Psicoterapia Funzionale: Il Funzionalismo: Diagnosi, Terapia, Fattori di Cambiamento.

Lezione tenuta al Master di Ancona, 2008.

Il Seguente articolo affronta il tema del Funzionalismo, prendendo in considerazione la terapia, la diagnosi e i fattori di cambiamento che subentrano nell’applicazione clinica della psicoterapia Funzionale.


Teorie e campi di applicazione

Troppo spesso vi è confusione tra campo di applicazione e teoria-metodologia generale; troppo spesso il campo di applicazione viene visto come una cosa a sé stante. A tale confusione, purtroppo, hanno condotto precedenti approcci e modalità di guardare: quando si diceva la “psicoterapia dei bambini”, quando si diceva, per esempio, “il metodo infantile” come se fosse una cosa a sé stante. A questa stessa confusione hanno portato anche altre modalità di pensare: come la terapia della famiglia. È una confusione epistemologica. A questa stessa confusione hanno portato anche grandi autori; ad esempio Foulkes sulla gruppo-analisi. La gruppo-analisi non può essere un pensiero teorico, metodologico di per sé: è in realtà il modo di guardare più persone, un gruppo, attraverso una certa focale che, in questo caso specifico, è una focale psicodinamica, tipicamente psicoanalitica. Non esiste una psicoterapia della famiglia come se fosse una struttura teorica e metodologica a sé stante, né, allo stesso modo, una terapia del bambino, dell’anziano, della coppia, del gruppo. Quindi cominciamo a dire che “campo di applicazione” non significa assolutamente teoria generale e metodologia generale. C’è un’ulteriore grossa confusione nella psicoterapia e nel counseling, l’idea di poter mettere insieme, di giustapporre più metodi e più angolazioni teoriche. Ad esempio: “Io per questa persona (fatta la diagnosi) le consiglio una terapia cognitiva, a quest’altra consiglio una terapia comportamentale, a questa una terapia gestaltica, etc”. E infatti, la domanda più frequente che ti fanno è: “Ma qual è il campo di applicazione del Funzionalismo?” Come se ci fosse un discorso di “campo privilegiato”! Ebbene, vogliamo dirlo una volta per sempre: nella scienza non è così; questo non è un modo scientifico di guardare le cose: perché è chiaro che se tu hai una teoria sul funzionamento della persona, è sul funzionamento della persona; non è sul bambino, sulla famiglia o sul gruppo, sul malato psichiatrico o nevrotico; è una teoria sul funzionamento della persona in generale, e in particolare nelle varie situazioni di vita.

Cosa deve comportare una teoria che possa definirsi un vero campo teorico?

Lo ripetiamo, fa bene ripeterlo: è necessaria una teoria generale del funzionamento della persona (dell’essere adulto, dell’uomo adulto), è necessaria una teoria evolutiva (non esiste una teoria clinica che non abbia una teoria evolutiva, sarebbe sbagliato). Deve avere una teoria della cosiddetta eziopatogenesi (cioè come avvengono le alterazioni e perché ci si ammala), dal momento che è una teoria completa (non è semplicemente una descrizione tipo DSM IV di quali sono le patologie). Deve avere, inoltre, una teoria del processo di cambiamento, e deve avere infine una teoria della tecnica.  Questo è veramente un campo teorico che può definirsi autonomo e tale.

Quali sono i campi di applicazione di una teoria? Tutti; ogni teoria generale, completa, ha tutti i campi di applicazione. Nonostante ogni campo di applicazione comporterà specificazioni particolari della teoria generale e metodi adatti. Altra cosa è l’efficacia. Sono due cose diverse, ma non possiamo pensare che siccome la teoria sistemica va bene per la famiglia, perché è stata inventata per questo, è una teoria che riguarda solo la famiglia. Perché una teoria generale è anche una teoria delle relazioni. La famiglia non è altro che un insieme di relazioni, di persone. E’ anche un organismo a sé stante, non c’è dubbio, ma comunque è un insieme di relazioni, quindi non è possibile che i sistemici dicano: “della famiglia ce ne occupiamo solo noi”, ma perché? È ridicolo pensare  a una cosa del genere. Detto questo, dobbiamo dire che necessariamente la strada del progresso in psicoterapia dovrà andare verso un livello superiore di integrazione; quando c’è l’integrazione, è chiaro che si va ad un livello che comprende anche tutti gli altri. E’ chiaro che non si mettono insieme semplicemente quelle 5, 10, 20 tecniche di vari approcci, ma si va a uno sguardo che deve  comprendere gli altri sguardi di prima: in scienza deve essere così e sarà sempre così. Anche se molti l’hanno criticato, l’accostamento alle scienze di tipo fisico-matematico va fatto. L’idea che ci sono delle scienze completamente diverse è sbagliata. La teoria della relatività veramente pensate che non comprenda la teoria meccanica di Newton? La comprende, invece, la contiene al suo interno. Se io trovassi una teoria che contraddice completamente l’altra, non sarebbe un livello di integrazione superiore, sarebbe ancora una conoscenza che per certi aspetti ha punti in comune con quelle teoria e per certi aspetti con l’altra, ma non sono ancora giunto al punto superiore. Lo sapete cosa stanno facendo i fisici oggi? Stanno cercando qual è la teoria e la forza (a livello fisico) che comprende e che spiega tutte le varie forze molecolari conosciute fino a oggi (attrazione, elettromagnetica, etc). I fisici sanno che c’è, ci stanno lavorando. Su che cosa stanno lavorando le neuroscienze? Cosa finalmente le neuroscienze sono arrivate a capire? Stanno capendo che la sfida del terzo millennio è trovare i regolatori generali dell’organismo, invece di studiare duemila sostanze neurochimiche e biochimiche da somministrare per curare l’organismo umano. Siamo in perfetta sintonia col Funzionalismo, ma non lo dico per un discorso di orgoglio perché non si tratta di Luciano Rispoli, di un singolo autore, di una singola Scuola,  ma si tratta di Funzionalismo, di una grande Area Teorica che assumerà una grande importanza nel futuro del mondo. È chiaro che per noi sviluppare il Funzionalismo e le idee dei regolatori generali è stato più semplice, perché siamo partiti dal discorso dello stress, un discorso multidimensionale con più fattori, con più elementi che riguardano l’essere umano. Ma ciò che riguarda lo stress vale per gli organismi in genere: gli organismi sono sistemi complessi. Vogliamo andare in direzione di quello che dice Morin? Morin è un grande pensatore del nostro secolo, è il grande pensatore della complessità. Sono due le possibilità di fronte al discorso della complessità: il riduzionismo, ovvero “mi occupo soltanto di questa cosa, perché solo così la so capire e la so fare”: quindi la  rinuncia; oppure accetto la sfida e guardo alla persona, al fenomeno nella sua interezza e complessità. Ma allora ci si chiede “l’olismo in mano a chi è stato?” Non è una critica. E’ stato in mano soltanto al discorso energetico.  Come ci si poteva occupare con le conoscenze e le teorie di allora dell’olismo se non con l’idea che influisco sulla energia in generale? Sì, ma questo non basta. A noi non basta che l’olismo sia soltanto in mano ad un discorso energetico; noi dobbiamo operare con l’olismo, dobbiamo fare quello che dice Morin: il tutto e i dettagli. Il  tutto e il particolare nelle stesso tempo, anche se non è facile; ma questa è la complessità. Altrimenti si rinuncia e si fanno quelle cose separate e limitate che le scienze riduzioniste sanno fare: uno dà la medicina, l’altro fa un discorso di accoglimento, l’altro un colloquio psicoterapeutico…ma questo è riduzionismo, senza togliere niente ai meriti di tutti quelli che hanno reso possibile questo lungo percorso di sviluppo del sapere. Attenzione, senza togliere meriti a nessuno, stiamo andando oltre, stiamo procedendo nel percorso di evoluzione delle scienze della salute e della cura dell’uomo. Noi non stiamo dicendo “noi valiamo più di quelli”. Certo, io vado in Europa e mi accorgo che esistono ancora vecchi discorsi e quindi ci si avvilisce: “ ma dov’è la nuova teoria?” Ma il punto è ancora un altro: lo sviluppo futuro di questa Scienza, il possibile aiuto al Benessere psicofisico pieno dell’essere umano. Si tratta di un discorso di ampio respiro, un discorso di area teorica, di un’area epistemologica. Non parliamo di un modello teorico (non amo quando si dice modello perché è un concetto ristretto, non è chiaro): è un’area epistemologica, è un’area di pensiero. E per capire un punto centrale di quest’area di pensiero dobbiamo andare a studiare come avvengono i cambiamenti psico-corporei dei nostri pazienti, come funziona la “cura”.

Il  processo terapeutico

Cosa possiamo dire sul processo di cambiamento? Dobbiamo tenere presente questo schema, non ce lo dimentichiamo, perché se no ci confondiamo.

Gli obiettivi generali: questi dipendono dai campi di applicazione. Vogliamo far funzionare l’apprendimento? L’obiettivo generale è l’apprendimento. Forse potete dire: “non riusciamo ad applicare il Funzionalismo all’apprendimento”, e avete ragione; siamo indietro, non abbiamo studiato ancora bene il Funzionalismo nel discorso apprendimento, è un campo nuovo. Domani, quando lo applicheremo, forse capiremo meglio che significa apprendimento e come fare. Ma quelli sono comunque obiettivi generali. Vogliamo un bambino che funzioni in modo armonico? Una classe di scuola che funzioni bene? Curare una persona dai suoi malanni? Questi sono tutti obiettivi generali. Poi li posso chiamare  “rafforzare l’Io”, “armonia della persona”, ecc. Chiamiamoli come vogliamo, ma questi sono obiettivi generali che ci fanno capire i campi di applicazione. Vogliamo far stare bene i pazienti Alzheimer? Vogliamo risolvere le situazioni di emergenza nei pronto soccorsi? Questi sono obiettivi generali. Potremmo parlare ad esempio del discorso dell’emergenza in zone di guerra: questo è un campo di applicazione.

Dopodichè a cosa guardiamo? Alle tecniche? No.

Non ci confondiamo, le dobbiamo guardare dopo le tecniche, perché appunto ciò che ci interessa è ciò che sta al centro della figura. Quello che per tanto tempo non si è capito, quello che alcuni oggi finalmente cercano di vedere o far vedere. Cosa vedere? Cosa un terapeuta vuole far succedere? Sapete cosa dicono in tanti: “vediamo cosa succede, vediamo cosa il paziente sente in quel momento, dopo che ho applicato una tecnica”. Il Funzionalismo, invece, ci ha provato ad analizzare cosa accade realmente in terapia, cosa il terapeuta fa accadere, con il suo parlare, non parlare, farsi vedere o no, muoversi, toccare. Il Funzionalismo sta cercando di vedere cosa il terapeuta fa succedere con la sua responsabilità (perché qualunque cosa fa è sua responsabilità). A questo punto, quello che accade veramente lo possiamo vedere. Cosa accade nella seduta?  In realtà quello che accade quando la terapia ha effetti positivi è un agire del terapeuta (consapevole o meno, in modo più efficace o meno efficace) sui funzionamenti di fondo del paziente un recuperare, riaprire, ricostruire questi funzionamenti. Questo è quello che accade nel cambiamento nel miglioramento, nella cura efficace; questo è quello che succede in un bambino; questo è quello che succede in un paziente Alzheimer; questo è quello che succede quando fai un massaggio.

Diagnosi e funzionamenti di fondo

Quali sono i funzionamenti di fondo che oggi possiamo individuare?

Oggi possiamo sempre più sapere quali possono essere i funzionamenti di fondo. Se non ci fosse questa conoscenza nuova che riguarda la teoria evolutiva e la teoria della persona, noi non potremmo fare niente. Cioè, potremmo fare una diagnosi, ma sarebbe solo una descrizione di sintomi, una categorizzazione, ma non una vera diagnosi. E non è vera diagnosi neanche dire: “ha un Es dirompente” o “un Super-Io rigido”, “un Io debole” e così via. Ma nemmeno è diagnosi dire: “con i figli è molto rigoroso e ogni volta li prende per l’orecchio”; questo è comportamento, non diagnosi.

Perché non proviamo a tradurre via via tutto questo in termini più avanzati?

La diagnosi non sono i sintomi, non sono i comportamenti, non sono le strutture psichiche più o meno individuate, poiché noi non siamo fatti di strutture, ma di funzionamenti; questa è la grande idea del Funzionalismo. Siamo fatti di funzionamenti e di organizzazione di funzionamenti, e allora sappiamo come dovrebbero essere le diagnosi: guardiamo come sono adesso i funzionamenti. Questa è diagnosi. Vediamo l’andamento di questi funzionamenti. Vi sono due tipi di funzionamenti diversi: uno lo chiamiamo “componenti del Sé”; il Sé è la persona nella sua complessità. Guardiamo le sue componenti, che non sono parti o pezzettini, ma sono il modo di manifestarsi dell’intero Sé. Basta con il frammentare la persona! Guardiamo la persona intera nelle sue componenti, che nella loro organizzazione costituiscono il Sé. Questo è quanto dice Morin, questa è la teoria della complessità: l’organizzazione delle Funzioni. Non le Funzioni come simbolo, come metafora; né come strutture psichiche. Parliamo di olismo, parliamo di persona completa, ma con i funzionamenti concreti e dettagliati che costituiscono il Sé in quel momento (con elementi che funzionano e che non funzionano): il modo di porsi di questo Sé nei confronti di alcune modalità fondamentali della vita. L’altro funzionamento è appunto “il modo di porsi del Sé”: rispetto a modalità di rapporto con se stessi e con gli altri: punti centrali per l’esistenza umana.  Parliamo delle Esperienze di Base del Sé, che dovremmo chiamare anche le capacità del Sé, visto che in età evolutiva sono esperienze, ma poi diventano capacità. Qui c’è stato tutto lo sforzo di andare ad individuare quali fossero queste capacità, individuando dunque su cosa agiamo realmente in psicoterapia, cosa facciamo accadere (la parte centrale che abbiamo visto prima della figura). Noi dobbiamo sempre di più sapere, sentire, in modo totale, cosa si deve fare in quel momento e in quella seduta, cosa si vuol fare accadere, dove si vuole portare la persona, che percorso le si vuole far fare. Dopodichè si vanno ad organizzare le tecniche, che sono sempre, ancor oggi, suscettibili di miglioramento: è chiaro che più ne sappiamo più le tecniche le miglioriamo.

Fili rossi

Come facciamo per aiutarci in questa diagnosi?

Una cosa estremamente interessante, che non vi deve spaventare più di tanto, è dire: “Ma com’è che questo paziente è arrivato a questa alterazione di questo funzionamento”? Ci interessa capire come da un funzionamento sano si è arrivati a questa alterazione, e allora ci sforziamo di considerare gli episodi, di vedere cosa è realmente successo. Questo ci interessa nella diagnosi: vedere gli episodi che si sono sommati e, guarda caso, hanno portato quel funzionamento ad essere alterato.

Ricordiamo che un funzionamento di fondo è alla base, è  alla radice di tanti modi di essere contestuali, specifici della particolare situazione (comportamenti, parole, pensieri, atteggiamenti…). Ed i funzionamenti di fondo li si possono, perciò, individuare al di là delle situazioni.

Se tu fai fare un’immaginazione guidata ad una persona sullo stare e lei è una persona che a stare non riesce, anche nell’immaginazione non sta: cioè il disfunzionamento lo vedi in tante condizioni.

Fattori di cambiamento

Cos’è  quindi, in definitiva, ciò che produce il cambiamento?

Nella storia della psicoterapia si è detto che ciò che è rimosso deve tornare alla coscienza, si deve consapevolizzare. Oggi siamo sicuri che rendere consapevoli basti come fattore di cambiamento? Assolutamente no! Ma allora quelli che, con le loro ricerche, sono arrivati a queste conclusioni sono incapaci? No, ma questo non vuol dire che oggi ci accontentiamo, così come oggi non ci accontentiamo più di scaricare le emozioni (per anni la “scarica delle emozioni” è stato considerato il fattore più importante di cambiamento, un tabù che non poteva assolutamente essere toccato). Altro fattore preso in considerazione nel passato è stato “muovere il corpo”. È chiaro che se per un certo momento mettevi il corpo in movimento, qualche cosa si produceva, qualcosa succedeva. Per alcuni sono anche avvenuti  dei cambiamenti: è vero, è successo. Ma da solo questo fattore può bastare? E poi il corpo cosa vuol dire? Rendere dicibile il non dicibile è un altro fattore di cambiamento considerato molto importante. Come se io avessi una cosa dentro che fino a quando non la vedi, non la guardi, non ne parli, non la elabori, non puoi guarire, non puoi risolvere traumi e problemi. Allora, oggi possiamo ancora dire che questo è l’unico fattore di cambiamento? Moltissimi ragionano in questo modo in Europa: se non elabori, non hai cambiamento. E invece ciò che avete detto voi oggi, che il cambiamento avviene in modo naturale, è una delle scoperte più sensazionali di questo secolo, perché il cambiamento non è : “finalmente posso dare parole al mio trauma, al mio dolore, al mio essere piccolo e solo”, non è soltanto questo. Questo c’è ma deve essere il meno possibile. Nella sensazione di aprire il passato ci dobbiamo passare, ma non ci dobbiamo stare, per non aprire e amplificare sofferenze inutili. Il cambiamento, è soprattutto un cambiamento che arriva e ci prende sui nostri funzionamenti e in tutti i nostri comportamenti. Volete sapere come si può fare per far piangere una persona? Come faceva Lowen, che faceva alzare le braccia al paziente e invocare con dolore “mamma, mamma!”. Detto così fa quasi ridere, ma vi assicuro che molti piangevano e piangono. Non farei mai più oggi una seduta del genere. Certo spesso una seduta può essere noiosa: la terapia è un lavoro molto umile, continuo, passo dopo passo, con molto poco di “eclatante”. Ma avete voi stesso visto cosa vi è successo! Vi sono stati cambiamenti importanti ma quasi non ve ne siete accorti. Questo è l’effetto, è l’insieme di tanti fattori di cambiamento riuniti in un fattore che li comprende tutti:  recuperare i “funzionamenti di fondo”. Le persone cambiano perché sto agendo su quelli e per di più attraverso tutti i canali psico-corporei: questa è l’integrazione, tutti i livelli del Sé insieme. Ma allora, ci chiediamo, la relazione non è importante, basta applicare le tecniche precise? No, certo. Ma l’idea che la relazione da sola produca cambiamento (siccome il terapeuta ha quel carisma, quella personalità), anche questo non è vero. Tante volte le persone mi fermano e dicono “è interessante quello che fai tu, ma nessuno allievo tuo può fare certamente questo: lo fai solo tu perché tu l’hai pensato, tu sei il caposcuola, tu sei particolare”. E invece ci sono terapeuti che sono bravi perché il metodo ha una sua potenza, enorme. Certo che noi diciamo che la relazione conta se parliamo di “nuovo genitore”: più relazione di così! Il nuovo genitore è quello che si prende l’altro come se fosse suo figlio, quindi si tratta di una relazione fortissima, viscerale, che prende tutto. E’ un’implicazione profonda. Non si può far finta in questo nostro modello perché se tu stai muovendo tutti i canali di comunicazione, li senti tutti e il paziente anche. Allora è chiaro che è importante la relazione, l’empatia, tollerare le angosce, interpretare il transfert, le strategie, l’abreazione emotiva, il rispecchiamento: ma non è solo questo; non possiamo pensare che la terapia veramente funzioni perché io sto lì e tengo il bambino in braccio e quello si vede rispecchiato. C’è solo la relazione? E questo è realmente la relazione? No, oltre alla relazione ci sono soprattutto i funzionamenti di fondo che cambiano attraverso il rapporto col nuovo genitore, funzionamenti che sono chiaramente psico-corporei con tutti i livelli del Sé. Quale sarà la psicoterapia del futuro? Diagnosi sul funzionamento, concezioni con salde basi scientifiche; e si vira sempre di più dai conflitti alle carenze di funzionamenti complessivi di fondo; si va sempre più in questa direzione. Non ci stiamo andando solo noi, ma ci stanno andando tanti, solo che bisogna capirlo esplicitamente dove si va.

Direzionalità nel progetto terapeutico e nella terapia

E poi, certo, c’è un discorso di progetto terapeutico, di precisione, di direzionalità.

Da dove nasce il progetto terapeutico?

Dalla diagnosi, diagnosi-progetto. Quando andiamo nel progetto, non andiamo per tipologie, non applichiamo le tecniche tento per applicarle, non muoviamo per poi dire: “Cosa è uscito fuori”? E’ questo l’ultimo punto da chiarire: ancora oggi si fa terapia seguendo ciò che in quel momento cade sotto l’attenzione del terapeuta e del paziente. Voglio spezzare quest’ultima lancia su questo punto. Cosa accade se prendo una persona, la metto lì e le chiedo “Cosa senti in questo momento”? Ora una persona può rispondere una cosa qualunque le venga in mente in quel momento. Siccome la mattina, ad esempio, ha fatto un passo falso con la destra, mi può rispondere: “Mi trema la destra”. “La destra??…La tua parte maschile!” E la seduta, la terapia, vanno in una direzione presa solo per casualità, per ciò che in quel momento cade sotto l’attenzione del paziente o del terapeuta. Moltissimi, che sono considerati bravi, che sono capiscuola, alla fine quello che ti dicono è: “Cosa senti? Cosa ti va di fare”? E in questo modo o la terapia va in direzione del caso, oppure procede in direzione di “vecchie tracce”, vecchie modalità di funzionare. Quando va male il paziente fa quella cosa, sente quella sensazione perché è il suo solito modo cronico e stereotipato di funzionare. E quando va bene si tratta di qualcosa del tutto casuale che in quel momento uno sta notando, ma per fatti che sono del tutto contingenti. Se io dico: “Vedo il bacino alterato”, poi da lì devo passare a capire cosa significa. Ma se io, che vedo il bacino, dico: “A te che ti fa pensare? Ma tu cosa senti”? in realtà in quel momento tu stai cogliendo quello che l’altro o ha casualmente nella sua mente, o nella vecchia modalità di essere e sentire. Ed è solo la sua mente ovviamente, non è la persona intera. Il modo di procedere in terapia non deve andare su vecchi funzionamenti, vecchie tracce. Il vero cambiamento è andare a recuperare i funzionamenti di una persona, che purtroppo non li ha più, o li ha inquinati con degli elementi incongruenti e inadatti che non le fanno ottenere veramente quella capacità.

Il progetto è per fasi, è direzionale, è preciso, e nasce da una diagnosi che è esattamente una diagnosi sul Sé e sui funzionamenti di fondo.

I funzionamenti di fondo:  livello epistemologico più avanzato

Il discorso corpo-verità non vale più, nel senso che noi guardiamo i funzionamenti che emergono a tutti i livelli perché l’alterazione colpisce tutti i livelli; certo, una singola Funzione può esprimere maggiormente, ad esempio, la Forza e un’altra di meno; ma alla fine in generale una persona che non ha la Forza non dice: “ Io nelle mia vita ho ottenuto questo, questo e questo”: ti dirà che non ha ottenuto niente o poco. Con i funzionamenti di fondo c’è stata una rivoluzione, anche in questo senso. I miei allievi terapeuti di una volta dicevano: “tu ci parli di un caso, ma non ce lo fai vedere, bisogna vedere il corpo di questa persona”, come se veramente soltanto da ciò si potesse capire e percepire i funzionamenti. Invece di Antonella ci è bastato vedere gli episodi della sua vita, e questo lo possiamo fare perché gli episodi li leggiamo in relazione ad alcuni funzionamenti di fondo, da cui abbiamo potuto dedurre che per lei la Forza è carente. Poi (potete mettere la mano sul fuoco) se le fai dare un colpo forte con le braccia sul materasso non lo saprà fare, potete stane certi. Il corpo è un qualcosa in più, un’ulteriore verifica, e nella diagnosi ha perso tutta questa sua importanza perché il funzionamento comunque lo si vede. Lo sguardo, l’espressione del viso, certo, ci dicono un sacco di cose, ma sono le stesse che puoi scorgere dai funzionamenti di fondo. Ecco perché ci possiamo occupare di un caso in questo modo, ecco perché possiamo farci una supervisione senza aver visto il corpo. In questa logica non ha più senso dire il corpo-verità, perché il corpo non è più separato dalla mente. Questa integrazione lo è anche nella disfunzione, nella patologia; tu la Forza carente la vedi nello sguardo, nella voce, come la vedi nelle azioni che la persona ha fatto, come la vedi nell’affrontare il marito, la vedi da tutte queste cose. È più interessante vedere i funzionamenti che le sole Funzioni del Sé. Ti porta subito al progetto, a cosa è successo prima. Le Funzioni del Sé sono fotografie che ti dicono com’è la persona oggi. I “fili rossi” ti portano dal prima ad oggi e ti parlano di funzionamenti e di progetto terapeutico. D’altra parte, quando noi facciamo una supervisione, la facciamo su una persona che non abbiamo assolutamente visto, né chiediamo al terapeuta di descriverci com’è o come non è. Sì, qualche volta qualcosa può essere interessante. Però soltanto vedendo come la persona ha funzionato nella vita, già solo questo ci permette di capire come funziona oggi. A volte anche con pochissime notizie rileviamo i funzionamenti. Quindi è vero che i funzionamenti sono qualcosa di sconvolgentemente nuovo che ci permette di guardare in contemporanea più cose, più situazioni sia nel passato, sia nella vita attuale. E’ una frontiera nuova, questo è il futuro. Quindi pensate che cammino: dal linguaggio del corpo ai funzionamenti. Pensate quanti anni luce sono passati rispetto a queste due modalità. Non diremo che il linguaggio del corpo non funziona più; ma succede qualcosa che è già successo e succede anche in altre scienze, come la fisica per esempio, con la teoria di Einstein e la teoria di Newton. Non è che la teoria di Newton non vale più, vale in un ambito più limitato: quella di Einstein la comprende al suo interno. Se io utilizzo il linguaggio del corpo, la lettura del corpo, vedremo lo stesso.  I funzionamenti comprendono la lettura del corpo e sono molto più precisi. Guardando il Sé, il linguaggio del corpo sono la morfologia, posture e forme; sono soltanto due Funzioni rispetto a tante altre. Le Funzioni sono costitutive del Sé, nel senso che sono nella sua organizzazione, e sono anch’esse funzionamenti di fondo così come le Esperienze di Base. Ogni Esperienza di Base è costituita da un modo di essere delle Funzioni. Le Funzioni determinano le Esperienze di Base, nel senso che l’insieme di Funzioni, posizionate in un certo modo, caratterizzano quell’Esperienza di Base. Quindi l’Esperienza di Base è un modo di essere nella vita, con se stessi o con gli altri, caratterizzata ognuna da una precisa maniera di essere di tutte le Funzioni (che costituiscono poi l’Esperienza di Base). Ma noi viviamo un’Esperienza di Base, non viviamo le Funzioni. Cioè un organismo non può essere senza un’Esperienza di Base; il suo modo di essere è in una di queste Esperienze di Base. E nella vita si passa da una configurazione all’altra, da un’Esperienza di Base all’altra. A volte, nel recuperare un’Esperienza di Base si lavora più su una Funzione che su un’altra,. Quando noi vediamo che c’è una Funzione in un’Esperienza di Base che è più significativa, ad esempio la voce nell’Esperienza della Forza, vi andiamo a lavorare di più. Faremo più tecniche utilizzando la voce nell’Esperienza di Base della Forza.

Come possiamo rappresentare il Sé?

Nuova rappresentazione Funzionale del Sé e delle Esperienze di Base

Proviamo a presentare in modo diverso il Sé e le Esperienze di Base. Disegnamo una persona con diverse polarità. Rabbia-tenerezza; dolcezza-durezza; movimenti piccoli-movimenti ampi; vagotonia-simpaticotonia; femminilità-valori maschili; ricordi positivi-ricordi negativi, etc. Il Sé è costituito da un’organizzazione di Funzioni, che vanno avanti e indietro tutte quante, da una polarità all’altra. Se la persona è sana (cerchietto blu) si può dire che la persona spazia tra le due polarità; ovviamente potremmo anche dire che se il cerchietto è grande, lo spazio che occupa questa Funzione, queste due polarità è più grande rispetto ad altre che hanno meno spazio nella vita di quella persona. Che cos’è l’Esperienza di Base? Prendiamone una, prendiamo l’Essere Tenuti. In questo caso tra tenerezza e rabbia, dove sta la Funzione? Sta nella tenerezza, nei movimenti piccoli, posture aperte ecc. quindi tutti questi livelli delle Funzioni tra le due polarità caratterizzano l’Essere Tenuti. Basta che una di queste Funzioni non sia nella posizione giusta per avere una non pienezza nella Esperienza di Base, una alterazione. Ora è evidente che se io ho tutta la gamma a disposizione, posso andare nella dolcezza quando serve e nella durezza quando serve; ma se io nella dolcezza non ci posso andare, nemmeno nell’Essere Tenuto, cioè quando potrei permettermelo, vuol dire che io nella dolcezza non ci posso proprio andare. E quindi lavorerò su quella Funzione emotiva, ma all’interno dell’Esperienza di Base dell’Essere Tenuti; riproponendo altre tecniche sull’Essere Tenuti, e aiutando la persona nella dolcezza con un tocco dolce, con una voce dolce, con immagini dolci, con parole che richiamano la dolcezza. Diamo tanti piccoli suggerimenti per far sì che piano piano l’Essere tenuti ritorni a quella persona pienamente. Però noi proponiamo l’Esperienza dell’Essere Tenuti, non è che gli diciamo “su fai un po’ di dolcezza”. In realtà noi lavoriamo fondamentalmente sull’Esperienza di Base, cioè riproponiamo questo Essere tenuti aggiustando tutte le Funzioni in modo che sia più piena e possibile. Questo è il rapporto tra Funzioni ed Esperienze di Base; questa configurazione di Funzioni deve essere sulle polarità giuste. Per ogni Esperienza di Base noi possiamo tracciare una configurazione del Sé, e questa di cui ci siamo occupati è l’Essere Tenuti (un’immagine che potremmo disegnare). Sarebbe interessante vedere per ogni Esperienza la configurazione, stiamo cominciando a farlo. Poi a questo punto dovremmo aggiungere una cosa di grande finezza. Questo è l’Essere Tenuti; poi questo nero sapete cos’è? È veramente un’alterazione dell’Essere Tenuti? Non è un rosso patologico. È l’identità della persona. Sarebbe stupido pensare che tutti hanno la stessa ampiezza della dolcezza, la stessa ampiezza dei movimenti piccoli. Noi abbiamo delle caratteristiche, purché non siano sul rosso (patologico) cioè dove la tenerezza non ce l’abbiamo proprio e stiamo sempre sulla rabbia.  Allora uno avrà più tenerezza, un altro più durezza; questa è identità, è la differenza tra individuo e individuo. Perché per te può essere più importante l’immaginazione, per te le sensazioni; cioè ognuno risuona di più a qualche cosa. Siamo diversi per tutte le Esperienze di Base; non possiamo pensare che tutti funzionino nello stesso modo nell’Essere Tenuti. Tu aggiusti tutte le Funzioni e le ricomponi recuperando una Esperienza di Base, che non sarà proprio identica per tutti, con le Funzioni che hanno le stesse identiche posizioni tra le polarità: non identiche ma comunque molto simili tra un soggetto e l’altro. E infatti  in terapia c’è un’altra cosa che è importante: quello che è esattamente uguale per tutti non è la quantità, l’ampiezza di una Funzione, ma sono gli effetti e le sensazioni che ciascuno prova quando recupera più o meno quella Esperienza di Base. Su questo potete stare certi: effetti e sensazioni o vissuti (possiamo anche chiamarli così), tutti sentiranno gli stessi. Tutti sentiranno un certo calore che si diffonde fino alle dita, sentiranno una sensazione di calma e tranquillità, sentiranno il corpo abbandonato. Queste sensazioni, questi vissuti di base sono uguali per tutti. Ecco perché in terapia se ti viene il formicolio, se tu sprofondi, se tu hai la leggerezza, questa non riguarda solo te, ma è una cosa che succede esattamente a tutti. Questo è molto importante perché ci permette di capire veramente se la persona ha recuperato in pieno l’Esperienza di Base oppure no. La differenza tra differenti soggetti riguarda il fatto che uno collega di più sensazioni e vissuti a una emozione, un altro a un ricordo, e così via.

L’intervento sui funzionamenti di fondo

Infine, dobbiamo dire che tutto ciò da nuove e grandi potenzialità alla terapia Funzionale, al Funzionalismo. Perché possiamo intervenire sulla complessità agendo sui funzionamenti di fondo, possiamo agire su tutti i piani del Sé senza perderci in mille rivoli di quel movimento particolare, quelle parole, quel gesto, quel pensiero che caratterizzano la modalità di articolarsi del funzionamento di fondo in una determinata situazione, in un determinato contesto. Noi agiamo a monte, sugli elementi più semplici ed essenziali che caratterizzano appunto il funzionamento di fondo: gesti, movimenti, voce, emozioni, respiro, attivazioni fisiologiche, pensieri, immaginazioni che sono universali, di tutti gli essere umani. Perciò nelle tecniche utilizziamo modalità tipiche dei bambini, perciò le parole del terapeuta  sono semplici e chiare, valgono per tutti e non per un solo paziente, ed evocano sensazioni e vissuti e pensieri e immaginazioni tipici di quell’Esperienza di Base, validi per tutti. Agendo sui funzionamenti di fondo possiamo riaprirli mano a mano, senza mai correre il rischio della teatralità, della recitazione, della finzione. Sarà poi la persona che, recuperata l’Esperienza della Tenerezza o della Forza calma,  la metterà in atto con i genitori, con il partner, al lavoro: con gesti, parole, sfumature emotive particolari adatti alla particolare situazione. Ma sarà il funzionamento di fondo recuperato a rendere la persona capace di quei gesti, quelle parole, quelle sfumature emotive: dettagli che in ogni caso saranno profondamente congruenti con le modalità essenziali e tipiche del funzionamento di fondo che ne è alla base.