Luciano Rispoli psicoterapeuta: Essere psicologi oggi.

in Psicologia Italiana” Volume VI n. 2 – Ed. SIPs, Bologna, 1984. 

Luciano Rispoli analizza il ruolo dello psicologo oggi, riportando le proprie riflessioni come spunto di discussione.


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A proposito del problema non ancora troppo dibattuto e analizzato del significato di fare psicologia oggi, ritengo che possano essere utili queste mie riflessioni come spunto di ulteriore discussione sul ruolo che la SIPs può avere nella psicologia italiana nei prossimi anni, anche in relazione alle posizioni e al programma che il Direttivo Regionale Campano, di cui faccio parte, ha elaborato. Seppure a costo di semplificare troppo, mi sembra di poter individuare una crescita generale di consapevolezza dell’essere psicologo oggi, come una presenza non più timida o subalterna ad altri più consolidati ruoli professionali. Ma a fianco di tale crescita sembrano ancora troppo poco sviluppate un’incidenza e una presenza effettive e puntuali dell’opera dello psicologo in tutte le realtà in cui sarebbe importante che ci fosse, dall‘istituzione scuola alle strutture ospedaliere, dai consultori alla programmazione delle risorse territoriali e così via. Se questa scollatura può essere collegata certamente a diversi e complessi fattori, focalizzarne i principali potrebbe dare la possibilità di intervenire previsionalmente e tentare di modificare la situazione attuale. A tal proposito penso che si possa sostenere che da una parte permane una situazione oggettiva di scarsità di possibilità lavorative, legata ad una committenza sta pubblica che privata che sembra ancora ignorare le possibilità che I opera dello psicologo può sviluppare. E questo, come già altre volte si è sottolineato e a sua volta legato ad una certa indeterminatezza del ruolo professionale dello psicologo, ad una scarsa chiarezza della sua immagine pubblica che pervade anche il tipo di intervento che esso può fornire all’utenza. Ad agire in tal caso, oltre ad uno spazio difficile da conquistarsi perché rivendicato a altre figure professionali, e quindi ad una competitività che si autoalimenta per la scarsità di posti di lavoro, c’è una mancanza effettiva di limpidezza su ciò che lo psicologo va a effettuare nel proprie operaio. Se il medico conserva potere creando un distacco con l’utente attraverso il peso del suo «sapere» specialistico, che non condivide col paziente, almeno è chiaro su che cosa egli interverrà, quando si ricorre a lui. In uno scritto precedente sostenevo che a proposito dell‘operato dello psicologo, non solo non è ancora sufficientemente palese quando esso sia necessario (sembra a volte pleonastico o un lusso addizionale), ma nemmeno come sia indispensabile (proprio per l’oggetto di cui si occupa) precisare presupposti teorici e metodologici, significato e risvolto sociali, tipo di approccio a tu ci si riferisce. E soprattutto è importante che lo psicologo illustri gli obiettivi a cui tende, non tracciandoli genericamente, ma illustrandoli in modo epistemologicamente corretto. In effetti non tutti gli psicologi perseguono nell’istituzione gli stessi obiettivi e non tutte le istituzioni e i committenti si prefiggono i medesimi risultati. In altri termini potremmo dire che inconscio istituzionale e opacità del ruolo professionale impediscono un incontro fattuale, che possa sfociare sin dall‘oggi in progetti chiari, in proposte concrete e non ambigue, in obiettivi che in un intervento pubblico, a favore della comunità, sono sempre politicamente e socialmente connotati. Questa connotazione deve essere allora esplicitata, perché l’utenza possa capire a chi rivolgersi e cosa intende realmente richiedere. Il secondo punto, altro nodo centrale dei problemi sin qui analizzati, consiste nella necessità di capire e rispettare la domanda che effettivamente ci Viene posta dall’utenza, per poter partire proprio da quest’ultima.

Durante l’esperienza di questi ultimi 15 anni di ricerca e attività del Centro Studi Reich e della Scuola Europea di Formazione in Vegerorerapia carattero-arialirica, abbiamo potuto tastare in modo continuativo il polso di un’utenza che via via modificava e precisava esigenze e richieste. E anche se i dati ricavati non possono essere considerati rappresentativi di un’intera realtà, certamente molto più complessa ed articolata, pure l’aumento di richiesta di affrontare il disagio psichico, i nodi caratteriali non chiariti, gli ostacoli al processo formativo e al cambiamento, sia a livello individuale che istituzionale, ci deve far riflettere. E’ vero che lo psicologo si può e si deve mettere, come si sosteneva così lucidamente negli anni di lotta della nuova psichiatria, nell’ottica di ritrasformare la domanda degli utenti, in genere condizionata dalla cultura predominante; ma la deve prima sapere ‘accogliere e capire, e basarsi concretamente su di essa nell’opera di trasformazione.  Oggi è cresciuta a livello sociale la richiesta di «psicoterapia», non tanto nel senso di un trattamento terapeutico individuale, ma soprattutto nel senso di intervenire su quegli elementi di malessere e di contraddizione che impediscono di uscite dallo stato di confusione e di disagio interiore e di potersi sentire interpreti e attivi nei processi di trasformazione sociale, a livello individuale, di gruppo e di organizzazione. Se è vero che le potenzialità dello psicologo possono e devono esprimersi soprattutto nella prevenzione dei sintomi e nella regolazione di processi psicologici di formazione, di ristrutturazione e di cambiamento, è vero anche che non si può trascurare questa crescente necessità che la gente e la società oggi esprimono. Ma proprio partendo da questa sarà possibile riuscire a essere presenti nei processi istituzionali anche a livello dì prevenzione, evitando il dilagare di «psicoterapie» intese come trattamenti esclusivamente medicalizzati, privati e individuali, il Convegno Nazionale del 30-31 marzo a Napoli su « Formazione psicosociale e psicoterapie » organizzato dalla Provincia, dal SIPs campana e dal Centro Studi Reich, ha fornito un ulteriore contributo su questa strada di interazione attiva a vari livelli. Da una parte ha creato un’opportunità di incontro tra protagonisti dell’intervento sociale troppo spesso tradizionalmente separati, se non in Contrapposizione: psicologi, sociologi, psichiatri, operatori sociali. In secondo luogo ha ribadito la possibilità di utilizzare a livello più allargato e istituzionale il sapere psicoterapeutico con la sua ricchezza di elaborazioni e di esperienza, a volte separata e rinchiusa negli studi privati. In terzo luogo è riuscito a collegare, anche se solo come linea di tendenza, situazioni e ambiti tra i quali c’è stato poco dialogo e scarsa collaborazione: strutture accademiche, situazioni professionali e centri di ricerca e formazione non istituzionali. Il discorso è appena agli inizi, ma indubbiamente siamo già ad un’altra pagina della storia della psicologia in Italia: le iniziative proliferano, gli interessi si moltiplicano, ma non sempre con il rigore scientifico e la serietà di intervento che sarebbero in questa fase indispensabili.

La ricerca e la formazione non possono più esistere in ambiti separati tra di loro, ma neppure staccarsi dalla pratica professionale a livello istituzionale o privato che sia. Il progetto di formazione permanente va consoli- dando concrete possibilità di realizzarsi, anche per un accresciuto fermento culturale e organizzativo che tocca in larga misura ambiti e realtà esterni ai luoghi tradizionalmente appannaggio del sapere: le Università. Ciò non deve tradursi in un attacco al significato e ai contenuti della preparazione e della ricerca nell’Università, che deve restare il momento cardine e fondante sia della ricerca che della formazione. E perciò importante riorganizzare i corsi di laurea, in un assetto che veda anche il mezzogiorno utilizzare meglio le sue notevoli potenzialità; ma è altresì necessario riinventare i significati di uno slogan culturale mai del tutto riempito di progettualità concreta: la Scuola aperta e integrata al Territorio, cioè un sapere accademico che coordina e si collega a nuove realtà in rapida evoluzione. Oggi, in questo quadro complessivo ed in movimento, la SIPs può ritrovare un ruolo preminente di propulsione e di collegamento tra iniziative e realtà differenti nel campo della psicologia. E il momento in cui non si può più lasciare che nuove prospettive passino ancora al di fuori della SIPs. La Società Italiana di Psicologia può rivendicare il suo ruolo di struttura scientifica e culturale a livello nazionale, e accrescere nello stessi) tempo le capacità di calarsi in situazioni strutturali locali, attraverso un’organizzazione periferica da essa attivata e coordinata. Così le Sezioni Regionali possono diventare un meccanismo snello, veloce, per la trasmissione delle innovazioni e delle linee programmatiche del Direttivo Nazionale, mantenendo al contempo originalità e capacità decisionali. Esse possono cioè essere promotrici di confronti tra situazioni sinora considerate eterogenee, uscendo decisamente all’aperto e immettendosi nel circuito della ricerca, della formazione e delle problematiche del settore psicologico così come si specificano localmente. Le Sezioni, infine, in stretto collegamento con le Divisioni, possono realizzare un tramite tra mondo professionale e mondo accademico, tra strutture aziendali e strutture di ricerca, tra scuole di formazione psicoterapeutica e istituzioni pubbliche, indagando operativamente sulle risorse esistenti riti settore della psicologia, per una qualificazione di contenuti e di metodologie, in senso scientifico e di utilità sociale, di quelle iniziative che possono far progredite la psicologia e i suoi apporti, amplificandone validità e chiarezza di intenti.