Luciano Rispoli psicologo: Recensione n. 10 di Psicologia Contemporanea.

in Giunti-Barbera. “Quaderni Reichiani n. 7”, Napoli, 1975.

La Rivista di “Psicologia Contemporanea”  viene recensita, nel seguente articolo, da Luciano Rispoli, psicologo e psicoterapeuta.


luciano rispoli psicologo recensione n 10                              

E’ poco più di un anno che è stata lanciata in Italia, con l’aiuto di un grosso gruppo editoriale, la rivista « Psicologia contemporanea ». Noi l’abbiamo seguita dall’inizio, interessati dapprima, perplessi e indignati poi. La rivista fa sfoggio di una bella veste editoriale e si vuoi far passare come la più moderna pubblicazione di psicologia. In realtà il 90% degli articoli, le belle foto, e persino il nome non sono originali, ma presi dalla rivista americana « Psychology today », di cui Psicologia contemporanea segue le linee. Ci sono anche lavori di studiosi italiani, ma si rivelano in genere rielaborazioni di vari studi già fatti; c’è anche un tentativo di avviare un dibattito sui problemi della psicologia e degli operatori del settore, ma nel complesso è incompleto e soprattutto spoliticizzato. Nonostante qualche buon articolo nascosto qua e la nei vari numeri (ad esempio « La scuola della normalità » di Ezio Ponzo, n. 5) Psicologia contemporanea si è rivelata in sostanza una cinghia di trasmissione della diffusione della psicologia borghese e degli indirizzi ideologici e politici della cultura scientifica statunitense. Lo si poteva osservare sin dai primi numeri, nei quali anziché editoriali che chiarissero la posizione politica della rivista, apparivano confusi articoli di alcuni dei redattori che proclamavano una sorta di ambigua equidistanza tra varie tendenze della psicologia (come ad esempio tra innatismo e comportamentismo), spacciandola per superamento della conflittualità esistente sui ruoli politici della scienza. Questa linea è continuata, peggiorando, nei numeri successivi: gli articoli tradotti non sono preceduti da alcuna introduzione critica, per cui manca qualsiasi contributo ad un dibattito costruttivo e politicamente impegnato. Oppure (il che è lo stesso) la redazione condivide in pieno l’indirizzo politico della rivista americana da cui trae i suoi articoli. Ma è stato raggiunto il colmo e superato il livello di tollerabilità con il n. 10 della pubblicazione, in cui gli articoli centrali mostrano apertamente un carattere reazionario. Vi troviamo un lavoro di J. Bruner « Emergere dall’impotenza », generico e meccanicistico studio sull’apprendimento dei bambini, inserito in quel tipo di ricerche volte a far imparare al bambino sempre di più e sempre più in fretta. La logica che sottende questi studi (all’apparenza a volte interessante) è quella competitiva di una società consumistico-capitalistica alla continua ricerca di incentivi e motivazioni per aumentare produzione, consumo e soprattutto consenso. Infatti gli esperimenti descritti da Bruner, ad esempio, utilizzano tutti delle ricompense come motivazioni all’agire o allo apprendere dei bambini. Ma, dice l’autore, stranamente i bambini preferivano giocare che « muovere le leve » delle ricompense. Evidentemente per Bruner non esiste « il piacere di fare e di giocare » senza alcuna ricompensa. Il bambino è visto come un adulto non ancora realizzato, e non come un essere autonomo con propri valori e comportamenti significativi. Infatti Bruner paragona i bambini non spinti dalle ricompense ad « un cuoco lobotomizzato, che non riusciva a raggiungere il centro della città per fare gli acquisti, a causa di tutte le cose allettanti che incontrava per via ». Il tono della rivista non migliora con l’articolo di Dogana « L’amerikano », in cui sono riportare numerose ricerche per dimostrare che suoni come « K T Z » sono associati al concetto di duro, e altri come « L M N » al concetto di morbido.

In questo stesso numero 10 compare anche uno dei pochi articoli presi dalla rivista francese « Psychologie », anziché da quella americana: Quentin Debray « Le malattie mentali sono iscritte nei cromosomi? ». I risultati sono forse anche peggiori. Debray ripropone nientemeno come moderna e attuale la tesi che la malattia mentale sia ereditaria ed esalta nel contempo i passi da gigante compiuti dalla psicofarmacologia (quali?). Per lui alterazione cromosomica e disturbi caratteriali sono evidentemente la stessa cosa. La sua formazione organicistica raggiunge il parossismo quando sostiene che esiste non solo la predisposizione alla malattia mentale, ma addirittura il gene della « cliclotima », che sarebbe situato vicino a quello del daltonismo. Inoltre schizofrenia e omosessualità sono inesorabilmente ereditarie. (!)

Non poteva mancare naturalmente, in questa raccolta di proposizioni reazionarie, il collegamento tra alterazioni cromosomiche e delinquenza (tra l’altro, i delinquenti hanno cromosomi più lunghi). L’uso migliore della genetica, dice Debray, è studiare l’incidenza della malattia mentale nella famiglia per « perfezionare la classificazione delle entità psichiatriche » (era proprio quanto ci mancava!) allo scopo di tranquillizzare pazienti e famiglie.              Questo perché per Debray è stato ormai scoperto il legame tra nevrosi e schizofrenia. Non nel senso che entrambe nascono dalla repressione, seppure a livelli differenti, della personalità, degli impulsi vitali e della indipendenza dei bambini; ma perché siamo più o meno tutti segnati dalle nostre tare ereditarie. Dopo aver così fatto la delizia di un Buscaino, sostiene che la genetica « non sfocia in una classificazione di tipo botanico; ha ben altre ambizioni ». Quali? Quelle di dimostrare che le malattie mentali consistono in « produzione anormale di determinate sostanze » a causa di malattie genetiche ereditarie. Ma, conclude l’autore, di tutto ciò non esistono le prove. Lo squallore delle tesi di Debray, acriticamente pubblicate da Psicologia contemporanea, cede il passo alla logica più sottilmente reazionaria, ma più pericolosa, di Eysenck, autore di:  « Nuove vie della psicoterapia ». Con Eysenck scopriamo che la teoria psicanalitica freudiana e neofreudiana, e tutte le altre psicoterapie ed affini sono una falsità! Infatti, secondo studi citati dall’autore, si hanno remissioni spontanee di gravi nevrosi nel 65-90% dei casi. Ma io mi chiedo che significano remissioni dei sintomi e guarigione per l’autore? L’angoscia, i disturbi del carattere, la corazza muscolare, la difficoltà di espandersi alla vita e di sentire il proprio corpo e le proprie emozioni evidentemente secondo Eysenck o scompaiono da soli con il tempo (ma è stato verificato il contrario!) o non sono sintomi nevrotici. Comunque solo la « terapia comportamentale » sembra che offra un’alternativa veramente scientifica alla psicoterapia di qualunque indirizzo: e cioè il decondizionamento dei pazienti. Esempio riportato. Una paziente ha la fobia dei gatti; le viene detto di immaginare un gattino in braccio ad un bambino (l’immagine meno ansiogena di una scala via via crescente) e nello stesso tempo la si fa rilassare col metodo del rilassamento progressivo dei muscoli. Poi si passa ad un’immagine un po’ più ansiogena, con lo stesso procedimento, fino a quella di « un grosso gatto nero che si aggira in un prato o raggomitolato nel suo letto ». La paziente è guarita; decondizionata man mano,           non avrà più paura dei gatti. II tutto si commetta da solo. Aggiungerò soltanto questo: secondo Eysenck durante le prove di laboratorio si è trovato, tra l’altro, che dopo la terapia comportamentale si era avuto «un notevole miglioramento del rendimento intellettuale ». Ecco finalmente risolto dall’autore anche il problema dell’intelligenza, su cui si dibatte da anni.

Ma andiamo avanti nella lettura dell’articolo. La terapia comportamentale è l’unica valida, perché cura i sintomi. E a chi obbietta che dietro i sintomi ci sono le cause e i disturbi dell’intera personalità Eysenck risponde dogmaticamente che è falso. La paura, dice ad esempio, non è sintomatica di niente (?!) Il colmo lo si raggiunge quando si parla dei disturbi nevrotici secondari, che nascono « per il fallimento di qualche condizionamento sociale richiesto, come avviene nei sociopatici e negli psicopatici. Questi individui sono socialmente irresponsabili: morbosamente bugiardi, ladri, assassini, non si preoccupano dì essere quasi certamente scoperti e puniti ». Trionfa la logica dell’adattamento al sistema e dell’emarginazione senza recupero per chi non può o non vuole accettarla. Ma sentiamo come nascono i disturbi della sessualità: « Uno stimolo normalmente neutro come la scarpa può  incidentalmente associarsi al piacere sessuale, e diventare uno stimolo condizionato collegato a una risposta sessuale (feticismo della scarpa)». Tutto questo non basta; Eysenck parla anche di terapie di aversione: associare allo stimolo da estirpare una risposta spiacevole, una droga, una sostanza che provochi nausea, una scossa elettrica. Siamo in pieno clima di « Arancia meccanica »; quel film che così lucidamente denunciava la contraddizione di una società che vuole estirpare la violenza, da lei stessa provocata, usando ancora la violenza per riadattare e sottomettere. Cito ancora: « Benché dolorosa, la terapia di aversione, se ben eseguita, è molto efficace». « La moderna terapia comportamentale preferisce impiegare la scossa elettrica… è più precisa… La scossa elettrica è stata usata per eliminare alcune deviazioni sessuali, come l’omosessualità e il travestitismo ». Dopo di che l’autore ha il coraggio di affermare: « possiamo dire che i terapeuti comportamentisti stanno davvero portando una ventata d’aria fresca in un settore da tempo sempre più sterile ed ammuffito ». Tralasciamo la facile critica dell’assurdità e della violenza di questa « terapia », che sembra propugnare un uso più allargato dei famigerati elettroschock. Il fatto è che viene negata qualsiasi causa sociale della nevrosi, e quindi la necessità di una lotta per eliminare queste cause, per prevenirle, per modificare la società, cioè di una lotta politica. Anzi non esiste più nemmeno l’uomo con la sua complessità, le sue problematiche, le sue emozioni; ma solo un essere che può essere manipolato a proprio uso e consumo e non aiutato a risolvere i propri conflitti. Si potrebbe, di questo passo, arrivare a « decondizionare » tutti i comportamenti sgraditi alla classe dominante, o a inculcarne altri di sottomissione e di consenso. E non è una ipotesi fantascientifica: sono già iniziate ricerche negli Stati Uniti, a cui contribuiscono quelli che lavorano per il  sistema, come Eysenck, e come Psicologia contemporanea, veicolo culturale dell’ideologia borghese.