Luciano Rispoli psicoterapeuta: L’integrazione delle culture: rigidità o mobilità.

in “Neagorà” – Napoli 1991.

Luciano Rispoli, Presidente Centro Studi Reich – S.I.F. (Soc. Ital. Psicoterapia Funzionale corporea) e del Comitato Internazionale Psicoterapia Corporea, disquisisce sulle modalità attraverso le quali differenti culture entrano in contatto e si influenzano reciprocamente. Tema molto attuale che potrebbe essere facilmente adattato ai giorni nostri.


Le modalità con cui culture diverse e diversi popoli vengono in contatto, si influenzano o si mescolano, sono profondamente legate al grado di sviluppo psicologico e sociale del tempo, al grado di civiltà in quel momento raggiunto. Il problema centrale è certamente ancora una volta legato alla psicologia del “diverso”, alla capacità, cioè, dell’essere umano di rendere morbidi e aperti i confini del Sé, di accettare l’altro senza paura di perdere la propria identità e il senso profondo di esistenza. In un altro di questa serie di articoli avevamo chiarito come un saldo senso di appartenenza e di identità favorissero, anziché ostacolare, l’apertura al “diverso”. Qui la dinamica si fa più complessa ed articolata, poiché riguarda interi gruppi e popolazioni, ma al fondo resta lo stesso problema psicologico. Se in una prospettiva Funzionale guardiamo alle varie realtà culturali come ad organismi complessi, dotati di molteplici aspetti e funzioni (che appartengono ad un Sé globale e complessivo), possiamo cominciare a comprendere se, e per quali motivi, questo organismo ha conservato ancora o meno la capacità di aprire i propri confini all’altro e al diverso. Come due bambini possono cogliere, dal loro incontro, stimoli nuovi e nuove potenzialità di arricchirsi e di crescere entrambi, senza che vi sia discapito per nessuno dei due, così culture, gruppi etnici diversi, stili di vita e abitudini varie, hanno nel fondo la possibilità di incontrarsi, di arricchirsi reciprocamente, di far crescere, vitalizzare e utilizzare al meglio i valori che ciascuno apporta, in un contributo comune alla crescita generale del grado di civiltà e del livello profondo di vita.

Ma cos’è allora che ha ostacolato queste possibilità di arricchimento, e ha portato, nella maggior parte dei casi, all’assurda e cieca volontà di distruggere ed annientare completamente la cultura “diversa”?

Certo ci sono stati elementi economici che hanno spinto in questa direzione, ma non bastano a giustificare e comprendere del tutto gli scempi che sono stati perpetrati, l’enorme stupidità umana nel non cogliere i grandiosi vantaggi che potrebbero venire da reali capacità di integrazione razziale e culturale. La prospettiva Funzionale ci può aiutare a capire che uno dei nodi centrali di queste follie umane è nella “rigidità” del Sé, nell’alterazione di un organismo complesso che ha finito per sviluppare esageratamente alcune funzioni a discapito di altre, in uno squilibrio che risulta estremamente pericoloso, poi, per la stessa sopravvivenza. L’organismo dunque (sia quello dei singoli individui, sia quello dell’intero gruppo) ha perso la propria integrazione profonda ed originaria, ha perso la sua capacità primaria di mobilità. Si possono essere, ad esempio, sviluppate esageratamente e sclerotizzate (in stereotipate ripetitività) le emozioni dure, di rabbia, di odio, di ostilità e diffidenza (insieme a paure profonde e inconsapevoli di perdere identità e sicurezza), a discapito delle emozioni morbide e tenere, della capacità di entrare in contatto reale e profondo con l’altro. La razionalità può essersi scissa dall’affettività e aver perso il senso dell’aiuto, la necessità dell’appoggio di cui ogni essere umano ha sempre bisogno. I movimenti possono non aver più la loro elasticità, il corpo non trasmettere più le sensazioni profonde e sottili, a scapito di fantasie sempre più scisse, fatte di pericoli e paure che vengono allora proiettati in un oggetto esterno, come il “diverso” (per pelle, razza, religione o sesso che sia). Il senso di Sé può alterarsi completamente, gonfiarsi su un vuoto interno angosciante (quasi a compensarlo), scindersi dalle percezioni reali, fino ad arrivare a considerare in un delirio i “diversi” (e qualche volta gli altri in generale) tutti come esseri spregevoli ed inferiori. Si può inceppare quel funzionamento fondamentale che permette di conservare tutte le sfumature di curiosità, di interesse, di fiducia verso l’esterno, che il bambino piccolo possiede, intatte, e integrate con tutte le altre parti del Sé. La perdita di un’integrazione e di una mobilità originarie sono dunque uno dei fattori centrali dell’alterazione della struttura del Sé, che impediscono di restare in contatto sia con il prorio nucleo profondo di esistenza, sia con il mondo circostante, con tutte le sue differenti e indispensabili coloriture. Sciogliere la rigidità, mantenere o ritrovare integrazione e mobilità di tutti i livelli del Sé (Cognitivi e immaginativi – Emozionali – Movimenti e corporeità -Funzionamento dei sistemi fisiologici interni dell’organismo) è ciò a cui bisogna puntare per non rischiare che l’umanità, perdendo ancor più la pienezza di vita, e il senso più profondo e reale dei suoi valori e delle sue qualità, vada più avanti nella distruzione, invece di utilizzare tutte le potenzialità di un incontro proficuo con il diverso.