Psicoterapia Funzionale: I Fondamenti scientifici della Psicoterapia corporea.

Luciano Rispoli, 1995.             

Nell’articolo si prendono in rassegna le basi teoriche della psicoterapia corporea, così come si sono andate delineando nel corso del loro sviluppo, ed in particolare come si presentano oggi nella sistematizzazione generale che ne ha fatto la Psicologia Funzionale. In particolare vengono presi in esame i principi relativi a: a) teoria di personalità e sviluppo evolutivo, b) alterazioni e insorgere dei disturbi, c) teoria della tecnica.


Introduzione

Abbiamo più volte affermato che la psicoterapia corporea non viene definita da un “campo di applicazione”, dal fatto cioè che nelle sue tecniche si interviene direttamente anche sul corpo del paziente, bensì da un impianto teorico originale e particolare, differente da quello degli altri approcci clinici, relativamente al rapporto mente-corpo, allo sviluppo evolutivo, alla configurazione e alle alterazioni patologiche di individui, famiglie, gruppi. La psicoterapia corporea costituisce una delle grandi aree teoriche della psicologia, uno dei modelli interpretativi generali del funzionamento della persona, basato su un lungo percorso di esperienze, ricerche, verifiche, sia al suo interno, sia in campi scientifici affini, quali la psicofisiologia, la psicologia evolutiva, la neurofisiologia, e così via. I costrutti su cui si basa la psicoterapia corporea non sono dunque vaghi ma ben determinati, e costituiscono un complesso di proposizioni riguardanti in primo luogo lo sviluppo evolutivo e l’organizzazione di personalità, in seconda istanza l’alterarsi delle condizioni di benessere e di salute cioè i processi eziopatologici, e solamente alla fine una teoria della tecnica più strettamente operativa, costituita da diagnosi, progetto e metodologie terapeutiche.

Gli sviluppi della psicoterapia corporea.

Ora, all’interno del lungo cammino della psicoterapia corporea (oltre 70 anni di vita), sono esistite numerose differenziazioni, differenti sviluppi, varie direzioni di ricerca e di interesse, da Reich che pose il principio fondamentale di identità funzionale tra psiche e soma, in avanti. Per citare solo alcuni degli autori più significativi, pensiamo al filone americano: con Lowen e Pierrakos, la teoria del movimento di Bull, la terapia primaria di Casriel e di Janov, la teoria psicomotoria di Pesso, Kurtz e Prestera, il rebirthing di Orr, il massaggio profondo di Painter, le ricerche di Jhonson e Downing, le teorie di Keleman e Levine. In Europa la psicoterapia corporea si è sviluppata in altrettanti numerosi rami, con l’eutonia di Gerda Alexander, la psicoperistalsi di Boyesen, i movimenti di Mathias Alexander, la scuola norvegese di Nic Waal, Bulow-Hansen, Bunkan, Thornquist e Blumenthal, gli apporti tedeschi di Petzold, l’antiginnastica di Bertherat, l’analisi psicoorganica di Fraisse, la psicodinamica della pelle di Dolto, il cubo di Maurer, la somatoanalisi di Meyer, la biosistemica di Liss. Inoltre citiamo, per la loro capacità di sistematizzazione dei principi teorici dell’intera area, le opere di Boadella e di chi scrive. Numerose altre sono state comunque le influenze sul complesso campo della psicoterapia corporea: dagli studi sulla psicomotricità, a quelli sulla danza e l’espressione corporea, dal training autogeno alle varie esperienze di massaggio, dagli sviluppi della gestalt alle varie tecniche di rilassamento indotto in differenti modi. Oggi possiamo a buon ragione dire che è in corso una fase di riconsiderazione generale di tutti questi vari e complessi elementi che ne hanno fatto parte. Anche se gran parte del lavoro di ricollegare tutta questa ricchezza di esperienze e di idee va ancora fatto, studi più recenti cominciano ad individuare e riordinare i principi di base su cui l’intera area della psicoterapia corporea si poggia.

L’obiettivo di questo scritto è appunto quello di dare un ulteriore contributo in tal senso, provando ad esporre, anche se in modo necessariamente sintetico, i punti discriminanti del sistema teorico complessivo della psicoterapia corporea, ma facendo riferimento soprattutto alla più recente visione: quella della psicologia Funzionale. Si tratta di una ipotesi di partenza che tende, in definitiva, a superare le limitazioni dei vari approcci clinici, per la costruzione di una teoria complessiva del Sé, di una teoria generale e complessiva del funzionamento umano e degli interventi a livello preventivo, a livello di sviluppo e di terapia. Per gli approfondimenti, i riferimenti più puntuali ai vari autori e i collegamenti con gli altri rami della ricerca scientifica, rimandiamo alle bibliografie specifiche.

Struttura di personalità e sviluppo evolutivo

– L’ipotesi pulsionale di fondo della psicoterapia corporea nasce già con Reich che sosteneva l’esistenza di una pulsione fondamentalmente unitaria, una spinta che muove genericamente verso la vita; si esclude cioè l’ipotesi di un istinto di morte primigenio, di una distruttività innata nel neonato. Le negatività persistenti (quelle non legate a reazioni passeggere e giustificate) sono considerate già come una alterazione, una conseguenza del disagio del bambino nel non essere stato accolto ed aiutato a sufficienza per quanto riguarda i suoi bisogni fondamentali.

– La tendenza più recente (del resto presente anche in altri approcci terapeutici come quello psicoanalitico) è quella di abbandonare la teoria quantitativa delle pulsioni in favore di una visione qualitativa delle stesse: nel senso di linee direttrici lungo le quali l’essere umano si muove sin dall’inizio e che saranno presenti in tutta la sua vita. Queste direzioni sono tutte indispensabili per uno sviluppo armonico e integrato del Sé, e devono essere perciò tutte presenti e incoraggiate sin dalle prime esperienze di vita del bambino: essere contenuto – calore – nutrimento – percepirsi e sentirsi – curiosità e conoscenza – contatto e manipolazione – progettare – movimento – espressione – espansione – sessualità – amore. L’individuo si muove spinto da questi bisogni fondamentali (che hanno necessità di essere sodisfatti tutti); ma non nel senso meccanicisticamente “idraulico”, di una energia che quando si è accumulata porta ad agire per scaricarsi, bensì in un bisogno di ritrovare in tutta la vita esperienze di tal genere, esse stesse vitali e significative per il benessere dell’individuo.

– Il bambino sano (così come l’adulto sano) ricerca tali esperienze vitali, procede lungo tali direzioni, e la sua mobilità ed elasticità gli permettono di soddisfare questi bisogni di base con vari oggetti, che sono per lui (fino ad un certo punto) intercambiabili. Quando un bambino non può cambiare l’oggetto che gli fornisce calore, o nutrimento, o curiosità, è già intervenuta una limitazione alla sua mobilità, con il corrispondente pregiudicarsi di uno sviluppo pieno e sano del Sé. Analogamente succede se differenti mete pulsionali, differenti direzioni di sviluppo, finiscono con il confondersi tra di loro: cosicché uno finisce per cercare il calore nella sessualità, l’essere contenuto nel nutrimento, e così via, in una ricerca che, proprio perché la meta pulsionale è confusa, può non arrivare mai ad un raggiungimento soddisfacente.

– Non staremo qui a ripetere ancora una volta come le più recenti ricerche sull’infanzia abbiano dimostrato che il neonato non è isolato dall’ambiente, non ha soglie percettive alte, e che non è passivo nei rapporti con l’esterno.

In accordo con queste ricerche, la psicoterapia Funzionale corporea ha superato da tempo il concetto di narcisismo primario come era stato formulato in maniera classica[1], nonché di simbiosi[2]. Si pensa piuttosto ad una vita indipendente del neonato sin dall’origine, ad una sua partecipazione molto attiva nella relazione, ad una capacità di muovere in modo intenso l’ambiente a suo favore, ad una potenzialità di relazionarsi positivamente con più figure adulte di riferimento.

– Il neonato viene considerato come una persona completa (anche se in una visione non adultomorfica); certo con le sue caratteristiche specifiche in evoluzione, ma non come un “non-adulto”. Nel neonato sono presenti sin dall’inizio tutte le funzioni del Sé, anche se in modo rudimentale e non complessificato: dalle emozioni alle fantasie, dalle percezioni ai movimenti espressivi, dall’attivazione fisiologica (adeguata alle situazioni esterne) alle capacità logiche e razionali di paragonare, analizzare, discriminare, associare.

– D’altra parte anche la nascita non rappresenta un vero e proprio salto di discontinuità, una rottura con la vita precedente, perché già nella vita intrauterina è possibile individuare elementi che fanno pensare ad una emozionalità, ad una espressività corporea legata a disagio o contentezza, ad una diffusa e sviluppata capacità percettiva (il dito in bocca, lo scalciare quando si è scontenti, il tranquillizzarsi dei movimenti quando si allenta la tensione della parete uterina, la capacità di riconoscere la voce materna, e così via).

Certo, dopo la nascita si sviluppano molto di più i movimenti, la visione; si aggiunge il respiro, la scansione più precisa di tempi e ritmi, la voce. Ma tutto ciò rappresenta una complessificazione di ciò che il feto già in abbozzo era in grado di fare, piuttosto che un salto verso una vita sconvolgentemente e dolorosamente sconosciuta. La nascita è una bella sensazione di espansione più che una caduta in un mondo inospitale e angosciante.

– Anche la coscienza è presente sin dall’inizio, come capacità di rappresentazioni e schemi, pur se non ancora in forme più avanzate di autocoscienza. La cosiddetta “teoria della mente” (per esprimere lo stesso concetto in altri termini) è presente, anche se in forma rudimentale, anch’essa sin dall’inizio, e non è un punto di approdo successivo.

– Dalla lunga pratica della psicoterapia corporea emerge prepotentemente l’esistenza di una sorta di memoria periferica, non centrale, una cosiddetta memoria corporea, un qualcosa che può autonomizzarsi dal resto delle funzioni del Sé, restare incapsulato nei vari distretti del corpo, e riemergere quando andiamo con varie tecniche a lavorare su di essi.

La memoria corporea o periferica consta (a quanto possiamo saperne sino ad oggi) di almeno cinque elementi differenti:

  1. a) Il tono muscolare di base può subire delle alterazioni di tipo cronico, rappresentando così una traccia “mnestica” di quanto può essere accaduto nella vita del bambino nella sua relazione con gli adulti. Una parte del corpo, attraverso questa alterazione del tono di base permanente, ha dovuto cancellare un movimento, una sensazione, trattenerne un altro, renderne ripetitivo un altro ancora sottolineandolo, e così via. Quella parte del corpo conterrà congelata la memoria di tutto ciò, e a volte questa memoria potrà restare solo nell’alterazione del tono muscolare scomparendo o sbiadendosi sul piano dei ricordi o su quello delle emozioni.
  2. b) Anche le percezioni tattili (di piacere e di dolore), possono restare modificate permanentemente, alterandosi le soglie di innesco. Accade così che alcune zone del corpo diventino sensibilissime al dolore e altre quasi insensibili, a seconda del ruolo che esse hanno giocato nelle medesime vicende relazionali di cui si diceva sopra.
  3. c) Le posture possono divenire abitudinarie e ripetitive, conservando in esse una sensazione cenestesica, una propriocezione, legata ad un episodio antico che in esse si è cristallizzato, incapsulato. La ripetizione di tale posture produce direttamente la vecchia sensazione, senza passare (così come anche negli altri due casi) per un ricordo contenuto nella memoria centrale.
  4. d) La respirazione può assumere sequenze ripetitive e alterate rispetto ai funzionamenti normali, riproducendo all’interno dell’organismo segnali permanenti di allarme, ansia, pericolo, sforzo esagerato.
  5. e) Infine, le sensazioni interne possono incanalarsi in solchi abtudinari di connessioni sinaptiche, in tracce di neurotrasmettitori, in alterazioni dei sintomi alaboratori delle propriocezioni.

– L’importante scoperta della memoria corporea riporta ad un punto fondamentale per la psicoterapia corporea, quello della circolarità del rapporto mente-corpo, o meglio dei processi psicocorporei. Ciò significa che tutti i processi psicocorporei, o con altri termini tutte le Funzioni del Sé, contribuiscono pariteticamente all’organizzazione della vita e del comportamento, e non c’è una gerarchia di tipo piramidale secondo la quale (come è per quasi tutti gli altri modelli teorici) il mentale controlla dall’alto tutto il funzionamento dell’organismo umano.

– Tale concetto di psicocorporeo, a meglio precisare, è un superamento definitivo della dicotomia psiche-soma, e anche dell’uso di questi due termini, che risultano comunque vaghi e generici se non anche ambigui.

E’ per queste ragioni che la psicologia Funzionale è scesa a guardare nel concreto questo complesso ed unitario sistema psicocorporeo, attraverso vari piani e sottopiani, o meglio attraverso tutte le Funzioni del Sé, senza più distinguerle in corporee e mentali.

– Queste Funzioni del Sé sono quelle che permettono all’essere umano di utilizzare sin dall’inizio le sue esperienze di vita in una costruzione sempre più complessa di relazione e di conoscenza. L’ipotesi di fondo è che esse siano non solo presenti tutte sin dall’inizio (anche se, come dicevamo, almeno in forma più rudimentale e semplificata), ma anche profondamente e strettamente interconnesse tra di loro. Parliamo qui, cioè, di una integrazione primaria, di un considerare il bambino sin dall’inizio non scisso e frammentato, così come non si ritiene scisso e frammmentato l’oggetto con cui egli si relaziona.

Per la psicoterapia corporea l’integrazione non è uno stadio successivo da raggiungere faticosamente dopo essere stati in balìa di angosciose pulsioni, di un magmatico e incontenibile movimento interno, di vissuti scissi e sconnessi. Se l’integrazione è originaria e non arriva solo quando si è formato l’Io, sono allora possibili sin dall’inizio sia gratificazioni per esperienze positive, sia frustrazioni quando viceversa non si sono sentiti accolti i bisogni fondamentali di vita.

– Ne deriva di conseguenza che il “mentale” non viene alimentato da un’assenza di gratificazioni, dalla presenza di frustrazioni (siano pure “ottimali”), perché non è dal sospendere le soddisfazioni di una vita vegetativa corporea iniziale che esso trae origine. Il mentale non emerge successivamente da un corporeo primordiale, ma entrambi sono presenti pariteticamente, nelle varie funzioni e processi psicocorporei, sin dall’inizio. Il mentale e il corporeo, o meglio tutte le Funzioni psicocorporee, si alimentano, secondo la visione della psicoterapia corporea e in particolare secondo l’approccio Funzionale, l’un l’altra, intensificandosi vicendevolmente. Sono dunque le soddisfazioni di tutti i bisogni di base (sia pure alternati a pause e a momenti di mancanza e non le frustrazioni), a far crescere l’intelligenza, la capacità elaborativa, la vita simbolica del bambino, così come del resto tutte le sue altre capacità.

– Ne deriva allora, se si vuole specificare ulteriormente il concetto precedente, che per ogni cucciolo umano esistono delle Esperienze Fondamentali che devono avere uno svolgimento positivo perché siano assicurati: la continuità di esistenza del Sé (senza precoci brusche interruzioni), la conservazione dell’integrazione originaria, uno sviluppo armonico ed effettivo di tutte le Funzioni psicocorporee.

Le Esperienze Basilari del Sé (il potersi abbandonare all’altro, il poter stare, amare, nutrirsi, la forza calma, l’aggressività affettuosa, tenere e lasciare, e così via) sono proprio quelle che, se carenti hanno bisogno di essere completamente ricostruite in psicoterapia, per poter accedere a degli esiti differenti da quelli che si sono cristallizzati nella vita del paziente.

– La psicoterapia Funzionale è attenta dunque a tutte le Funzioni del Sé e a tutti i livelli attraverso cui passa la relazione (sia quella primaria che quella successiva terapeutica). Il corporeo non è visto come “fisicità” ma come complesso sistema di piani che non comprendono solamente quelli più noti: posture manifeste, espressioni del viso, i gesti-segnale, i movimenti più macroscopici. La concezione Funzionale scende sin ai livelli più sottili e profondi: movimenti involontari, piccoli movimenti (di tutte le varie parti del corpo), attivazione degli apparati interni all’organismo, varie forme che il corpo prende. Sono tutti questi livelli, infatti, che contribuiscono con egual importanza a formare la configurazione complessiva del Sé.

– Da tutto quanto detto ne discende, anche, che lo sviluppo evolutivo procede con una complessificazione di tutte le Funzioni del Sé: aumentano sfumature e coloriture, ma non si aggiungono Funzioni completamente nuove, né intervengono nuove strutture. La concezione Funzionale, anzi, si pone come superamento sia di un modo strutturale di concepire l’essere vivente, sia di un modo puramente esperienziale e psicologistico.

– Nel procedere delle fasi di vita è tutto il Sé del bambino ad essere coinvolto. E’ difficile, allora, considerare che solo alcune zone del corpo sono quelle investite (simbolicamente e concretamente) in differenti fasi dello sviluppo, perché ad essere coinvolte sono, invece, tutte quelle parti impegnate ad esprimere, a bloccare o a modificare le varie situazioni relazionali ed affettive tra il bambino ed il mondo circostante.

La sensibilità della schiena o della testa non è meno significativa in un neonato di quella della bocca, così come il contatto delle mani sul seno o lo sguardo occhi-occhi hanno, proprio durante l’allattamento, una importanza e una carica non certo inferiori al  succhiare vero e proprio. Questo ci fa capire come in genere per la psicoterapia corporea di moderna concezione non si possa più parlare di una corrispondenza meccanicistica di alcune parti del corpo con determinate emozioni, ma piuttosto dell’idea che in ogni parte del corpo si possano leggere molteplici e svariati stati emozionali.

– Al contempo perdono di senso anche visioni generalizzanti e limitate, quali sono le tipologie, che si basano sul primato di alcune parti del corpo, oppure su richiami a stadi arretrati dello sviluppo libidico, (quali l’oralità, l’analità, la genitalità), oppure su comportamenti schematizzati. Quello che conta, ivece, è il funzionamento specifico di una determinata persona: il funzionamento complessivo dell’organismo comprendente tutti i piani del Sé, che è caratteristico ed unico per ciascun individuo.

Le alterazioni e l’insorgere dei disturbi: teoria patogenetica

– Come già si è intuito esaminando questa teoria evolutiva, l’ipotesi di fondo di un’integrazione primaria del Sé del neonato porta come possibile esito quello di probabili sconnessioni successive tra i vari piani e le varie Funzioni del Sé. Man mano che il bambino procede nel suo impatto con il mondo esterno le sue Funzioni, armonicamente interconnesse, possono subire differenti alterazioni se questo mondo non è protettivo nei suoi confronti, non è capace di dargli sicurezza totale durante il suo periodo di neotenia (quel periodo in cui egli deve acquisire e mettere a punto tutte le capacità e le competenze che lo renderanno in grado di essere veramente indipendente). I conflitti con l’ambiente esterno diventano allora si, a poco a poco interni, diventano carenze. Il bambino deve assumere troppo precocemente la funzione di autoprotezione: è lui a diventare responsabile della propria sopravvivenza fisica ed affettiva. Si interrompe la continuità del Sé e delle esperienze positive, ed il bambino è costretto a trovare le strade meno dannose per resistere alle condizioni di non pieno accoglimento, finendo comunque per modificare l’organizzazione complessiva dei suoi processi psicocorporei. Ci saranno emozioni che devono essere trattenute, espressioni che si ripeteranno troppe volte, paure che devono essere bloccate e così via.

– Le alterazioni che intervengono possono essere di vario tipo:

Sconnessioni tra i piani funzionali o anche all’interno di uno stesso piano: una postura che esprime tristezza senza che ve ne sia consapevolezza; un’eccitazione fisiologica di paura anche quando non c’è nessun pericolo; un’emozione di apertura mentre una parte del corpo esprime ostilità, e così via.

Ipertrofie e ipotrofie di una determinata Funzione rispetto ad uno sviluppo armonico con tutti gli altri piani Funzionali (una rabbia troppo grande, pochi ricordi, pochi movimenti dolci, esagerati movimenti bruschi, eccessiva razionalità, ecc.).

Stereotipie delle funzioni che possono diventare ripetitive, sclerotizzate (un movimento sempre identico, le mani sempre sudate, pensieri che ritornano continuamente, sempre lo stesso tipo di ricordi).

– La concezione del Sé come un’organizzazione Funzionale ne permette anche una chiara e immediata rappresentazione grafica, nella quale tutti i processi e i piani psicocorporei, le varie Funzioni del Sé, vengono simbolizzati con dei cerchi (o delle sfere) più o meno vicini tra di loro, più o meno sviluppati, più o meno ispessiti (irrigiditi e sclerotizzati).

Dalle tipologie, dunque, la psicoterapia Funzionale ritorna alla considerazione della singola persona, con la sua storia, la sua unicità, la sua configurazione del Sé; anche se tale configurazione ripercorre modalità rappresentative e schematizzazioni convenzionali uguali per tutti. Il risultato è di esaltare la tipicità del quadro Funzionale di ogni singolo individuo e al contempo anche la tipicità della rappresentazione, la quale permette di paragonare una situazione all’altra, di inquadrare le vicende singolari in una più ampia vicenda generale.

– Il collegamento tra le varie Funzioni del Sé, anche quando ci sono in atto delle alterazioni, non scompare mai completamente ma può allentarsi e divenire non diretto, distorto. Ciò comporta la considerazione che non è sempre efficace modificare un solo piano Funzionale, perché a volte le conseguenze su altri piani dell’azione terapeutica in atto possono essere molto diverse da quelle volute e ipotizzate. Intensificare le sensazioni tattili di un paziente potrebbe portare, ad esempio, a fantasie di pericolo anziché a sensazioni di sicurezza e di tranquillità, se quel contatto è stato alterato da antiche esperienze negative, e l’emozione è rimasta sconnessa dalla sensazione percettiva.

– Se osserviamo ancora più da vicino ciascun piano Funzionale, ciascuna Funzione, possiamo vedere che la sua alterazione può riguardare in particolare tre aspetti:

L’ampiezza della Funzione: nel senso che la gamma delle possibilità può diventare limitata ad una sola parte dell’intero continuum (prevalentemente paura più che tranquillità, debolezza e non forza, simpaticotonia e poca vagotonia).

La modularità: cioè la capacità di passare da un polo all’altro della gamma con continuità e morbidezza, più volte nel corso del tempo, in un andamento appunto “modulare” e a sinusoide.

La mobilità: la capacità di modificare rapidamente il proprio stato, senza restarne “invischiati” a lungo, passando con facilità da un polo all’altro della gamma (dalla chiusura all’apertura, dalla rabbia alla affettuosità, dall’immobilità al movimento veloce).

– I concetti di “blocchi muscolari”, “blocchi affettivi”, “anelli corporei”, così come altri concetti di tal genere sono oggi sostituiti da concezioni più dinamiche, più complesse, e al contempo anche più precise e particolareggiate.

Allo stesso modo la “corazza muscolare” non viene vista più solo come un indurirsi della corporeità dell’individuo, ma come una fissità del tono muscolare, dei movimenti e delle posture. La patologia, per fare un ulteriore esempio relativo al campo del fisiologico, non viene tanto dalla simpaticotonia del sistema neurovegetativo, ma da una mancanza di alternanza morbida e “sinusoidale” tra vagotonia e simpaticotonia, a seconda delle reali situazioni esterne.

– La caratterialità assume un significato molto più dilatato di quello precedente dei primi tempi della psicoterapia corporea (legato alle varie tipologie). Essa diviene una vera e propria costellazione delle espressioni dell’individuo, una sorta di messaggio ripetitivo che la persona manda all’esterno e che viene remesso da più piani funzionali: gli atteggiamenti, il contenuto delle parole, il modo di guardare e di muoversi, lo sviluppo di alcune parti del corpo e così via. La caratterialità non è più vista in alternativa al sintomo; in quanto sintomo e carattere appaiono sempre insieme, come aspetti differenti dell’intera alterazione del Sé: l’uno come manifestazione di tipo estraneo e l’altro come “messaggio” dolorosamente “gridato” al mondo circostante, inglobato nella personalità, e perciò vissuto inconsapevolmente e non come elemento disturbante esterno. La caratterialità, in fondo, rappresenta una rigidità intervenuta nella vita del paziente, una limitazione della mobilità, delle strategie, delle possibili strade da percorrere.

– Con la concezione Funzionale del Sé viene a modificarsi profondamente il concetto di rimozione, in quanto una certa espressività può risultare assente, rimossa, non solo dal piano della consapevolezza, ma da ciascuno di tutti i vari piani Funzionali del Sé, per ritrovarsi in forme più o meno dirette, più o meno alterate, su alcuni degli altri piani Funzionali. Ciò che è rimosso dalle fantasie lo si può ritrovare in parte sul piano muscolare, ciò che non appare più nelle posture ricompare in altre forme nel sistema neurovegetativo, e così via. Il concetto di rimozione, e per certi versi anche quello di inconscio, assumono un aspetto a “tutto tondo”, si ripresentano con una simmetria di tipo sferico su tutti gli aspetti del Sé.

Metodologie terapautiche e di intervento. Teoria della tecnica

– Uno degli assiomi più in voga in quelle frange che hanno sempre male interpretato il senso vero della psicoterapia corporea era che il corpo aveva dentro di sé la “verità”, e che bastava dunque muovere questo corpo, non importava come, per poter automaticamente imbroccare la strada della guarigione. In realtà, al di là della difficoltà di distinguere ciò che è strettamente e unicamente corporeo, sappiamo che non è così, e la psicoterapia Funzionale ha bene messo a fuoco la necessità di ritrasformare tutte le Funzioni che hanno subìto un’alterazione, e che “muovere per muovere” il corpo può invece portare anche ad un aggravarsi delle patologie o, nel migliore dei casi, non sortisce effetti significativi e duraturi.

– La psicoterapia Funzionale è sempre complessivamente comprensiva non solo di una parte più diagnostica, nella quale, lasciando esprimere la persona così come è in grado di fare, emergono in modo evidente le sue stereotipie e le sue sconnessioni caratteristiche, ma soprattutto di una parte più chiaramente terapeutica, in cui l’attenzione e le tecniche sono volte alla trasformazione delle condizioni alterate del paziente.

– I fattori di cambiamento in psicoterapia corporea prendono anch’essi un aspetto “a tutto tondo”, così come lo prende la configurazione complessiva del Sé. La teoria Funzionale mostra in modo più chiaro come non sia sufficiente solo una abreazione emotiva, così come non lo è il fattore topico volto a portare alla consapevolezza parti di Sé inconsce. Analogamente risultano insufficienti le tecniche tese genericamente a sbloccare, a smuovere, a far “scaricare”, a far sentire le emozioni, a far esplodere, a far accadere cose eclatanti; così come quelle tese solo all’insight, alla simbolizzazione, al rendere “pensabili” le esperienze dolorose e quelle arcaiche.

Abbiamo piuttosto un insieme di fattori di cambiamento che riguardano le emozioni come la consapevolezza, le posture come i movimenti, la respirazione come il tono muscolare, la voce come le espressioni del viso, il sistema neurovegetativo come il mondo simbolico. Il punto centrale non è la scarica né la comparsa di quella o quell’altra emozione o di un ricordo, né la comprensione di una propria situazione, e neppure la modifica di uno schema cognitivo. Lo scopo non è nemmeno quello limitato di rafforzare l’Io e renderlo in grado di tollerare le angosce. In psicoterapia Funzionale il punto centrale consiste invece nel ridare mobilità e integrazione a tutte le Funzioni del Sé, a rendere nuovamente integrata ed armonica la sua configurazione complessiva. Il fattore di cambiamento è la riorganizzazione di tutti gli elementi del Sé. L’individuo deve poter riappropriarsi di tutte le possibili sfumature, di tutte le posizioni intermedie nelle gamme di comportamento, di ideazione, di emozioni, di espressione corporea, e poter essere se stesso in modo unitario, e soprattutto adeguato e congruente con le circostanze della vita di ogni giorno. Non si tratta di essere una persona che debba per forza esprimere sempre tutto all’esterno, incapace di filtrare alcunché, sempre spontanea e “naïf”. Si tratta piuttosto di non essere più costretti a essere limitati, ma poter dare di se stessi quello che si vuole e soprattutto quando si vuole. La psicoterapia Funzionale tende dunque a ricostruire la mobilità del Sé, la sua integrazione, la sua configurazione armonica, riconnettendo, riespandendo Funzioni atrofizzate, riallargando le gamme tra due polarità, ridando modularità all’andamento della vita ed espansione alla persona.

– Una delle ipotesi fondamentali è che per ottenere questo non si può mai agire unicamente ad un solo livello, utilizzando soltanto il simbolico, o gli schemi cognitivi, o il movimento del corpo: perché i cambiamenti che in tal modo si ottengono finiscono per essere (in misura più o meno maggiore a seconda della connessione residua del piano Funzionale su cui si sta svolgendo l’azione terapeutica con tutto il resto del Sé) poco profondi, meno diretti, troppo lenti e comunque poco stabili nel tempo. Le Funzioni che non si sono modificate direttamente finiscono con il retroagire sulle restanti parti del Sé, risucchiandole a poco a poco nelle vecchie stereotipie e nelle vecchie alterazioni.

Indispensabile è dunque intervenire su tutti i piani del Sé, anche se non sempre dall’inizio, ma secondo modalità che sono le più adatte per ciascuna configurazione di ciascun paziente.

– E’ possibile così pensare a un progetto terapeutico complessivo e ad una serie di percorsi e di strategie non più dettati dal caso, e nemmeno da una generica e irrealistica suddivisione in “tipologie”, ma adattati e calibrati in modo preciso su ciascuna situazione, su ciascuna configurazione del Sé (sia di una singola persona, o di una famiglia, o di un gruppo, di un’équipe, o anche di una istituzione e di una intera città).

– Da quanto detto sinora ne discende che la psicoterapia non è un processo statico in cui le modalità sono sempre le stesse, ma un processo che si sviluppa per fasi differenti tra di loro, nelle quali con il trascorrere del tempo e l’avanzare del processo divengono differenti il rapporto transferale e la relazione tra terapeuta e paziente, differenti gli obiettivi parziali, e differenti anche le “modalità terapeutiche”[3] messe in atto.

Questo tipo di terapia viene definita come modulare ed evolutiva, perché in essa viene posto l’accento su un andamento che evolve e cambia nel tempo, insieme ad una modularità, per dirla in una parola riassuntiva, dell’intero setting.

– Anche se per un periodo di tempo sono state molto di moda le tecniche corporee (e tuttora lo sono), la psicoterapia corporea non può mai essere confusa con una o più di tali tecniche. La psicoterapia è invece un processo complessivo, costituito da un iter che ha un suo sviluppo e un suo andamento, un inizio e una fine; il tutto reso possibile soltanto dall’esistenza di una relazione con il terapeuta.

Ed è per questo che la terapia deve svolgersi, evolversi e concludersi sempre con la stessa persona, per far sì che con la medesima figura di riferimento si sciolgano i nodi profondi delle antiche carenze.

– Nel rapporto terapeutico si crea un campo transferale che, dunque, anche in psicoterapia corporea viene tenuto in considerazione; con la differenza, però, che di questo campo vengono colti anche gli elementi più strettamente corporei (campo transferale allargato), o meglio gli altri piani del Sé, gli altri canali su cui si svolge la relazione tra terapeuta e paziente: piccole e grandi sensazioni interne, modificazioni e movimenti, gesti, calore della pelle, e così via, oltre a pensieri e fantasie; sia del paziente sia del terapeuta stesso.

Il punto è che il campo transferale non deve essere sempre interpretato, perché l’attenzione a più piani e livelli permette di evidenziarne il significato anche attraverso degli elementi più oggettivi chiaramente visibili anche al paziente.

– Inoltre, l’interpretazione assume un ruolo molto meno importante, perché l’agire terapeutico è volto a trasformare non solo la consapevolezza ma anche direttamente tutti gli altri piani del Sé. Si agisce cioè, attraverso numerose e mirate tecniche (comprese quelle del toccare, massaggiare, tenere, muovere e far muovere il corpo del paziente), in modo diretto, anche (e non solo), sul movimento, sulle posture, sul respiro, sul tono della voce e così via; attraverso elementi che anche “oggettivamente” permettono di seguire il processo di cambiamento.

– Una delle caratteristiche più significative della psicoterapia corporea è infatti la coesistenza, l’intrecciarsi di elementi soggettivi e di elementi oggettivi; i quali ultimi costituiscono un importante punto di verifica per la creatività del terapeuta.

– L’esistenza di un campo transferale non azzera però la presenza di una relazione reale e attuale tra paziente e terapeuta, ma i due aspetti sono compresenti e interdipendenti. Lungo lo svilupparsi della terapia si ha tendenzialmente una diminuzione dei vissuti transferali antichi a favore di un aumento sempre più consistente della relazione attuale.

– Il terapeuta incarna comunque, nel processo terapeutico, contemporaneamente più “figure”:

E’ il vecchio genitore con cui viene automaticamente identificato, al di là di quello che realmente fa o dice. Ma è fondamentale che riesca ad essere anche e soprattutto il genitore nuovo, diverso da quello che il paziente ha avuto in passato, per modificare gli esiti delle antiche vicende e permettere la ri-costruzione delle esperienze fondamentali del Sé. D’altra parte egli svolge anche una funzione di terapeuta, quando indica cosa fare, parla all’adulto nel suggerire e nello spiegare, nel dare indicazioni sulla terapia. Infine il terapeuta svolge l’importante ruolo di Sé ausiliario, quando supplisce alle Funzioni carenti del paziente con il proprio Sé, guidando passo passo l’altro, arricchendolo con le proprie emozioni, portandolo esattamente a quelle Esperienze Basilari da ricostruire, attraverso le proprie capacità e le proprie esperienze.

– Il terapeuta in psicoterapia corporea non può dunque certo essere un lenzuolo bianco su cui il paziente proietta i propri fantasmi, o una persona distaccata e lontana dalle vicende che vi si svolgono, ma è implicato pienamente, con tutta la propria emozionalità ed espressività, in una relazione estremamente profonda e creativa.

– La psicoterapia ad indirizzo Funzionale si configura, dunque, fondamentalmente come una ricostruzione delle “Esperienze Basilari del Sé”, di quelle esperienze indispensabili ad uno sviluppo armonico ed equilibrato del bambino. E’ una sorta di “seconda possibilità”, nella quale il paziente può finalmente interrompere i suoi corto circuiti, appoggiarsi pienamente senza doversi preoccupare dell’altro, senza dover necessariamente “ricambiare”, senza dover tenere il filo degli avvenimenti. E’ l’unica possibilità di potersi affidare pienamente e di “ritornare” così ad una condizione profonda di integrazione, ad un “prima” che si strutturassero alterazioni, sconnessioni, caratterialità rigide, o meglio ad un “profondo” dove sussistono ancora condizioni di integrazione tra le varie Funzioni del Sé e condizioni di mobilità vitale. Questi nuclei profondi del Sé vanno poi mano mano allargati all’intera persona.

– La psicoterapia, comunque, non può esprimere tutta la sua impressionante efficacia se ci si limita a restare al di sopra del “controllo” (razionale e muscolare), ma il suo presupposto deve essere sempre quello di una profonda regressione[4], di un raggiungere quelle zone interne del Sé dove l’integrazione tra i diversi piani Funzionali è ancora presente ed operante, dove la persona sente e capisce al contempo, dove si riaprono emozioni e movimenti. E di lì poi si può procedere, attraverso un lavoro paziente e intenso, ad un allargamento di questa zona profonda integrata, ad una riconnessione delle aree vicine, in modo via via più esteso.

– La regressione non avviene mai in modo identico per tutti, o a caso, ma è condotta utilizzando per ciascun soggetto proprio quei canali che sono rimasti più aperti e più mobili, nei quali il controllo è più morbido, il vissuto più pieno.

E quando si giunge a situazioni di intensa profondità, solo allora il paziente riesce a lasciarsi andare completamente, e il terapeuta se “lo prende”, accogliendolo in sé, come un “piccolo” che ritrova i suoi bisogni fondamentali e le possibilità finalmente di soddisfarli, per recuperare consistenza ai propri nuclei interni, stabilità, sicurezza, senso di pienezza. La ricostruzione delle Esperienze Basilari del Sé è in fondo un processo estremamente intenso di “nutrimento”, nel quale la continuità del Sé e delle sue esperienze positive trovano finalmente la possibilità di ristabilirsi e di ristabilire benessere, salute, gioia di vivere.

[1]come isolamento percettivo del neonato dal mondo circostante.

[2]intesa come un vivere del bambino attraverso il filtro totale della struttura mentale della madre.

[3]Le “modalità terapeutiche” sono le attività del terapeuta al di là delle singole tecniche dettagliate o degli obiettivi più generali: ciò che il terapeuta fa accadere realmente in seduta.

[4]”Regressione” non intesa come ritorno a fasi immature o patologiche dello sviluppo, ma a fasi di profonda integrazione e pieno funzionamento.