in L. Peresson, (a cura di) “Il corpo in psicoterapia”, Ed. CISSPAT – Padova 1991.
L’intrecciarsi delle vicende del corpo, da una parte, e della psicoterapia e della psicologia clinica, dall’altra, costituisce una storia che ha radici molto antiche e che, a ben guardarla, ha un andamento progressivo fatto di fasi e sviluppi successivi. Questo iter, al di là dei particolarismi di singole vicende, può essere individuato abbastanza precisamente; una volta che si sia riuscito ad osservarlo in un quadro d’insieme, mostra un trend, una linea di tendenza, estremamente interessante e significativa. Possiamo suddividere la storia del corpo nella psicoterapia in 4 fasi differenti, anche se non cronologicamente strettamente successive.
1) Il corpo nelle psicoterapie.
In questa prima fase, che risale già ai primi movimenti della psicoterapia, a partire dalle formulazioni di Freud in avanti, si cominciano a delineare le necessità di uno studio dei funzionamenti psichici che tenga conto dei processi corporei. In Freud questo aspetto si presenta, in accordo con il modello della scienza del tempo, come “biologismo”, nella sua teoria delle pulsioni. Ma ben presto il mondo psicoanalitico finisce per abbandonare le prime opzioni biologistiche freudiane, per non ricalcare un modello di tipo “medicalistico”, a poco a poco messo in crisi all’interno della psicologia, e dal quale si sente il bisogno di prendere sempre più le distanze. In fondo la psicologia è una scienza relativamente giovane, e sente ancora il peso dell’eredità delle discipline dalle quali ha preso origine, cioè la filosofia e la medicina. Costante per un certo periodo sarà il suo tentativo di acquisire una propria identità, e di differenziarsi dai paradigmi di entrambe. Ed è per queste ragioni che la psicologia “clinica” soprattutto, nonostante conservasse questa dizione di carattere medico,ha privilegiato e sviluppato lo studio di tutti quegli aspetti del funzionamento umano legati al soggettivo, all’intrapsichico, all’inconscio; laddove ogni evento sembra senza tempo e spazio, legato al simbolico (sia del paziente che del terapeuta), assolutamente unico ed irripetibile, al massimo oggetto di “interpretazione” del tutto personalistica. La psicoanalisi e le altre psicoterapie verbali hanno per lungo tempo trascurato il corporeo, leggendolo solo come epifenomeno del mentale, come luogo di lapsus o di somatizzazioni, come metafora dello psichico. Il corpo tutt’al più veniva visto come la matrice iniziale della nascita della personalità: un protomentale dal quale a poco a poco si sviluppa una funzione superiore, il pensiero, ben più importante, e capace di controllare tutto ciò che è fisico. Ma il corpo in ogni caso non poteva essere relegato alla sola storia evolutiva dell’individuo; esso era comunque presente anche nell’attuale, cioè all’interno della stessa relazione terapeutica, nei processi di comunicazione; anche se di questi si era intenzionati a cogliere solo gli aspetti verbali o simbolici, o fantasmatici. Il corpo esiste nei silenzi, nel tono di voce, nelle posizioni che il terapeuta prende rispetto al paziente nel setting, nei movimenti. Con il corpo si parla e si agisce anche se in modo implicito o inconsapevole. E nella terapia ci sono ben presenti sia il corpo del paziente che quello del terapeuta. Ecco perchè l’importanza del corpo in psicoterapia è stata sempre riconosciuta nella storia della psicologia clinica, anche se sporadicamente o in maniera non organica né pienamente esplicitata. L’interesse per il corporeo (e non per il biologismo freudiano) è sempre stato vivo e ha spinto numerosi ricercatori ad affacciarsi su questo vasto e affascinante spazio. L’attenzione al corpo, secondo i casi, ha portato ad una lettura più o meno esplicita di ciò che accadeva in terapia in tal senso, o ad un intervenire più o meno profondamente su di esso. La storia delle terapie è punteggiata di autori che si sono mossi in tal senso. All’interno dello stesso modello psicoanalitico è sufficiente citare la tecnica attiva di Ferenczi, l’holding di Winnicott, il concetto di amore primario di Balint, le concezioni sulla metodologia e sulla tecnica di Racker; via via fino alle formulazioni sul Sé di Fairbairn, di Kohut, di Stern e alle recenti tesi sull’aptonomia di This e Veldman. Ma esempi altrettanto significativi vengono da altri modelli clinici: dal behaviorismo con i suoi concetti di modeling e flooding, dalla gestalt, con l’interesse per come il corpo si rappresenta e rappresenta se stesso agli altri, dagli studi di Schultz, con le sue tecniche di training autogeno somatico, e così via. Tutto ciò prelude alla fase successiva, e in parte già la costituisce.
2) Le psicoterapie ad integrazione corporea.
In questa fase il corpo viene considerato in maniera esplicita come una parte importante della persona, una parte che deve essere direttamente “toccata” perchè la terapia possa superare gli empasse che le tecniche soltanto verbali avevano mostrato. Reich fu uno dei primi e dei più importanti clinici che cominciò ad approcciare direttamente, e in modo profondo e sistematico, il corporeo in terapia. Le sue scoperte e le sue osservazioni costituiscono ancor oggi una pietra miliare nel cammino che la scienza ha fatto in questo specifico settore. Il suo concetto di identità Funzionale di psiche e soma apre la strada a tutte le discipline e le metodologie che su questa concezione di base si sono originate o si sono sviluppate, con i risultati che tutti ben conosciamo. Unità e identità psicosomatica si aprono alla grande scoperta che nel corpo è scritta tutta la storia delle nostre emozioni e dello sviluppo della nostra vita, sin da quando nasciamo. Reich è dunque pienamente all’interno dell’area delle terapie ad integrazione corporea, avendo per primo dimostrato, con intuizioni per quel tempo eccezionali, che i risultati delle terapie verbali non potevano essere stabili e duraturi, quando non erano addirittura impossibili da realizzare. Era dunque necessario integrare il lavoro terapeutico tradizionale con interventi sul corpo, mirati a modificare condizioni muscolari e neurovegetative che altrimenti avrebbero continuato a retroagire sul paziente riportandolo allo stato della nevrosi. Anche il modello teorico della gestalt (con i fondamenti di Perls, allievo dello stesso Reich), alcuni indirizzi di psicodramma,la terapia rogersiana, o infine la bioenergetica di Lowen sono a integrazione corporea. Ma sotto l’impatto di alcuni parziali aspetti di Reich recuperati in Europa negli anni ’60 (dopo il suo ultimo periodo biofisico americano), da un lato, e ,dall’altro, delle pratiche di gruppo che si diffondevano negli stessi anni in California, nascevano e si moltiplicavano numerose tecniche terapeutiche che puntavano prevalentemente se non esclusivamente al corporeo.
3) Le psicoterapie a mediazione corporea.
Descrivere il fiorire di tutte queste pratiche non è facile. Su di esse ebbero notevole influenza differenti realtà ed esperienze. Oltre alla riscoperta di Reich fatta dal “maggio francese” in chiave forzata e distorta di rivoluzione sessuale, ebbe un grosso ruolo il diffondersi in America del movimento degli encounter groups sotto la spinta delle idee di Schutz e di una rivalorizzazione in chiave americana delle discipline corporee orientali. Fu così che nacquero terapie come il “Grido primario”, la “Reintegrazione emotiva”, la “Biodinamica” di Gerda Boyesen, l'”Eutonia”, il metodo “Feldenkrais”, la terapia “Radix”, la terapia “Core”, i massaggi “californiani”, i massaggi “Trager”, il “Rolfing”, il “rilassamento”, e così via. Il grave difetto di questi metodi è che molto spesso sono (o sono rimaste) solo tecniche di intervento sul corporeo, mancando di una valida teorizzazione che le indirizzi, le guidi e ne convalidi l’applicazione. Il corpo è ancora una volta posto in una condizione di dicotomizzazione con la psiche, anche se dalla polarità contraria. Il corpo finisce dunque per ricadere nel ghetto della pura fisicità, perché le tecniche a mediazione corporea partono dal mezzo fisico e spesso lì si fermano, mancando una elaborazione cognitiva e simbolica da affiancare o integrare con le emozioni, i movimenti, le pure e semplici sensazioni; ma questa era l’illusione dell’ideologia del liberarsi. Eppure anche questo fiorire di movimenti e di tentativi è stato un’utile occasione, in qualche modo, di ulteriori sperimentazioni, che andavano ad affiancarsi a quelle più sistematiche portate avanti dalle terapie ad integrazione corporea, prima tra tutte la vegetoterapia caratero-analitica, che continuava a sviluppare le concezioni di Reich sulla identità Funzionale tra psiche e soma, e ad elaborare nuove teorizzazioni e nuove tecniche, nella scuola norvegese di Raknes, a Londra con Boadella, e a Napoli in quella di chi scrive.
4) La psicoterapia corporea
Intervenire direttamente sul corpo in terapia, in tutti questi anni, ha fatto emergere e messo in luce una serie di fenomeni, di aspetti nuovi del funzionamento psicofisico dell’essere umano, che non erano stati osservati dagli altri approcci clinici, anche perché non ne avevano avuto materialmente la possibilità. Si tratta di fenomeni forti e rilevanti, particolarmente significativi: emozioni intensissime; posture, movimenti e toni di voce estremamente regressivi; percezioni e ricordi arcaici; stati di coscienza diversi e profondi; memorie corporee; riedizioni benigne di antichi sintomi; modificazioni evidenti delle funzioni fisiologiche interne (temperatura, frequenza del battito, sudorazione, soglie percettive, tono muscolare di base, peristalsi, metabolismo, processi di flogosi, tremiti, formicolii, ecc.). Tutto ciò ha spinto ad una modificazione della comprensione dell’intero sistema, ha messo sotto nuova luce le connessioni tra psichico e somatico, ponendo la necessità di inquadrare tali fenomeni in un sistema teorico complessivo ed articolato. Nascevano così nuove ipotesi per una nuova teoria del rapporto corpo-mente, che tenesse in considerazione quella parte del funzionamento della persona e della relazione interindividuale e intergruppale che era stata illuminata e scoperta dalla psicoterapia corporea, così come altri approcci clinici avevano illuminato e messo in evidenza altri fenomeni e altri settori di funzionamento. Il campo della psicoterapia corporea si andava poi a poco a poco consolidando e definendo sempre più, attraverso momenti di scambio e di confronto, che si sono intensificati in questi ultimi anni nei grandi congressi europei, internazionali e nazionali. Tra tanti altri, quattro sono gli aspetti a mio avviso nodali, che la psicoterapia corporea ha messo a punto in questi anni, nel suo movimento complessivo e nel suo terreno comune, al di là delle possibili differenziazioni tra le diverse scuole.
1) Il corpo non viene più visto solo come immagine corporea, o come metafora dello psichico, o solo come aspetto simbolico dei conflitti intrapsichici, e nemmeno soltanto come contenitore di vissuti. Anzi è lo stesso dualismo psiche-soma a non essere giudicato più né utile, né soddisfacente. Il corpo è in tal senso considerato molto al di là della sola fisicità, come un sistema complesso e articolato di numerose funzioni, di molte dimensioni, legate tra di loro in maniera così intima e profonda che costituiscono sin dall’origine della vita una inscindibile unità. Le correlazioni tra aspetti, piani e funzioni sono viste come complesse e di tipo circolare, piuttosto che come una piramide gerarchizzata, con un corporeo alla base e un mentale che dall’alto controlla tutto. E’ possibile allora parlare di una teoria complessiva ed originale, di una concezione multidimensionale del Sé, che comprende al suo interno un modello specifico della nascita del Sé e dello sviluppo evolutivo, una teoria globale sulla struttura della personalità, ipotesi ben determinate sull’eziopatogenesi, sull’insorgere degli squilibri e dei disturbi, e infine di una tecnica diagnostica e terapeutica. La psicoterapia corporea dunque non si caratterizza per avere come oggetto di intervento il corporeo, non raccoglie tutti quelli che in qualche modo si interessano al corpo, perché come abbiamo visto il corpo è comunque presente nella relazione terapeutica. La psicoterapia corporea è invece quell’area della psicologia clinica che è andata elaborando questo tipo di teorie specifiche ed originali, teorie che modificavano il tradizionale rapporto corpo-mente e che superavano tale dualismo; teorie che tenessero conto sia di quanto si andava scoprendo di nuovo in questo settore, sia dei dati più recenti che venivano dalle scienze contigue (in particolare sulla vita perinatale dell’essere umano). Tutto ciò sta conducendo, mano a mano, ad una radicale ridefinizione di vecchi e classici concetti della psicoterapia, da una parte, e alla formulazione di nuovi, dall’altra, in una risistemazione dell’intero corpo teorico che non riguarda certamente il solo settore psicocorporeo, ma tutta l’area della psicologia clinica e della psicologia più in generale.
2) Il corpo non è più visto come il “luogo delle verità”, contrapposto ad un linguaggio verbale con il quale si può dire e non dire, nascondere, falsare. Il corpo è piuttosto l’organizzazione di tutte le funzioni, un sistema di piani e livelli differenti, che possono perdere la loro originaria integrazione, il loro funzionamento unitario. Scissioni e sconnessioni possono intervenire nella vita della persona, rendendo contraddittorie non solo l’espressioni verbali messe a confronto con quelle corporee, ma anche quelle corporee nei differenti piani che le costituiscono: un movimento di rifiuto e un sorriso di accettazione; la parte alta del corpo che accoglie con le braccia e il bacino che si ritrae impaurito; un sorriso che diventa una smorfia amara; un viso calmo e una forte tachicardia. Il corpo non invia dunque un messaggio univoco, così come non l’invia nemmeno il verbale. E nemmeno si può dire che la verità stia nell’aspetto calmo del viso, o nella tachicardia. Ma tutto diviene più chiaro e comprensibile se pensiamo a molteplici processi funzionali, che sotto un impatto negativo e frustrante del bambino con l’ambiente, si alterano, non sono più congruenti ed unitari tra loro, diventano contraddittori. La psicoterapia corporea, e in particolare la prospettiva Funzionale, che chi scrive sta elaborando in studi e ricerche oramai da molti anni, si occupa appunto di analizzare e seguire l’andamento di queste connessioni tra i vari processi funzionali, le leggi di funzionamento profonde. Che ci siano connessioni tra emozioni e malattie psicosomatiche, tra stress e sistema immunitario, tra corpo e angoscia, tra cancro e depressione, sono ipotesi oramai sufficientemente fondate. Il problema è quello di capire il come di tali connessioni, quali siano i meccanismi, e soprattutto quale sia il funzionamento di tutti i piani intermedi tra il mondo del macro e quello del micro, giù giù fino al funzionamento cellulare, dei neurotrasmettitori, del sistema immunologico. La psicoterapia Funzionale si occupa di questi piani intermedi quando studia la stratificazione delle esperienze nei distretti corporei, il tono muscolare di base, gli effetti dei vari tipi di respirazione, le modificazioni del sistema neurovegetativo, sempre comunque in rapporto al piano emozionale, simbolico, cognitivo, immaginativo.
3) Da qui discende direttamente un’altro punto centrale dell’area della psicoterapia corporea. Questa infatti non è mai né solo terapia psichica, né solo terapia del somatico. Laddove le sconnessioni di alcuni piani del Sé dagli altri siano intense e profonde, non è possibile pensare di intervenire solo su di un piano per arrivare ai nuclei profondi del Sé e per realizzare trasformazioni sensibili e stabili. L’ipotesi è piuttosto quella di dover agire, sempre, integrando più piani, per sopperire alle sconnessioni in atto, per riequilibrare l’intero quadro del Sé, per permettere ai vari processi di ricominciare a funzionare in modo coerente e congruente con le reali situazioni esterne. Si comincia a comprendere allora che non si tratta tanto di usare tecniche differenti per avere strumenti più ricchi, quanto piuttosto di integrare approcci su più piani diversi (muscolare, movimenti, immaginazione, simbolico, emozioni, consapevolezza, fisiologico), riuniti da un sol quadro teorico, per evitare il rischio che funzioni staccate ed alterate, non modificate da un intervento diretto, retroagiscano a poco a poco riportando la persona allo stato di malessere che aveva prima della terapia. Si tratta di usare una tecnica multifocale così come multidimensionale è la concezione del Sé.
4) Ultimo punto, ma non meno importante, è che comunque la psicoterapia corporea è, e rimane, una psicoterapia. E non intendiamo con questo una metodologia che approcci solo lo psichico, o il verbale, ma un processo che tenda sia alla risoluzione dei sintomi sia alla ristrutturazione del funzionamento generale del paziente. La psicoterapia è, in questo senso, intesa come un processo complessivo, un iter, un percorso, nel quale sono indispensabili, sicuramente, un’esperienza profonda di regressione, un ripercorrere le tappe della propria vita, un ricostruire tramite la relazione con il terapeuta una “nuova storia” affettiva rispetto a quella della propria famiglia d’origine, un potere essere accolti, presi e tenuti totalmente, un’esperienza emozionale correttiva, una crescita della propria autonomia, una separazione.
Dunque anche la psicoterapia corporea non può ridursi assolutamente ad un insieme di tecniche, ad un’applicazione meccanica di esercizi, ma si svolge e realizza i suoi obbiettivi grazie alla relazione con il terapeuta, ad una teoria della relazione, ad un uso metodologicamente ed eticamente corretto di tale relazione, ad una modificazione graduale ma profonda delle caratteristiche di questo rapporto particolare, dall’inizio via via sino alla sua conclusione.