Luciano Rispoli psicologo: Psicoterapia corporea e stress

in L.Rispoli (a cura di) “Terapie tra corpo e psiche” Riza Scienze n . 62, Novembre 1992.

Lo psicologo Luciano Rispoli Presidente Comitati Scientifici Nazionale e Internazionale per la Psicoterapia Corporea, nel seguente articolo, propone un modello operativo per il benessere e la prevenzione dello stress partendo dalla psicoterapia corporea.


Lo stress cronico coinvolge tutte e aree del Sé. Per combatterlo è necessario intervenire sulla complessità della persona, ma anche sulla comunità in cui vive.

La prospettiva funzionale

La Psicoterapia Corporea ha oramai oltre 60 anni di vita, nei quali ricerche, risultati, dati sempre nuovi sono anda­ti via via arricchendo questa importante area della psico­logia clinica. L’ampia gamma di dati ed elementi che l’approccio psi­cocorporeo si propone di tenere in considerazione ha condotto a una teoria originale sull’intera struttura della personalità, a un modello complessivo del Sé che acco­gliesse al suo interno anche le scoperte che nel frattempo discipline contigue realizzavano, in specie sui processi della nascita e della prima infanzia, o nel campo della psicofisiologia. Si è andata dunque definendo sempre più un’ipotesi ge­nerale che inquadrasse sistematicamente tutti i processi psicocorporei, che considerasse tutte le differenti funzio­ni, ricercandone le leggi che le regolano. Si è trovato così che le varie funzioni del Sé sono inizial­mente profondamente integrate in un nucleo originario, e che vanno successivamente scindendosi tra di loro e al­terandosi in configurazioni che possono essere chiara­mente identificate e analizzate. Tali configurazioni ci permettono di capire come e perché ci si ammala, quale tipo di strada prenderà questa alterazione del Sé (se di ti­po psichico o somatico), e in certa misura prevedere a di­stanza l’insorgere stesso delle patologie. In particolare è la prospettiva funzionale che ha raccolto e portato più avanti gli studi e le ricerche sulle complesse leggi di funzionamento e di interconnessione di tutti i processi psicocorporei del Sé, dei vari piani e sottopiani che lo compongono, e che possono essere raggruppati in 4 grandi aree, (Emotiva – Posturale e muscolare – Fisio­logica – Cognitiva e simbolica), secondo un modello fun­zionale che negli ultimi tempi si è andato verificando e consolidando. Tutto ciò ha aperto la strada a una serie di prospettive e di applicazioni dalla portata incalcolabile, sulle quali si stanno compiendo numerosi passi, che comunque sono da considerarsi ancora passi iniziali se paragonati a quelli che potenzialmente possono ulteriormente svilupparsi. Prendiamo un esempio concreto, in relazione a uno dei temi più affascinanti e ricco di prospettive, quale quello dello stress.

Lo stress

Oggi si conoscono numerosi elementi del fenomeno stress grazie alle ricerche che, partite dalle prime tesi di Selye, si sono ulteriormente sviluppate in Francia, in Ita­lia e negli USA. Conosciamo quali sono le risposte del­l’organismo in una condizione di stress acuto, e nelle fasi successive al perdurare della presenza dell’agente stres­sante. Sappiamo molto delle complesse interazioni dei sistemi interni dell’organismo e in particolare di come reagiscano il sistema neurovegetativo e quello neuroen­docrino (anche se di giorno in giorno si scoprono nuovi neuromodulatori sia centrali che periferici, e i relativi re­cettori). Sappiamo inoltre che il problema maggiore è il degene­rare di uno stress acuto (fisiologico e benefico) in uno stress cronico, con la trasformazione di stimoli da esterni a interni: stimoli “fantasmi”. Infine sappiamo che ci sono chiarissime connessioni tra differenti piani di funziona­mento nella complessa catena che porta dal micro al macro, dai livelli interni a quelli più esterni e macroscopici; ad esempio tra il piano delle emozioni o quello delle fan­tasie e le risposte alterate degli apparati interni dell’orga­nismo (stress); o tra condizioni di stress e sistema immu­nologico, e così via. Ci sono però ancora molti anelli della catena sconosciuti o non ancora sufficientemente chiariti: e sono nodi cen­trali per la possibilità di intervenire e di prevenire i danni da stress. La prospettiva funzionale permette di affron­tarli con una visione complessiva di tutti i piani e i pro­cessi funzionali, attraverso una serie dileggi che consen­tono e facilitano il passaggio da un livello all’altro del continuum macro-micro. Non si sa ancora bene, ad esempio, come il comporta­mento delle persone o il loro vissuto emotivo possa in­fluire sullo stato di stress, o come questo sia in grado di modificare le condizioni dell’apparato immunitario. Non ci bastano più le definizioni di caratteristiche che un cer­to tipo di studi ha individuato per la cosiddetta personali­tà di tipo A, come soggetto tendente allo stress, ai distur­bi d’ansia e al rischio di malattie circolatorie. Possiamo oggi arricchire e approfondire questo tipo di ri­cerche inserendovi altri piani e livelli della struttura del Sé, altri anelli della catena micro-macro, altri più detta­gliati e circostanziati aspetti dell’alterazione dei processi funzionali psicocorporei, per poter arrivare a compren­dere realmente e a fondo i meccanismi e le modalità che, attraverso una cronicizzazione dello stress, conducono i soggetti in una zona di rischio per le cardiopatie o per gli altri tipi di malattie degenerative (comunque connesse a una deficienza della risposta immunitaria). Possiamo an­dare più a fondo e guardare a tutte le modificazioni di ti­po fisiologico e somatico che caratterizzano (strettamen­te intrecciate agli aspetti emotivi e cognitivi) le persona­lità a rischio. Anzi siamo in grado di affermare che è so­prattutto l’interazione, la modalità con cui sono inter­connessi tutti i fattori appartenenti alle varie aree del Sé, ad essere in tal senso significativa. E’ indispensabile procedere dunque nella ricerca, ritro­vando quegli anelli che ancora mancano alla compren­sione di questi complessi fenomeni, in particolare rispet­to alle specifiche e determinate modalità attraverso cui si cronicizza lo stress e soprattutto le tecniche e le metodo­logie attraverso cui si può allentare, fermare e invertire questo procedimento. A tal proposito bisogna sgombrare il campo dall’illusio­ne “medicalistica”, che pensa di intervenire su tutte le numerosissime sostanze che si liberano o si modificano in situazione di stress attraverso trattamenti farmacologi­ci (che tra l’altro non potrebbero che fornire un effetto tampone). Abbiamo invece la possibilità di individuare fattori più generali di regolazione delle sostanze biochi­miche, ai quali è possibile accedere da piani più “ester­ni”. Uno dei nodi più importanti da risolvere riguarda il co­me si cronicizza lo stress. La cronicità dello stress infatti è molto più diffusa di quanto non si pensi e tocca diretta­mente il problema fondamentale della prevenzione. Non bisogna credere che siano solo stimoli reali perdu­ranti nel tempo a produrre una condizione di stress cro­nico; al contrario, in realtà accade molto più di frequente che si metta in moto un fenomeno di “cortocircuito” al­l’interno di alcune aree del Sé, che continua ad appro­fondirsi e ad autoalimentarsi anche se non sono presenti eventi esterni evidenti di disturbo. Osserviamo la configurazione delle varie aree del Sé, in condizione di stress che va cronicizzandosi: è caratteristi­ca la presenza di una emozione strisciante di scontentez­za poco definita; l’immaginazione perde la sua capacità progettuale di organizzare il movimento verso un futuro e si trova inesorabilmente sommersa da fantasie che ven­gono dal passato; la consapevolezza si stacca dal postura­le e dal fisiologico impedendo di percepire le alterazioni del respiro, del tono muscolare, delle posizioni stereoti­pate del corpo; le emozioni più intense si riversano diret­tamente sul fisiologico; il sistema neurovegetativo e quello respiratorio continuano a funzionare isolati e cor­tocircuitati, come se fosse ancora presente una causa reale di stress all’esterno. Il diagramma funzionale ci permette di analizzare con notevole precisione il tipo di alterazioni e scissioni in at­to, e di intervenire in modo adeguato attraverso una se­rie di tecniche che evidentemente devono toccare e mo­dificare tutte le aree del Sé colpite. La ricerca ventennale in psicoterapia corporea ci ha fornito una complessa strumentazione di tipo olistico dà mettere al servizio del progetto terapeutico generale e delle strategie che la teo­ria funzionale permette di individuare. Attraverso un approccio funzionale possiamo comincia­re a comprendere come ridurre le condizioni alterate di stress cronico, come invertire un processo già in atto pri­ma che sfoci in una serie di sintomi più gravi ed evidenti, e infine come operare affinché si produca una “cultura dello stress” diffusa, per combatterlo a livello di comuni­tà.

I progetti per la comunità

Dal piano più strettamente clinico si possono ricavare in­dicazioni preziose per passare a un livello ben più ampio, sociale. Da qui la necessità di una stretta collaborazione tra queste due branche della psicologia: clinica e di co­munità. E’ necessario approntare una serie di progetti di intervento su larga scala, al fine di dare concretezza a concetti oggi molto adoperati come “benessere” e “qua­lità della vita”. L’OMS giustamente è da tempo attenta a questi aspetti della salute e del benessere, e volge i suoi sforzi a pro­muovere quelle ricerche e quelle realizzazioni che siano in grado di fornire una reale ed efficace risposta nella lot­ta contro lo stress, contro le diffuse patologie cardiache e degenerative, che in qualche misura allo stress sono col­legate. Dicevamo di una cultura dello stress, di una consapevo­lezza sociale del fenomeno e dei mezzi per combatterlo e prevenirlo: questa è una delle maniere per rendere con­creto il discorso sul benessere ed evitare il pericolo di sci­volare in indicazioni vaghe e generiche, che finirebbero per essere troppo lontane da metodologie specifiche di psicologia. Per cultura dello stress intendiamo una serie di progetti e di interventi a più livelli per far apprendere e diffondere conoscenze, metodi e tecniche (in fondo relativamente semplici da realizzare) per evitare il più possibile che il fenomeno si espanda, si intensifichi, o soltanto si inne­schi. Si tratta di organizzare corsi, gruppi, e altri metodi di sensibilizzazione attraverso cui la gente possa com­prendere, ad esempio, l’importanza dei fattori di regola­zione generale (prima menzionati) quale una corretta re­spirazione diaframmatica, o una mobilità del tono mu­scolare di alcune zone chiave del nostro corpo. Interventi così semplici, ma allo stesso tempo estrema­mente utili ed efficaci, potrebbero divenire di uso comu­ne da parte dei genitori nei confronti dei loro bambini, negli studi medici, nella educazione fisica a scuola, nelle attività sportive, e anche nel mondo del lavoro, in una si­nergia di interventi che offrirebbe a livello di popolazio­ne non solo la sensibilità per accorgersi tempestivamente dell’insorgere dei primi sintomi di stress cronico, ma an­che una strumentazione potente per prevenirlo, realiz­zando così una condizione sociale diffusa di benessere.