Relazione Psicologica: Il Terremoto e l’Infanzia.

L’intervento del Centro studi W. Reich a Lioni, 1981. 

Luciano Rispoli e Barbara Andriello affrontano il delicato tema della risposta infantile ad un evento disastroso come il terremoto di Lioni del 1980, proponendo un intervento sul campo.


Il terremoto non ha solamente di strutto interi paesi.  Ha anche messo in evidenza terribili crepe e paurose inefficienze nel sistema della protezione civile, dei soccorsi e degli interventi ufficiali. Si scopre evidente l’abbandono in cui versa l’economia e il tessuto sociale del sud, problema incancrenito che non è nemmeno avviato a soluzione( anzi, il divario con il nord aumenta.  E il sud continua ad assolvere il compito di fornire manodopera in sovrabbondanza senza pretese e spoliticizzata laddove, nel nord Italia e in Europa, ne occorra. Continua ad essere prevalentemente agricolo per quelli che restano, ma con mezzi e organizzazione arcaici, faticosissimi e inadeguati, che impediscono l’aggregazione, la crescita, la cooperazione, e anzi continuano a favorire le clientele e la camorra.  E così il basso livello di cultura e di conoscenze, unito al fatto che per ottenere qualsiasi cosa bisogna rivolgersi al camorrista, al notabile del paese, all’onorevole, fa sì che il sud rimanga un grosso serbatoio di voti reazionari.     Ma c’è un soggetto sociale che ha ancora meno spazi, meno possibilità di veder soddisfatti i propri bisogni fondamentali, meno per riuscire a tendere verso il protagonismo del proprio ruolo sociale: è l’infanzia. Anche qui il terremoto ha messo in luce come vengano tanto superficialmente trascurati gli aspetti basilari dello sviluppo psicoaffettivo del bambino.  I bambini, nell’affannosa e caotica opera di un presunto salvataggio, sono stati prelevati, come fossero dei pacchi, e mandati alla rinfusa in ospedali, orfanotrofi, famiglie, senza un minimo di criterio, senza a volte poter neppure sapere più dove sono andati a finire.  Un primo aspetto non trascurabile della questione è: in mano di chi sono finiti?  Già ci sentiamo di criticare i meccanismi del Tribunale dei minori, che si basa solo su elementi economici e di moralità per decidere affidamenti ed adozioni, senza prendere minimamente in considerazione il rapporto adulto-bambino, ne i desideri del bambino stesso. Cosa si dovrebbe dire allora di questa sorta di “accaparramento” di bambini, mosso forse anche da pietà e buon cuore, ma certamente indirizzato soprattutto a tacitare le coscienze e a soddisfare desideri di paternità e maternità frustrati?

E ancora: gli Istituti dove sono stati portati molti bambini sono quegli stessi messi sotto accusa per aver sfruttato a scopo di lucro i finanziamenti pubblici, senza aver dato una sia pur minima decente assistenza ai minori loro affidati?   Per non parlare poi di veri propri fenomeni di compravendita di bambini che stanno avvenendo e che raggiungono i limiti estremi della barbarie e della criminalità.

Un secondo aspetto fondamentale della questione è che non si è minimamente preoccupati se questi bambini venivano sradicati da una loro realtà culturale (abitudini, dialetto, tradizioni, eco.) e dalla loro rete di relazioni affettive. Se questo è già grave per un adulto, è gravissimo per un bambino poiché viene interrotta la continuità del rapporti e delle esperienze che conduce alla definizione del “sé” e alla formazione di una personalità non disintegrata. La dipendenza del bambino dalle sue relazioni affettive a infatti pressoché totale. Non sarà mai sufficiente ricordare le osservazioni di Spitz sulle gravi condizioni di angoscia, di inerzia e anoressia in cui cadono bambini piccoli ospedalizzati (cui non mancano cure materiali ma valide relazioni affettive), e che spesso conducono fino alla morte. Si obbietta che i bambini terremotati sono comunque orfani, che non hanno più nessuno. Niente di più falso! Non solo molti di quelli “deportati” in altri luoghi avevano ancora, tutti in parte, i propri genitori, ma gli altri restavano comunque numerosi rapporti con figure significative della propria vita: zii, nonni, cugini, compari, amici del genitori o amici loro. Una rete particolarmente fitta e intensa nella cultura di queste popolazioni. La “deportazione” dei bambini purtroppo non finirà qua. Non resteranno nelle famiglie e negli istituti dove sono stati messi a “svernare”, neppure gli orfani. Dovranno infatti ritornare alle famiglie di origine, dovranno avere un’adozione definitiva, o dovranno essere spediti ad altra destinazione. Saranno quindi ancora una volta sradicati da una realtà nella quale forse ricominciavano a ricucire i propri punti di riferimento. Certo non si vogliono far morire i bambini di freddo, ma non si esita a farli morire psicologicamente. I loro problemi sono ancora una volta disattesi. Per questo è importante operare subito nelle zone terremotate, per costruire esperienze nelle quali i bambini possano essere riconto, soluti nelle loro esigenze, possano ritrovarsi e ricominciare quella continuità essenziale allo sviluppo psicoaffettivo della personalità. Questo è il senso dell’intervento che il Centro Studi W. Reich sta portando avanti, nell’ambito del Coordinamento per l’Infanzia, a Lioni. Un paese che la gente non vuole abbandonare, per ricominciare da capo, per essere protagonista della ricostruzione. Il gruppo Reich ha operato per costruire un punto di riaggregazione per l’infanzia che fosse soprattutto sin da ora su livelli qualitativi differenti, perché si capisca che è possibile non solo restare, ma anche rinnovare.

CENTRO STUDI W. REICH

CUPA CAIAFA 36

80122 NAPOLI

INTERVENTO SULL’INFANZIA DEL CENTRO STUDI W. REICH A LIONI 

E’ solo negli ultimi giorni che dei problemi specifici dell’infanzia nelle zone terremotate si comincia a parlare con cognizione di causa. Nei primi giorni, invece, all’onda disastrosa del terremoto si è aggiunta l’onda di una commozione lacrimosa e di una pietà volta soprattutto a placare le coscienze, che come unico sbocco hanno visto una corsa frenetica all’ ”accaparramento” di bambini da ospitare o da adottare. Al massimo, offerte più lungimiranti riguardavano l’ospitalità sia del bambino che della madre; ma sempre in paesi e città lontane, sradicati completamente e d’improvviso dalla loro cultura d’appartenenza, dal loro modo di vivere, dalle loro relazioni affettive. La situazione che si è creata operando così indiscriminatamente si paga ancor oggi: a tanti giorni dal sisma molti bambini inviati in ospedali, istituti di assistenza o in famiglie private (spesso difficilmente rintracciabili) sono ancora privi di un’identità, o alla ricerca di notizie e di contatto con i genitori e con i parenti sopravissuti. In grossi centri, come la stessa città di Napoli, in cui sono stati depositati come oggetti centinaia di bambini, si è reso addirittura necessario un censimento delle varie situazioni.

Ancora una volta l’infanzia si presenta come il soggetto sociale meno considerato, anche nella soddisfazione dei suoi bisogni fondamentali. Se, come è infatti noto, l’emigrazione costituisce per l’adulto una fonte di gravi difficoltà psicologiche, questo è ancor più vero nell’età evolutiva. La continuità delle relazioni sociali ed umane e della rete di rapporti che dalla famiglia si allargano agli amici,  alla scuola, al paese, al tessuto socioculturale, è fondamentale per la formazione delle strutture più elementari della personalità. Il rischio altrimenti è la disintegrazione del “se”, la perdita d’identità personale e sociale, che costituiscono il nucleo interno, spesso nascosto, di successive malattie mentali. Queste sono solo alcune delle considerazioni che hanno spinto il Centro Studi W. Reich, impegnato da tempo sul terreno dell’infanzia, a sviluppare un intervento psicopedagogico organico e continuativo, a partire dalla zona di Lioni per espandersi nel territorio circostante. Qui a Lioni sono già in funzione 3 strutture prefabbricate che accolgono 150 bambini (ma il numero è in continuo e rapido aumento) dai 2 ai 14 anni, anche con un servizio mensa. Il senso non è quello di rimettere in piedi le scuole che non ci sono più, ma di realizzare un progetto complessivo di attività didattiche,di animazione e di consultorio, con particolare rifèrimento alle angosce e ai problemi dilaceranti esplosi nella tragedia del terremoto; e con la partecipazione e l’interesse non solo degli addetti ai lavori, ma in qualche misura di tutta la popolazione del luogo.

Si tratta in definitiva di creare un punto di riferimento per la riaggregazione de1’infanzia (e non solo dell’infanzia), su un livello qualitativo sin dall’inizio differente. Si tratta di avviare una ricostruzione che veda adulti e bambini riappropriarsi delle proprie esigenze e della propria esistenza, e divenire soggetti protagonisti di un processo non solo di riedificazione degli abitati, ma anche di rinnovamento sociale.