La corporeità fra cultura e scienza – Luciano Rispoli Psicologo

 

La scientificità dei modelli di psicoterapia.

Uno dei problemi più delicati che interessano la psicologia clinica è connesso al fatto che questa disciplina è troppo spesso considerata all’interno di una dimensione applicativa. La richiesta pressante diventa allora quella di affinare le capacità per trovare risposte al disagio e al malessere così diffusi, per la diffusione del proprio non star bene. Le circostanze per cui sono in aumento le alterazioni del funzionamento o dell’essere umano risultano moltiplicate da due condizioni oggi presenti nel sociale. In primo luogo, c’è indubbiamente un aumento delle situazioni stressanti nella vita di ogni giorno; un’ansia diffusa e insinuante che nasce dalla vita caotica delle metropoli, dalla minaccia portata all’ambiente naturale, dall’inquinamento, dall’alterazione degli equilibri ecologici e, non ultimi, dal cambiamento climatico e dal pericolo di una guerra atomica finale. Credo che per la prima volta i bambini vivano così da vicino a tanto concretamente l’incubo di una distruzione su larga scala, tragicamente e perennemente incombente.

In secondo luogo, l’attenzione della società nei confronti degli squilibri e delle disfunzioni, soprattutto relativi alla prima e alla seconda infanzia, è cresciuta enormemente. Se riflettiamo, è soltanto da poco (storicamente parlando), da non molto più di un secolo, che si è iniziato a considerare adeguatamente il bambino sia nelle relazioni sociali che in quelle affettive. Ed è solo negli ultimissimi anni, dai progressi della psicologia evolutiva, delle neuroscienze, dell’infant research e dalla possibilità di studiare il piccolo prima della nascita, che i processi psichici, emotivi e fisiologici dell’infanzia sono studiati adeguatamente, con una base scientifica e metodologica che permette di superare affermazioni arbitrarie sui bisogni reali dell’infanzia e su come allevare e aiutare i bambini.

L’ampliarsi della richiesta di un intervento inteso, in senso lato, come necessario per la sofferenza psichica e somatica, per i problemi di disadattamento, per i problemi di apprendimento, per le nuove dipendenze (specie internet) per le turbe familiari, non deve però far cadere in un pragmatismo scollegato da ogni rigore teoretico, con una logica del «fare per il fare», di provare i mille rimedi proposti sul web. Per quanto pressanti siano i bisogni è necessario sconfiggere l’illusione che sia sempre preferibile un qualunque caotico movimento, un qualunque (illusorio) rimedio piuttosto di una ricerca seria per preparare e metter in atto un intervento sanitario e sociale così importante. La definizione dei modelli teorici diviene in quest’ottica un momento indispensabile nel procedere della psicologia clinica, della psicoterapia, della psicopedagogia, verso una definizione di parassi, metodologie e tecniche, in grado di affrontare questo momento e questa condizione attuali in modo veramente efficace; perché queste da sole, slegate da un’elaborazione e da una sistematizzazione adeguate, rischiano di alimentare un confusivo e caotico empirismo, o addirittura un consumismo di “prodotti” di qualunque genere (corsi, esperienze, tecniche, integratori alimentari, ecc.) spacciati tutti come la panacea. Vorrei anzi aggiungere che un modello psico-clinico non può e non deve rimanere isolato in se stesso, né limitarsi ad un ristretto settore del funzionamento psichico dell’uomo. È necessario invece che sia in grado di spiegare e dare ragione di campi allargati e molteplici dei processi di funzionamento dell’organismo, in tutte le fasi del suo sviluppo e in tutte le circostanze sociali.

Perciò una teoria psicoterapeutica deve poter tenere in considerazione la costituzione del Sé, il procedere nelle tappe del processo evolutivo, il rapporto del Sé con se stesso e con l’ambiente; ma anche lo studio delle alterazioni e delle disfunzioni del Sé come base eziologica dell’«ammalarsi». Questo discorso ci porta in due ambiti diversi: il primo concerne la sperimentabilità e la scientificità del modello (Popper, 1972), e le sue connessioni con i vari ambiti della ricerca; il secondo esplora i contributi che provengono da settori sempre più presenti, e ci introduce al tema specifico dell’unitarietà mente-corpo nella comprensione del Sé e dell’alterazione dei suoi processi.

Credo che oggi la psicoterapia abbia percorso un cammino sufficiente perché si senta consolidata nel novero delle scienze, nelle quali può collocarsi con una propria dignità, senza più dover temere il pericolo di confusione con schemi e paradigmi non suoi, come quelli filosofici o medici. Ciò può voler significare una maggiore serenità nell’addentrarsi in terreni non tradizionali, che però aggiungono dati significativi e fondamentali per la comprensione unitaria e integrata mente-corpo del funzionamento umano. Ma soprattutto può far voltare pagina sui perenni problemi di collegamento tra sperimentazione e metodologie di intervento, tra ricerca e teoria di riferimento, tra ricerca e intervento.

La teoria della complessità, verso cui l’epistemologia tende oggi, valorizza la multidimensionalità, per superare i riduzionismi sino ad oggi indispensabili per studiare il funzionamento umano. Sperimentabilità, dunque, può indicare le possibilità di accorciare le distanze fra teoria e prassi, tra ricerca scientifica e idee interpretative, tra fatti e spiegazioni, tra oggettivo e soggettivo.Ciò si può esprimere in tre definizione fondamentali:

1) Verifica sperimentale. È una strada fino a poco tempo fa ritenuta difficile e controversa. Ma oggi sappiamo che con opportuni accorgimenti è possibile impiantare condizioni sperimentali con campioni di controllo e con variabili abbastanza selezionate. Si tratta comunque di riportare ad un atteggiamento di continuo ripensamento teorico quello più pragmaticamente «curativo». Oltre ad utilizzare un metodo sperimentale, per postulare nuove ipotesi e per comprovare quelle esistenti, si tratta anche di avviare, oltre a una verifica dei risultati uno studio approfondito sul processo terapeutico per comprendere sempre meglio cosa avviene e come si realizzano veri cambiamenti.

2) La sperimentazione va vista però anche come coerenza epistemologica del modello, del sistema teorico, che devono poter ampliare la costruzione delle loro proposizioni scientifiche tenendo conto delle ricerche e delle scoperte di tutte le discipline che studiano l’uomo.

3) Ricordiamo sempre che la scienza moderna opera su una concezione ipotetico-deduttiva che non pretende di trovare la verità, ma che, man mano (con le nuove scoperte) abbandona le ipotesi non più validate per nuove ipotesi, avvicinandosi sempre più alla realtà. Inoltre, non si tratta di un sistema isolato, che non guarda a quanto accade nella realtà stessa e negli altri settori della conoscenza. Il terzo punto riguarda dunque la necessità di connessione con la ricerca, con i risultati nuovi che emergano dalla sperimentazione in altri campi vicini e attinenti allo strutturarsi di processi e di funzioni nei vari livelli dell’organismo umano.Ora quando parliamo di comprensione psico-corporea del Sé ci troviamo appunto in quello spazio epistemico in cui operano modelli evolutivi, modelli clinici, ma anche modelli di biologia molecolare, sistemi neurovegetativi ed endocrini, sistemi senso-motori in stretta connessione; in cui la prassi operativa deve essere strettamente collegata alla teoria di riferimento. Altrimenti si rischia (come di fatto spesso succede) di rimanere in un empirismo, rimedi personalistici, proposti da questo o da quell’operatore, che si avvicinano troppo pericolosamente all’inconoscibilità ed inspiegabilità della pratica magica.

La corporeità fra cultura e scienza.

Questo è stato particolarmente vero nelle tecniche «corporee» di cui si è avuto negli ultimi anni un notevole sviluppo, quasi in reazione ad un silenzio e un ostracismo secolari. Nello studio dei processi psichici il corpo è stato difatti assente o connotato da un ruolo subordinato, di rispecchiamento passivo. Di contro il corpo si è invece studiato in anatomia e medicina, ma considerato soprattutto come sede di funzionamenti fisici. E quando si affaccia nella cultura scientifica psicologica spesso ciò accade solo a livello di ipotesi del tutto generali che riguardano al più le prime esperienze di vita quando la parola non è ancora presente; ma senza studiarne appieno i significati interni profondi. È ciò che ritroviamo in autori come Piaget (1970), Vygotskij (1934), Chomsky (1969), Bruner (1962); e, per altri versi, nel settore clinico, in Winnicott (1958). D’altra parte, il corpo, colpevolizzato a suo tempo dalla morale «perbenista» vittoriana, sacrificato insieme al piacere per gli interessi produttivi dell’era capitalistica in espansione industriale, prepara il suo ritorno sulla scena verso la fine degli anni ‘60. Interpretando anche una necessità di trasgressione delle norme e della morale borghesi, diventa un vessillo (agitato propagandisticamente più che studiato scientificamente) delle rivolte studentesche in America prima e in Europa successivamente. Esso finisce per rappresentare un momento d’incontro anche in molte tecniche terapeutiche, mentre il gruppo in contemporanea si afferma, in fondo per la prima volta, come possibile strumento di intervento, in un percorso che da Lewin (1951) porta a Schutz (1967), da Bi0n (1961) a Foulkes (1975)

Nello stesso tempo si importano e hanno grande successo filosofie e pratiche orientali, nelle quali il corpo è sì stato presente da millenni, ma quasi sempre in forme che in fondo assumono aspetti di realtà metafisiche: amore universale, Karma, destino, energia vitale.  Gli schemi processuali e funzionali dei modelli teorici dello yoga, dell’agopuntura, dello zen, sfuggono quasi sempre al metodo scientifico, eludendo connessioni, sperimentazioni e sistematizzazioni. Se dunque il corpo si afferma da noi come soggetto nuovo ed emergente alla fine degli anni ‘70, ciò avviene non senza profonde e pericolose contraddizioni. Esso è spesso solo una moda, un’acquisizione superficiale e meccanica, oppure un oggetto di piacere, un mezzo per affermare il proprio ruolo; o infine uno strumento per costruirsi l’immagine voluta di sé nel sociale, il look più attraente o più sconvolgente. Costruzione è un termine da prendersi nel senso letterale, laddove i vari Silvester Stallone impongono l’idea di macchine-muscoli, di corpi mostruosamente gonfiati, di body-building appunto, mentre le palestre con attrezzature sempre più fredde ed efficienti si moltiplicano a velocità incredibile. Non dimentichiamoci che è il tempo della grande illusione del benessere, che annovera tra i momenti più significativi i successi folgoranti della danza moderna o dell’aerobica come panacea per sconfiggere di tutto: dalla cellulite all’ansia, dalle paure ai dolori, dall’invecchiamento all’angoscia.

D’altra parte, bisogna anche riconoscere che il fermento culturale sul corporeo apre nuovi orizzonti, infrange vecchie e rigide separazioni fra discipline che si scoprono più collegate di quanto sembrasse, mentre da più parti si comincia ad affrontare la persona malata in una visione più globale e complessiva, e non più come pezzi da sottoporre a medici super specialistici. Ma molto spesso questo accade in forma caotica, superficiale e approssimativa, quando non si perpetua in modo opposto l’antica scissione dualistica mente-corpo.

La corporeità a volte è solo apparentemente al centro dell’attenzione, perché ritorna ad essere o valore mistico come nel pensiero orientale, o presenza acritica e ascientifica, e perciò ancora una volta svalutata e svalutante. In Italia la storia del corpo, e soprattutto del corpo in psicoterapia, non è molto dissimile. Nasce dagli stimoli delle teorie di Wilhelm Reich, tradotte per la prima volta nella seconda metà degli anni ‘60 e attraversa la rivolta culturale di classi e di soggetti politicamente emergenti: giovani, femministe, infanzia. Ma studi sistematici e ricerche scientifiche a quel tempo sono ancora carenti. La comunicazione non verbale è spesso vista solo in chiave di linguaggio di gesti codificati o di gesti-segnale, mentre la complessità del funzionamento corporeo e la profonda interazione con i processi e le alterazioni psichiche sono frequentemente ridotte a meccanici rispecchiamenti, come accade in Lowen.

 Il Neo Funzionalismo

Ma a Napoli, nel 1968, nasce la prima struttura di studio approfondito sui processi mente-corpo, con l’obiettivo di un inquadramento teorico e metodologico che superi le limitazioni e le approssimazioni presenti fino ad allora. Ma a quel tempo proliferano ancora correnti, sottocorrenti, personalismi di allievi e scissionismi che cambiano solo particolari e modificano solo termini, fraseologie o aspetti del tutto secondari. Si inventano così molte nuove pratiche terapeutiche che non hanno alla base una verifica scientifica, una ricerca approfondita, un’ampiezza di respiro sufficiente e significativa: molto più spesso sono solo pensieri ed opinioni personali che aumentano il senso di confusività e frammentano teorie e modelli. Il Neo-Funzionalismo, invece, prova a muoversi sempre di più nella direzione di una comprensione complessiva e complessa dei funzionamenti: sia delle persone, sia della relazione, sia del processo terapeutico. Si tratta di un percorso graduale, fatto per passi, ma sempre basato su pratica clinica e conoscenza delle scoperte e delle concezioni più recenti delle discipline scientifiche adiacenti alla psicoterapia. È così che si perviene a un modello che si va man mano sempre di più specificando, sempre di più arricchendo, sempre di più specializzando in vari ambiti di intervento; un modello che mette in collegamento tutti i Sistemi importanti dell’organismo umano, Sistemi che sono integrati sin dall’inizio della vita, Sistemi sui quali bisogna intervenire in modo multidimensionale e sinergico se vogliamo ottenere cambiamenti efficaci e duraturi. Nascono così la teoria delle Funzioni del Sé, un Sé Funzionale che non è soltanto il Sé esperienziale di vissuti, perché tiene in considerazione i funzionamenti fisiologici dell’organismo, quelli sensoriali e motori, quelli endocrini, ari in collegamento con l’emotivo e con il cognitivo. Nasce soprattutto la teoria delle Esperienze di Base che permette di comprendere come il Sé, visto come unitarietà di Funzioni vitali tutte quante importanti e sullo stesso piano, si muova in relazione con sé stesso e con l’ambiente.

Le Esperienze di Base sono esperienze che ho ritrovato in modo sistematico e significativo nello sviluppo evolutivo di bambini, sono quelle fondamentali per mantenere salute e benessere. Ma sono anche quelli e che ho trovato nella pratica clinica di anni, che emergono quando c’è un cambiamento positivo significativo, quando c’è un recupero di una capacità (che io chiamo Funzionamento di fondo); cioè, una Esperienza di Base che è rimasta carente o alterata nello sviluppo evolutivo.

Verso il futuro

Perciò nel futuro bisognerà muoversi sempre più con una tendenza che porti a chiarire, riconnettere, specificare ambiti e modelli, in una continua riconnessione tra vari modelli e con ricerche e verifiche sperimentali. Arricchendo quanto di serio e valido c’è oggi e ci sarà domani, prima di pensare a suddividere, frazionare, inventare nuovi nomi e nuove etichette. La creatività non bisogna trovarla nella novità più fantasiosa o nella esasperata tendenza a differenziarsi da tutto e da tutti, ma piuttosto nella capacità di raccogliere e collegare, di portare avanti studi e ricerche in cammini nuovi, ma che vadano ad arricchire la scienza sempre più integrata dalla Psicoterapia.

 

A proposito di Luciano Rispoli

Psicologo, Psicoterapeuta fondatore della psicologia Funzionale e del suo modello integrato di psicoterapia, trainer e formatore in Italia e all’estero in strutture pubbliche e private. Fondatore della Scuola Europea di Formazione in Psicoterapia Funzionale (SEF), della Società Italiana di Psicoterapia Funzionale (SIF) e della EIPF (Ecole Internationale de Psychothérapie Fonctionnelle – Escuela Internacional de Psicoterapia Funcional). Membro attivo sin dall’inizio di Organizzazioni Internazionali importanti della Psicoterapia: già Presidente della Società Italiana di Psicoterapia e Psicologia Clinica. Membro onorario dell’European Association for Body-Psycotherapy (EABP), del Comité Scientifique Internationale de Psychotherapie Corporelle (CSITP). Presidente onorario della Associazione Italiana per la Psicoterapia Corporea (AIPC). Autore di progetti per l’Infanzia e Adolescenza in diverse realtà, in Italia e all’Estero. Già docente di Metodologia clinica e prevenzione psicologica presso l’Università di Enna. Le sue ricerche hanno spaziato dallo studio sui Processi di psicoterapia e la loro valutazione, allo studio su Infanzia e Adolescenza, allo studio sui fenomeni dello Stress e la sua misurazione. Autore di 15 libri e di oltre 140 articoli pubblicati in Italia e all’Estero.

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