati più dell’amore che realmente dell’altra persona: perciò si cambia facilmente, e si sperimenta cos’è l’amore. Come un bambino che deve necessariamente attraversare la fase degli “scarabocchi” prima di poter applicarsi e scrivere o disegnare più seriamente. Quello che succede a te è appunto di aver ritrovato questa fase di amori giovanili, nella quale può capitare di amare più di un ragazzo. Ed è importante attraversarla senza spaventarsi, o pensare di essere cattiva; anche se una certa morale ristretta tende a colpevolizzare avvenimenti come questi. Lascia che le cose vadano per la loro strada naturale, sperimenta senza paura i tuoi affetti. Dopo giungerà sicuramente il momento in cui farai una scelta (e potrebbe anche essere per nessuno dei due). Ma almeno sarà con maggiore probabilità una vera scelta. In fondo ogni rapporto dovrebbe sempre basarsi su una scelta reale, una scelta che si rinnova giorno dopo giorno.

LA SEDUZIONE O IL CONTATTO?

Ho una nuova storia che sta cominciando: un uomo che mi piace, che trovo attraente e intelligente. Ma ancora una volta non mi sembra chiaro come conquistarlo. Ho paura che si risolva tutto in un fiasco, come già è accaduto altre volte.
Quando mi costringo a fare finta che mi disinteresso di lui, o faccio un po’ la smorfiosa con un altro, allora lui si riaccende e riprende a corteggiarmi. Se invece rispondo alle sue richieste con calore, mostrando tutto il mio interesse, allora lui si allontana; e non capisco più se veramente mi desidera.

Purtroppo questo è un gioco perverso, un “incastro” molto vecchio e molto conosciuto. Si basa su un funzionamento che in fondo può essere considerato normale; ma troppo spesso degenera diventando esagerato e doloroso per tutti e due.
E’ infatti normale ed accettabile che un uomo (ma anche una donna) veda con piè interesse e desiderio un partner quando questi è apprezzato e desiderato da altri. Un uomo, quindi, può iniziare a corteggiare una donna con più calore proprio quando si accorge che questa donna è oggetto di altri pensieri maschili. Ma un conto è questo normalissimo sentimento di competizione, di “condivisione” di obiettivi, un altro è il gioco perverso per cui ci si innamora solo se una donna ci fa soffrire di gelosia. C’è chi solo in queste condizioni riesce a provare interesse per una donna, e chi, con patologia opposta, appena nel campo si profila un avversario rinuncia ed abbandona. Sono entrambi disturbi del comportamento sorti nella vita affettiva infantile: nelle difficoltà avute nel percepire da parte dei propri genitori un interesse e un amore spontanei e sinceri. L’attenzione e le cure arrivavano solo quando il bambino faceva il “cattivo”, quando si metteva a fare i capricci; o, viceversa, il bambino si sentiva continuamente spinto a mostrare affetto e a “sedurre” il proprio papà o la propria mamma quando li vedeva indifferenti e distaccati. Un gioco di seduzione è piacevole quando è normale: farsi desiderare un po’, fare maliziosamente finta che non siamo interessati e nel contempo inviare segnali che invece accendono il desiderio. Ma senza esagerare: altrimenti diventa un incastro, una malattia inconsapevole, che crea sofferenza in noi o nell’altro.

Dunque, anche nel suo caso, gli uomini non sono consapevoli di questo incastro. Bisogna allora che lei decida: pur andare a fondo, allo scoperto, dopo un normale preliminare di seduzione, e cercare di arrivare al bisogno di affetto profondo, che si nasconde in queste persone. Se si arriva a questo nucleo più interno probabilmente il gioco perverso si interrompe e non si è più costretti a fingere, a soffrire, a costruire rapporti contorti. Ma può accadere che il condizionamento e la paura siano cosi forti che l’uomo fugga via. E forse è un rischio che vale la pena correre, perché se cosi fosse allora potrebbe essere meglio non aver iniziato un rapporto destinato fatalmente a creare tante, troppe, future sofferenze.

SADISMO 

Sono una persona che molti definirebbero “normale”, equilibrato e intelligente. Sono un uomo di 35 anni, con un buon Lavoro e molte soddisfazioni. Mi definirei come una persona calma, tranquilla e buona di fondo.

Ma c ‘è uno spazio nel mio animo in cui imperversano tempeste violente. Sono le mie fantasie nei confronti delle donne. I miei desideri vanno sempre nella direzione di una “violenza” da infliggere. Mi eccitano torture, frustate, il pensare di legarle e soggiogarle. E questo mi fa paura. Non sono sposato. Ho avuto molte relazioni e oggi ho un rapporto discreto con una ragazza molto affettuosa. Ho sempre avuto paura che queste fantasie potessero uscire fuori e le ho perciò sempre ricacciate via. Ma ritornano e ci penso. E mi distraggono e rendono difficili e incolori i rapporti sessuali con la mia ragazza. Non so più come fare a liberarmene.

Bisogna distinguere, a questo proposito, tra giochi e perversioni. Nei desideri, e soprattutto in quelli che riguardano la sfera dell’erotismo, entrano naturalmente molti elementi dell’immaginario collettivo, della cultura dominante del proprio tempo; ma ancora più, evidentemente, elementi del “proibito”. Ora per una persona come lei si descrive, sempre calma e tranquilla, di fondo buona, certamente l’uso della forza, dell’aggressività, della violenza è stato qualcosa di bloccato, qualcosa di proibito in tutta la sua vita. Il desiderio della trasgressione è una componente fondamentale dell’erotismo e questo spiega le sue fantasie erotiche dì tipo sadico. Ma c’è una bella differenza tra sadismo come perversione e gioco sadico. Se lei continua a tentare di bloccare le fantasie (e come vede è impossibile) e a creare troppa distanza tra fantasia e realtà è ovvio che la realtà diventi sempre più insoddisfacente e le fantasie sempre più forti. Il pericolo è che piano piano lei possa scivolare veramente verso il sadismo, che, se esplodesse, sarebbe poi forse inarrestabile. Dunque la strada è quella di raccorciare questa distanza, provando a mettere in atto in modo scherzoso quelle fantasie con la propria partner, ma con affettuosità, con serenità; proprio come si gioca con il proprio figlio piccolino incutendogli per finta un po’ di paura, minacciandolo per gioco di “mangiarlo” e mordicchiandolo poi affettuosamente. A tutti piace giocare un po’, specie in amore e nel sesso. Condividendo con la sua donna, attraverso dei giochi, una parte delle sue fantasie, queste si ridimensioneranno e lei scoprirà, contrariamente a quanto potrebbe credere, che la tenerezza avrà proprio cosi ancora più spazio nel suo rapporto. Un po’di immaginazione e di “giochini” condivisi e compartecipati non possono che rafforzare sia il sesso sia i sentimenti positivi e di amore.

GELOSIA 

Ho un pensiero che non mi lascia mai. Sono geloso di mia moglie. Immagino sempre che debba tradirmi da un momento all’altro o che mi abbia già tradito. E questo pensiero mi tortura perché non lo sopporterei proprio.
Alcuni amici mi hanno detto che non è normale, ma io non capisco come si possa non essere gelosi. E’ più forte di me. Anche se mi sforzo di non pensarlo, il pensiero torna sempre e mi sento male. Sudo freddo, ho le vertigini e mi sento allo stesso tempo debole e infuriato. E’ possibile che io sia veramente malato o è normale la gelosia?

La gelosia è un sentimento antichissimo sulla terra, come l’amore, ma non è altrettanto antico nella storia dell’individuo. Nel senso che nei primissimi anni di vita i bambini non sono gelosi: e del resto in genere non ne hanno motivo.
Ma se ad esempio nasce una sorellina o un fratellino possono insorgere le prime violente gelosie, a meno che i genitori siano così preparati all’evento da evitare questo pericolo riversando maggiore amore, proprio quando nasce un altro figlio, al figlio più grande. Dunque la gelosia viene suscitata da una forte paura di perdere l’affetto che sino a un momento prima era interamente assorbito dal figlio più grande, di veder sfuggire l’attenzione e le cure che prima erano totali, di vedersi messo da parte, di non poter più soddisfare i propri bisogni, che, non dimentichiamolo, in un bambino sono davvero vitali. Per un bambino piccolo, infatti, non si tratta solo di timore, di una semplice preoccupazione, ma di un vero e proprio terrore, perché per lui è davvero in gioco la stessa sopravvivenza. Il bambino ha letteralmente la sensazione di morire se viene abbandonato, messo da parte, se perde l’amore dei genitori; e non in senso metaforico ma reale. Quando si cresce e si diviene adulti si possono conservare sepolte e nascoste al proprio interno queste antiche paure; paure che ovviamente si risvegliano quando nasce un nuovo rapporto d’amore, quello tra un uomo e una donna. Così esplode la gelosia, tanto più forte quanto più intense sono state le paure di “perdere” irrimediabilmente l’altro, proprio come se si fosse ancora dei bambini piccoli. Ma un adulto può fare qualcosa di molto diverso da un bambino piccolo: può riuscire a conquistare l’altro giorno per giorno, può cercare di farlo ogni giorno innamorare di nuovo, ne può sciogliere le negatività corteggiandolo, dando amore e affetto, senza subire più passivamente le antiche paure di essere improvvisamente messo da parte. Un certo tipo di cultura della nostra epoca ha gonfiato il ruolo che il maschio è poi costretto a rispettare: il maschio conquistatore, che non si deve intenerire, che deve essere forte, che deve possedere la donna. Tutto ciò acuisce le paure perché rende insopportabile (per eccessiva competitività) i paragoni con un altro maschio. E così un uomo arriva a farsi la tormentosa fantasia che la propria donna, incontrando un altro uomo possa “impazzire” improvvisamente per il sesso di quest’altro, perdere del tutto il controllo, perché questo nuovo sesso (messo a confronto con quello del proprio uomo) la rende completamente soggiogata corpo e anima. Ma nella donna il funzionamento è ben diverso e questa è, per quanto terribile, solo una fantasia.

Certo, quando fantasie di questo tipo divengono troppo ossessive e tormentose, e il ragionare non basta più, sarebbe veramente opportuno farsi aiutare da qualcuno, da uno psicologo, da uno psicoterapeuta, che può dall’esterno e con competenza allentare una situazione che rischia di diventare troppo esplosiva.

IL MASCHIO IN CRISI

Ho circa 30 anni; oramai non mi posso più definire una ragazza, ma una donna fatta. Mi dicono che sono carina, che sono molto dolce ed affettuosa, che faccio bene l’amore. Eppure non riesco a trovare una relazione stabile. Quando ci si arriva vicino tutti gli uomini con cui ho iniziato una storia si tirano decisamente indietro. Non vogliono, non sono pronti, o che so io. Ma come è possibile? Sono io che ho qualcosa di profondamente sbagliato dentro?

Non credo proprio, visto che ricevo molte lettere come la sua, sullo stesso problema e sullo stesso tono.

Siamo piuttosto di fronte a una situazione caratteristica di questa nostra epoca all’interno della nostra società “mediterranea”. Il maschio oggi si dibatte in una profonda crisi, anche per la crescente crescita della figura e dell’autonomia femminili. Ora, non possiamo dimenticare che sino a pochi anni fa, appena nella passata generazione dei nostri genitori, un uomo che si sposava trovava proprio a partire da lì la propria indiscussa libertà. Era quasi ufficialmente istituzionalizzato che il marito italiano di un tempo avesse delle amanti fisse, avesse tutte le avventure che desiderava, godendosi completamente la sua condizione in famiglia e fuori, senza quasi sensi di colpa ed eccessive remore, proprio come succede ancora oggi ad esempio in Grecia.

Ma la rivoluzione nell’amore e nella sessualità degli ultimi anni ha sancito un rapporto (coniugale o meno) tra uomo e donna legato all’affetto, all’amore, e non più alla convenienza della condizione sociale o alla comodità della compagnia reciproca. Né la compagna né l’amante accetterebbero più questa divisione dell’uomo tra dentro e fuori la famiglia, mentre prima era prassi più che comune chiudere un occhio o perdonare. Ma è lo stesso uomo che non si sente più di legarsi con una donna in maniera fissa e stabile (per costruirvi dunque una famiglia) con l’idea preconcetta del tradimento, della libertà assoluta, della poligamia istituzionalizzata.

E questo anche se nel maschio le antiche radici culturali della poligamia, del desiderio di avventure sessuali, della separatezza tra affetto ed erotismo sono ancora molto vive, perché non si possono annullare nel giro di una sola generazione. Fenomeni come lo “scambio” nelle coppie o le coppie “aperte” ne sono una chiara spia. Di qui la profonda crisi nelle società mediterranee nelle quali la figura femminile è in forte emancipazione. Certo sapere tutto ciò può non aiutare le nostre vicende di vita, ma è sicuramente una base di riflessione sulla quale sia gli uomini che le donne possono ricominciare ad incontrarsi.

INCERTEZZE E INDECISIONI

Sono una ragazza di 18 anni, ho fatto la maturità classica a Luglio e sono stata promossa con buoni voti. Lo studio va dunque bene, ma non so proprio quale ramo prendere all’università, perché ci sono tante materie nelle quali potrei riuscire, ma nessuna che mi appassiona di gran lunga più delle altre. Del resto sono molto spesso indecisa nella mia vita, piena di incertezze: non vorrei sbagliare e così m‘impantano in una orrenda immobilità.

Il problema che sta alla base della difficoltà a prendere delle decisioni è la “paura di perdere”. Non si sceglie una strada perché si rischia di perdere ciò che l’altra strada ci avrebbe potuto riservare.

Questa è una classica forma di pensiero negativo; un pensiero che si rivolge agli aspetti sgradevoli più che a quelli gradevoli, sempre intrappolato dall’altra faccia della medaglia; come la nota possibilità di considerare un mezzo bicchiere di vino come un bicchiere mezzo vuoto oppure mezzo pieno. Bisogna trovare dunque gli aspetti positivi della scelta che stiamo facendo e valorizzarli il più possibile. Un’altra maniera per combattere l’incertezza è tenere sempre presente che le decisioni non sono mai irreversibili e totalmente definitive (tranne rarissimi casi), ma che si può sempre tornare indietro e cambiare.
Così è, ad esempio, anche nella scelta della facoltà universitaria, che si può benissimo cambiare, anche se nella peggiore delle ipotesi si può rischiare di perdere un anno. Anno che però non è mai realmente perso, perché speso nel maturare un maggior contatto con se stessi, e una più profonda conoscenza della strada che ci si prospetta davanti. E poi, che cos’è mai un anno rispetto ad una scelta più ponderata, ad una minore paura di decidere, ad una maggiore serenità? Questo lo dovrebbero capire facilmente anche i genitori. Scegliere diventa molto meno angosciante quando ci si sente al proprio interno una buona capacità di trasformare le cose se poi non ci piacciono, di essere protagonisti attivi della nostra vita, di poterla cambiare se ha preso qualche piega che non ci va giù. Si è sempre in tempo, e vale sempre la pena farlo.

LASCIARE O NO IL MARITO?

Ho raggiunta la fatidica età dei 40. Fatidica perché si dice che a 40 anni ricomincia una nuova vita. Forse sarà questo pensiero che si insinua, forse sarà l’inevitabile bilancio che uno fa ad una certa età, non so. Fatto sta che da un po’ di tempo mi ha preso la smania di lasciare mio marito e ritrovare la mia libertà. A 40 anni oggi la donna non è più  una “vecchia” come accadeva tempo fa, e io ritengo di avere ancora molte frecce al mio arco. Ma quando penso a lasciare mio marito, questa fila solita vita (i due figli sono grandi e non credo che costituiscano il vero problema.), queste vecchie abitudini di coppia, mi prende uno stato di terrore puro, e penso allora che forse l’amo ancora profondamente. Un momento dopo, invece, sento che una vita così sbiadita non ha senso: non facciamo quasi più l’amore da tanti anni ed io ho finito per cercare più di un’avventura extraconiugale. Insomma è sempre così difficile separarsi? Che devo fare?

Pare che i 40 anni siano davvero una svolta nella vita, e in una svolta bisogna prendere qualche decisione. Mi sembra inoltre che qui sia in gioco il tipo di vita che lei farà nei prossimi (40?) anni. Non si tratta tanto della sua relazione con suo marito o con un altro uomo che lo potrebbe sostituire un domani, quanto se vivere in una coppia o da “single”. Ciò che è per lei in questo momento difficile è il contrasto tra una vita matrimoniale fatta di condivisioni e di progetti in comune, e una vita libera da “single”.

E’ inutile angustiarsi: non esiste la soluzione “migliore”, esistono pro e contro per tutti e due questi tipi di vita. Ma essi sono in netta contrapposizione l’uno con l’altro, così come lo sono la scelta di essere un avventuriero o un lavoratore abitudinario, uno che viaggia o un sedentario, uno inquadrato nella civiltà o uno che fugge negli ultimi lembi di paradiso naturale rimasti.

Ma dal momento che oggi la vita si è obiettivamente allungata (prima a 40 anni si era veramente “vecchi” e la vita media non superava i 60), è diventato possibile decidere concretamente di vivere dopo i 40 una seconda vita, abbastanza diversa dalla prima. E in effetti comincia ad aumentare anche da noi il fenomeno di coloro che ad una certa età cambiano completamente lavoro. E lo stesso lo si può dire per la vita affettiva. Dunque si tratta di scegliere: tra una vita di coppia o di “single”, ma di scegliere comunque realmente, e di rendere concreta questa scelta in modo coerente e non contraddittorio. Se si sceglie la coppia allora, anche se potranno capitare occasionali “trasgressioni”, non può certo avere senso che la vita sessuale sia sempre e solo fuori del matrimonio, così come non ha senso iniziare continuamente altre storie che pretendano di essere più di un’avventura, altrettante nuove “coppie”.

Altrimenti vuol dire che si è fatta la scelta di essere “single” e coerentemente bisogna, allora sì, decidersi a lasciare il proprio marito.

LA FIDUCIA

lo, in tanti anni di vita, ho sempre contato sulle mie forze e bene ho fatto. Figurarsi ad andare a fidarsi degli altri. che avrei mai combinato? Mi fanno ridere gli amici che mi rimproverano dicendomi che non mi fido mai, che se provassi sarebbe anche piacevole e finalmente mi rilasserei. E’ vero, a 43 anni sono teso come una corda di violino, e questo mi logora; a volte mi sento sfinito. Ma che altro si può fare? Le assicuro che ogni volta che mi sono lasciato andare, che mi sono aperto, che mi sono appoggiato, ho preso delle fregature terribili. E allora che resta se non continuare così? Bando alle illusioni!

Certo, siamo d’accordo, bando alle illusioni! Ma quali illusioni. Anche l’eccessivo cinismo (come l’eccessiva fiducia) può essere fondamentalmente errato, basato sul pregiudizio che tanto a nessuno importi mai degli altri ma solo di se stesso.

Non metto in dubbio che cocenti delusioni per lei ci siano state, ma questo non prova niente. O meglio prova solo che l’errore sta nella fiducia quando è esageratamente cieca. Solo un bambino si affida totalmente agli altri, perché ne ha bisogno per crescere ed organizzarsi la propria autonomia e la propria identità. Egli deve potersi appoggiare totalmente. E i genitori dovrebbero essere pronti e capaci (ma purtroppo spesso non lo sono) di accogliere con incondizionato amore i propri figli, accompagnandoli sino all’età dell’indipendenza completa (così come fanno per istinto tutti gli animali). Ebbene, può accadere che qualcuno, proprio a causa di una profonda carenza di queste amorevoli cure nella propria infanzia, continui a ricercare inconsapevolmente un appoggio totale, una protezione perduta, un sostegno incondizionato. Queste persone si “buttano” a capofitto nelle situazioni, e finiscono sempre (ovviamente) per “cadere” e farsi male, dal momento che è molto difficile trovare veramente qualcun altro disposto a prendersele completamente (tranne che non sia qualche amico profondamente disponibile o uno psicoterapeuta a questo specificamente formato). Dunque bisogna credere nell’appoggio degli altri, purché non si cerchi un appoggio “totale”, ma soprattutto purché si “guardi” bene a chi ci si intende affidare, nelle mani di chi ci si lascia andare. Le posso assicurare che se si fa attenzione, invece di buttarsi ciecamente, e se non ci si illude di ritrovare un accoglimento “totale”, si potranno avere delle esperienze estremamente ricche, confortanti e profondamente gratificanti.