Luciano Rispoli psicologo: Paziente Alzheimer e teoria Funzionale del Sé.

in Ciclo Evolutivo e Disabilità, Vol. 5, n. 1, 2002.

Il lavoro svolto da Luciano Rispoli, col la partecipazione di Belloni Sonzogni, A. Fumagalli e P. Nava, costituisce un’indagine preliminare sull’osservazione del Sé nel soggetto demente, permettendo di formulare alcune considerazioni di grande rilievo, che possono fornire degli spunti per approfondimenti successivi e per progetti di intervento che siano in grado di fornire un aiuto importante alla vita e al benessere di tali pazienti.


Individualità e multidimensionalità

La scienza che studia e interpreta il funzionamento psichico normale e patologico degli esseri umani si sta sempre più indirizzando verso due principi di base: l’individualità e la multidimensionalità. Pur lasciando sullo sfondo i quadri patologici più generali, la psicologia clinica e la psicoterapia stanno abbandonando una descrizione del disagio basata sulle classiche tipologie, dal momento che non è mai stato possibile riscontrare soggetti che corrispondessero totalmente alle caratteristiche di una di tali categorie, bensì solo a mescolanze molto complesse di più tipi differenti (Basch, 1991; Rispoli, 1993). Questo ha fatto crescere l’attenzione sulle complesse configurazioni individuali che potevano descrivere il quadro diagnostico di un singolo soggetto. Considerare complesse configurazioni individuali implica una concettualizzazione che prevede una visione multifocale della persona e del suo sistema di relazioni con l’ambiente, una visione che quindi si sforza di osservare il mondo interno e relazionale del soggetto attraverso più di una sola componente, più di un canale comunicativo, più di una Funzione.

Lo studio delle persone affette da demenza

Tutto questo ha un suo importante valore anche (se non di più) quando si voglia prendere in considerazione lo stato generale ed effettivo di persone affette da demenza, di soggetti in cui la destrutturazione del Sé generata dalla malattia mina la percezione di una continuità nel senso soggettivo della propria identità. Con il progredire della malattia, infatti, gli interessi, i bisogni, la personalità, i legami affettivi e tutti gli altri aspetti che in generale contribuiscono ad un’esistenza “normale” vengono appiattiti e limitati. Le ricerche attuali tendono a conferire maggiore rilevanza alle caratteristiche individuali dei soggetti, alle modalità attraverso le quali il demente cerca di “incorporare” la malattia nella visione di sé, ridisegnando la relazione tra il Sé e il proprio ambiente (Lawton, Van Haitsma e Klapper, 1996). Soprattutto nelle fasi avanzate della patologia, i pazienti dementi evidenziano una crescente difficoltà nell’esprimere verbalmente gli stati soggettivi sperimentati. Questa limitazione è sentita con particolare gravosità dai familiari del paziente e dallo staff che lo assiste, impegnati in una “lettura” sempre più complessa dei bisogni del soggetto, attraverso il canale non-verbale. Alcuni autori (Bartol 1979; Mace 1989, pp 4-6) rilevano tuttavia che le persone con demenza possono esprimere i loro stati interiori attraverso le espressioni del viso, i movimenti del corpo, le posture, i gesti, il tono della voce. In campo geriatrico molti studi (Malatesta, Fiore and Messina, 1987, pp 64-69; Malatesta, Izard, Culver and Nicholich, 1987b; Levinson,Cartestensen, Friesen ed Ekman, 1991) rifacendosi a rilevazioni compiute negli anni 70 (Ekman, Friesen and Tompkins, 1971) su campioni di popolazioni normali, hanno applicato con successo sofisticate metodiche per identificare stati emotivi come la gioia, la paura, la rabbia, attraverso l’osservazione della muscolatura di zone particolari del viso.

Tuttavia, per i soggetti dementi, la letteratura sembra mostrare come l’osservazione di tali aspetti sia stata solo parziamente approfondita. Hurley e collaboratori (Hurley, Volicer, Hanrahan, Houde and Volicer 1992, pp 369-377) hanno costruito una scala per la valutazione delle espressioni di disagio nei pazienti Alzheimer; ma la ricerca che ne è derivata, pur introducendo elementi euristici importanti, presenta il chiaro limite di osservare i soli stati emotivi negativi (Lawton, 1994). Altri autori (Lawton e al., 1996; Malatesta e al., 1987a e 1987b) hanno dedicato ampio spazio allo studio della capacità dei soggetti Alzheimer nel codificare e decodificare le emozioni attraverso l’osservazione delle espressioni del viso. La maggior parte degli studi condotti con il metodo dell’osservazione si è focalizzato sull’esame dei disturbi del comportamento, quali i deliri, le allucinazioni, l’agitazione psicomotoria (Zeiss, Davies and Tinklenberg, 1996; Morse and McHutchion, 1991; Bugio, Scilley, Hardin, Janosky, Bonino, Slater and Enberg, 1994; Fenoy, Marchadour, Belpomme, Marchesani, Le Dastumer et Baulon, 1994). Lawton (1989) e Baltes & Wahl (1992) hanno sottolineato l’importanza di studiare le variabili ambientali che maggiormente sembrano influire sul comportamento dei soggetti dementi, più sensibili alle influenze dell’ambiente sia positive che negative, a causa dell’aumentata vulnerabilità biologica. Il problema appare particolarmente importante se considerato in un’ottica assistenziale (Appel, Kertesz and Fishman, 1982; Teri, Larson and Reifler, 1988; Burgener, Jirovec, Murrel and Barton, 1992; Dean, Briggs and Lindesay, 1993), in quanto la comprensione delle variabili contestuali non può da sola essere sufficiente ma bisogna sempre ricercare interventi che possano assicurare realmente una migliore qualità della vita in tali soggetti (Lawton, 1994). Allo stato attuale delle conoscenze sembra soprattutto necessario integrare il patrimonio di acquisizioni derivato dagli studi di tipo osservativo con ulteriori indagini che meglio approfondiscano gli aspetti psicologici relativi alla personalità del soggetto demente (Tancredi e Capelli, 1985). L’esame della modificazione della personalità per effetto della compromissione cognitiva appare ancora troppo settorialmente esplorato (Perez, Stump, Gay and Hart, 1976; Grossi, Orsini e Ridente, 1977).

La ricerca

In tale ottica si colloca il presente lavoro, teso a scandagliare le reali condizioni del soggetto demente al di là dei sintomi e dei deficit dovuti alla malattia. Si sono, dunque, voluti prendere in considerazione i differenti aspetti corporei e psichici (o meglio psico-corporei) che concorrono a formare la personalità, il Sé, l’organizzazione vitale e relazionale dei pazienti dementi. A tale scopo si sono fatti propri i presupposti teorici ed epistemologici recenti della psicologia Funzionale (Rispoli, 1993). La psicologia Funzionale affonda le sue radici nell’area della psicoterapia corporea (Reich, 1973; Lowen, 1978; Boadella e Liss, 1986; Rispoli ed Adriello, 1988; Rispoli, 1993 e 1997), che basa prevalentemente lo studio della personalità sull’osservazione delle posture, delle espressioni del viso, del tono muscolare, di tutto ciò che fa parte della comunicazione non-verbale, ma si è sviluppata in direzione di una visione integrata, complessiva, multidimensionale della persona. La teoria Funzionale del Sé, che rappresenta l’orientamento seguito in questo lavoro, pur avendo trovato ampi sbocchi applicativi nel campo della prevenzione e dell’intervento sul disagio psichico e psicosomatico a livello dell’individuo, del gruppo e dell’istituzione (Rispoli e al., 1992), non era stata fino ad oggi pienamente utilizzata nel campo della psicologia dell’anziano, e del demente in particolare.

La psicologia Funzionale

La concezione del Sé secondo la prospettiva Funzionale implica una visione allargata del funzionamento del soggetto, prendendo in considerazione le Funzioni analizzabili da entrambi i versanti corporeo e psichico, che vanno a costituire un’inscindibile unità psicocorporea. Il Sé, secondo questo pensiero, consiste nell’organizzazione di tutti i piani e i processi psicocorporei (emozioni, ricordi, razionalità, simbolizzazione, posture, movimenti, respiro, sistema cardiocircolatorio, sistema immunitario, fino ad arrivare ai più profondi processi biologici). L’insieme di tutte le Funzioni concorre in modo paritetico, (circolare e non piramidale) a costituire il Sé. Le Funzioni non sono “parti”, non sono strutture d’insieme; è l’intero Sé che si manifesta e si esprime di volta in volta attraverso ciascuna Funzione (Rispoli, 1993; Rispoli 1998b). Dalla teoria Funzionale del Sé scaturisce un processo terapeutico che utilizza, per giungere ai nuclei profondi e ancora integrati del Sé, le Funzioni meno scisse, meno alterate, meno sclerotizzate, recuperando e ampliando le abilità residue dell’individuo.

Finalità e strumenti

La difficoltà ad integrare le varie informazioni relative al Sé, da parte del soggetto demente, incide sul suo senso di adeguatezza e sul suo modo di percepirsi. La modificazione che ne consegue dell’immagine di sé deriva sia dalle modalità senso-motorie, ma soprattutto da come queste vengono integrate con affetti ed emozioni, messe a confronto con il patrimonio personale ed elaborate a livello delle aree corticali associative (Nardi, De Rosa, Trovarelli, e Maechesi, 1989, pp 7-11). Poiché tutte le demenze diminuiscono l’efficienza delle aree associative, si ritiene interessante individuare metodiche di studio dei processi di reintegrazione e riorganizzazione dei vari piani del Sé, anche qualora questi avvenissero in modo parziale e provvisorio; a partire dalle Funzioni meno scisse e sclerotizzate, rilevabili attraverso l’osservazione. Nel presente lavoro si sono identificate alcune Funzioni del Sé che fossero il più possibile rappresentative di una gamma molto ampia di comportamenti, espressioni e capacità. Perciò sono state scelte, in accordo con le formulazioni più recenti della psicologia Funzionale (Rispoli, 1998a), quelle Funzioni più indifferenziate che fanno da base a molteplici comportamenti dettagliati e circostanziati, a diverse espressioni, a più sfumature legate al contesto e alla particolarità di differenti situazioni. Le Funzioni prescelte dovevano, inoltre, essere il più possibile rappresentative dell’intero Sé dei pazienti, cioè di tutte le aree in cui sono stati raggruppati i processi psicocorporei. Con la ricerca si intendeva indagare sulla configurazione del Sé di pazienti affetti da demenza, sulla reale portata delle loro potenzialità residue, sul deterioramento più superficiale o più profondo della loro identità. Si volevano cogliere le modalità comuni con cui si cronicizza lo stato di allarme nel quale viene a trovarsi il soggetto demente in conseguenza della disgregazione del proprio Sé: alterazione della respirazione; tensione a livello del tono muscolare; stato emotivo ansioso, agitato; scarsa sensibilità nella percezione delle sensazioni. Studiare le alterazioni effettive più o meno profonde del Sé permette di comprendere quali sono quelle più legate alla condizione stessa della malattia e quali, invece, quelle indotte dalla paura, dall’irrigidimento, dallo scoraggiamento; e quanto sia rimasto di vitale al di là di apparenze più superficiali.

La ricerca intendeva verificare, inoltre, se esistessero o meno configurazioni tipiche del Sé nei soggetti dementi; o se invece prevalesse una variabilità dovuta alle caratteristiche individuali di ciascun soggetto. Poter individuare questi vari elementi, oltre a permettere di delineare un quadro della condizione attuale del paziente demente, può servire ad identificare le aree del Sé maggiormente integre, i punti di forza, le funzioni più ricuperabili; e quindi le possibilità concrete di realizzare un intervento di reintegrazione partendo da punti di trasformazione duttili ed efficaci. Infine si voleva confermare il costrutto concettuale delle Funzioni del Sé e la possibilità di rilevarne un andamento non più mobile ma costante quando ci sono alterazioni croniche in atto.

MATERIALI E METODI

Lo studio ha compreso l’osservazione di 20 soggetti affetti da Morbo di Alzheimer, 5 maschi e 15 femmine, di età media 79,75 anni (DS = 6,57), con una scolarità di 4,5 anni (DS = 3,24). Il 40% delle donne esaminate ha svolto la professione di casalinga, mentre gli uomini prevalentemente quella di operaio (20%). Il 50% dei soggetti era vedovo. Il punteggio al MMSE era di 15,56 (DS = 4,8; Min. = 7 – Max = 22). Al momento della rilevazione dei dati i soggetti si trovavano in un reparto geriatrico per un ricovero temporaneo di circa un mese. Si è utilizzata, una griglia di osservazione, frutto dell’integrazione e adattamento di analoghi strumenti (Rispoli, 1998a) già utilizzati nell’ambito della psicoterapia Funzionale per valutare le condizioni del Sé di pazienti in trattamento psicoterapico. La prima parte della griglia riguarda l’osservazione del comportamento spontaneo, la seconda quella del comportamento su stimolazione di tipo verbale o manuale eseguite dall’esaminatore (Tab. I). Sia per le osservazioni del comportamento spontaneo che per quelle del comportamento su stimolazione, la suddivisione in piani diversi è più formale che sostanziale in quanto la loro presenza è il risultato di un’integrazione di componenti che si trovano contemporaneamente in più piani di funzionamento del Sé. Ognuno dei comportamenti osservati è definito da diversi indici, la cui presenza/assenza permette di collocare i soggetti in una scala che prevede quattro risposte con punteggio da 1 a 4, in cui 1 rappresenta la massima conservazione della variabile esaminata, e 4 la massima compromissione della stessa. Rispetto al tipo di procedura seguita si sono utilizzate modalità differenti a seconda del comportamento rilevato: stimolato o spontaneo. Per quest’ultimo, ogni soggetto veniva osservato per 10 minuti, in tre settimane successive. Le rilevazioni venivano compiute in un intervallo di tempo invariato, compreso tra le 9 e le 11 e 30 del mattino e nel medesimo contesto ambientale. Le osservazioni del comportamento stimolato sono state eseguite, invece, in un’unica sessione, nel pomeriggio dello stesso giorno in cui veniva compiuta la prima osservazione del comportamento spontaneo.

Prima di compiere l’osservazione per ciascuna variabile, l’esaminatore ha illustrato in modo semplice e comprensibile al soggetto quale fosse il comportamento da eseguire, cercando di limitare i possibili deficit di comprensione del linguaggio verbale. Per quanto riguarda l’osservazione del comportamento spontaneo, si è proceduto al calcolo delle medie relative a ciascun comportamento nelle tre settimane di osservazione e del T di Student per la rilevazione di differenze significative nei tre tempi. Si è successivamente proceduto al calcolo delle correlazioni sia per i comportamenti spontanei, che tra questi ultimi e i comportamenti su stimolazione. Per quanto riguarda le variabili del comportamento stimolato, è stato dapprima eseguito il calcolo delle frequenze delle risposte di ciascun comportamento; successivamente si è proceduto con il calcolo delle correlazioni tra i comportamenti osservati su stimolazione ed infine con il calcolo delle correlazioni tra le osservazioni del comportamento spontaneo e quelle del comportamento su stimolazione.

RISULTATI

Comportamenti spontanei

Dal confronto dei comportamenti spontanei nelle tre settimane di osservazione, si ricava, pur all’interno di una certa variabilità, che non esistono differenze significative tra le osservazioni dello stesso comportamento nelle tre diverse settimane. Ci sono invece trend differenti per i quattro comportamenti. L’analisi dei dati (Fig. 1) evidenzia che nel comportamento Non chiusura collerica prevale la risposta 1 che indica la massima conservazione della Funzione. Per quanto riguarda invece il comportamento relativo a Serenità, prevalgono leggermente le risposte che indicano una media conservazione della Funzione (risposte 2 e 3); ma sono presenti anche la 1 e la 4. In Interezza della gamma dei movimenti lenti-veloci e Piccoli-grandi si è riscontrata una frequenza più alta nelle risposte di maggiore integrità della Funzione (risposte 1 e 2), in particolare la 1 che rappresenta decisamente la risposta prevalente in Interezza della gamma dei movimenti piccoli-grandi. L’analisi dei dati mostra che Serenità correla con Interezza della gamma dei movimenti lenti-veloci (r = .44) e Interezza della gamma dei movimenti piccoli-grandi (r = .38); i due ultimi correlano tra di loro. Non chiusura collerica invece non è correlata con nessuno degli altri comportamenti.

Risposte osservate su stimolazione

La Fig. 2 mostra l’andamento delle risposte osservate su stimolazione. In Respirazione diaframmatica, Rabbia aperta e Sbadigli si rileva la massima compromissione della funzione (risposta 4). Nella funzione Sensazione positiva del contatto si rileva una moderata compromissione che riguarda in particolare i dati relativi all’osservazione delle reazioni manifestate dal soggetto (poca reattività). Moderatamente compromessa è la funzione Forza calma. Livelli intermedi di compromissione (risposte 2 e 3) si riscontrano inoltre in Ipertono-ipotono, Morbidezza e Gioia. L’integrità della funzione (risposta 1) si registra invece in Lasciarsi andare, rilassarsi (che indica la capacità del soggetto di mantenere uno stato di allentamento e calma) e in Funzionalità percettiva, (indice di una conservata sensibilità dei soggetti dementi alle stimolazioni nocicettive). I risultati che riguardano il calcolo delle correlazioni tra i comportamenti osservati su stimolazione  mostrano come Rabbia aperta sia correlata negativamente con Sbadigli (r = -.40), con Ipertono-ipotono (r = -.39) e con Contatto 1 (valutazione del soggetto alla manipolazione del collo-inizo spalle) (r = -.45). Morbidezza è correlata negativamente con Ipertono-ipotono (r = -.39). Contatto 3 (osservazione delle reazioni del soggetto alla manipolazione del collo-inizio spalle) correla positivamente con Contatto 1 (valutazione del soggetto al tocco del collo-inizio spalle) (r = .58). Respirazione diaframmatica infine correla con Contatto 4 (osservazione delle reazioni del soggetto in seguito alla manipolazione delle braccia-mani) (r = .47). Dai risultati ottenuti mediante il calcolo delle correlazioni tra le osservazioni del comportamento spontaneo e quelle del comportamento su stimolazione. Si evince che Non chiusura collerica correla negativamente sia con il contatto relativo alla zona delle spalle fino alle mani, valutato dal soggetto (Contatto 4 r = -.56) che con Respirazione diaframmatica (r = -.46). Vi è inoltre una correlazione negativa tra Serenità e Rabbia (r = -.54). Si rileva invece che Ipertono-ipotono Interezza della gamma dei movimenti lenti-veloci correlano positivamente con Contatto 1 (valutazione del paziente circa la manipolazione della zona del collo-inizio spalle) (r = 41; r = 49). Interezza della gamma dei movimenti lenti-veloci correla inoltre con Forza calma (r = .46). Interezza della gamma dei movimenti piccoli-grandi, correla positivamente con Morbidezza (r = .42) e negativamente invece con Lasciarsi andare, rilassare (r = -.48).

DISCUSSIONE

Funzioni

Innanzitutto la presenza di un andamento costante nell’osservazione delle variabili sembra confermare il carattere “strutturale” delle Funzioni, cioè l’utilità del concetto di Funzione e dello studio delle Funzioni, che rivelano in modo chiaro la presenza o meno di alterazioni croniche. Attraverso i risultati ottenuti si conferma quindi la possibilità di pervenire ad una diagnosi significativa delle Funzioni del Sé dei singoli soggetti osservati nella presente ricerca.

Serenità

Dai dati, poi, sembra emergere il fatto incoraggiante che molti soggetti non sono bloccati in una collera chiusa, riscontrandovi nello stesso tempo un livello di serenità discreto. Il fatto che Non chiusura collerica non correli con gli altri comportamenti spontanei potrebbe evidenziare un’assenza dei canali espressivi, del desiderio, del bisogno di esprimere questa emozione.

Movimenti

Per quanto riguarda i movimenti è una grossa sorpresa che appaia preservata la capacità di modulare il proprio comportamento tra due polarità opposte, risultato che indica la presenza di una notevole vitalità, di un’espressività emotiva ancora presente e quindi di un’identità nei dementi esaminati in parte conservata al di là di quello che si poteva immaginare. Il movimento rappresenta una delle variabili considerate più importanti da chi si interessa del corpo in psicoterapia. Lo stretto legame tra movimento ed emozione è implicito nell’etimologia della parola emozione, composta dalla radice “e” e dal verbo “movere” che significano muovere verso, protendersi (Reich, 1973). Un disturbo emozionale ha il suo centro, quindi, in un’incapacità di muoversi verso le persone ed il mondo (Le Boulch, 1975; Lowen, 1978; Rispoli, 1993). In ogni caso prevalgono i movimenti piccoli, risultato interessante ricordando che le espressioni di affetto, e desiderio, si attuano prevalentemente mediante un ampio protendersi delle braccia, un movimento non piccolo e non trattenuto. Se questi aspetti si esprimono con movimenti goffi, si tendono a generare negli altri una risposta ambigua che, se non capìta, determina nel soggetto, che si sente rifiutato, un senso di inadeguatezza. Parte della fiducia in se stessi sembra dunque dipendere dal potersi esprimere bene con movimenti appropriati. Da qui si può dedurre l’importanza di un lavoro di recupero dei movimenti grandi, ampi, di “allungamento” verso il mondo, in un più equilibrato rapporto “dare e “avere”. Anche la correlazione tra Interezza della gamma dei movimenti veloci-lenti e Forza calma conferma l’ipotesi che la possibilità di modulare i propri movimenti è strettamente legata alla fiducia in se stessi, al senso di padronanza sulla propria vita, e che il miglioramento dell’uno potrebbe determinare un miglioramento nell’altro. I risultati infatti indicano che i soggetti esaminati, pur evidenziando performance discrete, potrebbero raggiungere un livello di funzionamento più elevato. La correlazione di Interezza della gamma dei movimenti veloci-lenti con Contatto 1 (valutazione espressa dal soggetto rispetto alla manipolazione del collo e dell’inizio delle spalle), aree entrambe ben conservate, indurrebbe a ritenere che il movimento giochi un ruolo importante anche nell’acuire la percezione delle sensazioni. Le tensioni croniche limitano il movimento, e impediscono anche la capacità di “sentire”.

Sensazioni

I risultati relativi alle sensazioni (Sensazione positiva del contatto) sono legati ai dati riguardanti il tono muscolare: secondo vari autori, tra i quali possiamo citare Lowen (1985) e Rispoli (1993), infatti, la possibilità di percepirle è ad esso strettamente connessa, poiché sembra che la presenza di tensioni muscolari croniche sia in grado di determinare una perdita, almeno parziale, della consapevolezza delle sensazioni sperimentate. Ciò trova conferma nel nostro campione laddove la difficoltà a percepire le sensazioni risulta correlata alla variabile Ipertono-ipotono. Interventi riabilitativi ed assistenziali che mirino al raggiungimento di questo obiettivo contribuirebbero a migliorare il livello di serenità del paziente. Le sensazioni sono comunque troppo chiuse mostrandoci un livello di angoscia e di sofferenza che potrebbe senz’altro essere alleviato. Le performance dei soggetti nella Sensazione positiva del contatto, ed in particolare la variabilità dei risultati rispetto al tipo di valutazione adottato, sembra confermare l’ipotesi che il contatto ha una grande importanza nell’evoluzione del bambino ed è una fondamentale Esperienza Basilare del Sé (Rispoli, 1993 e 1998b), spesso conservata ad un qualche livello più profondo e non immediatamente fruibile. La conseguenza più interessante riguarda, però, la presenza di una capacità profonda, ancora ben conservata, nel percepire sensazioni positive di contatto; presenza che, sebbene non chiaramente visibile all’esterno, andrebbe intensamente sviluppata e utilizzata per un miglioramento sostanziale delle condizioni di vita dei pazienti di Alzheimer. Quando la valutazione è espressa dal soggetto (soprattutto nel contatto che riguarda la zona del collo e l’inizio delle spalle, Contatto 1), i punteggi sembrano distribuirsi abbastanza omogeneamente; nell’osservazione ad opera dell’operatore delle reazioni manifestate dai pazienti, prevale invece la risposta 3 che indicherebbe una notevole disintegrazione della Funzione. Poiché emerge una discrepanza tra ciò che viene espresso dal soggetto e quello che viene percepito dall’esterno, ne deriverebbero varie conseguenze. Una prima è un probabile indebolimento nelle proprie competenze relazionali verso stereotipie espressive che non lasciano emergere bisogni ed emozioni. Una difficoltà a comunicare all’esterno le proprie sensazioni, attraverso l’alterazione delle Funzioni posturali, verrebbe resa ancora più marcata dalla mancanza di rinforzo da parte degli altri che non considerano questo aspetto una potenzialità ancora presente nel paziente Alzheimer. Dai risultati emersi dalle osservazioni sui soggetti dementi, quindi, si potrebbe progettare anche un lavoro finalizzato a facilitare un’espressione più adeguata delle sensazioni sperimentate, che comporterebbe un feed-back migliore da parte degli altri. Vi è tuttavia una correlazione positiva tra le due modalità di Contatto relative alla zona del collo e dell’inizio delle spalle, considerate dal punto di vista della valutazione espressa dal soggetto e dell’osservazione diretta da parte dell’esaminatore (Contatto 1 e Contatto 3). Il risultato sembra rispecchiare la presenza di una coincidenza tra le sensazioni di contatto sperimentate e quelle espresse verbalmente. Almeno in questa parte del corpo (collo-inizio spalle) rimane preservata quindi la concidenza tra le sensazioni provate dal soggetto e quelle rilevate dall’operatore.

La maggiore compromissione apparirebbe nella zona che riguarda l’area che va dalle spalle alle braccia. Oltre al significato relativo alle braccia, di cui si parlerà più avanti, si può ricordare quello che anche il senso comune attribuisce alle spalle (Dytchwald, 1987) e alla loro storia evolutiva studiata dalla psicologia Funzionale (Rispoli e al., 1988). Esse infatti sono tradizionalmente associate al sostenere pesi, alle responsabilità (vedi ad esempio il proverbio “avere la testa sulle spalle”) e in generale al fare. La perdita di autonomia e di un ruolo attivo che riguarda gli anziani più in generale, e i dementi in particolare, potrebbe, estremizzando la riflessione, suscitare emozioni che andrebbero a stratificarsi in quelle zone del corpo che maggiormente rappresentano la competenza perduta.

Gioia

In riferimento ai comportamenti su stimolazione, sembra vi sia una limitata apertura da parte dei soggetti all’emozione della Gioia; e interessanti appaiono le considerazioni espresse da molti pazienti durante l’esecuzione di questo comportamento. Molti soggetti, infatti, pur in assenza di performance adeguate, riportano una sensazione di benessere dovuta alla respirazione più profonda e all’apertura dei movimenti delle braccia richiesti in quel contesto. La possibilità di vivere pienamente l’emozione di gioia e la fiducia nel proprio potenziale (Forza calma) appaiono ridotte, coartate. Ma nonostante tutto ci sono ancora molti pazienti capaci di aprire la gioia, al di là di quanto si potrebbe pensare. Forse varrebbe la pena di aiutarli ancora di più su questo punto.

Allentare il controllo

Moderatamente compromessa è la performance che riguarda il piano posturale-motorio. Nella voce Sbadigli prevale in modo deciso la risposta che indica la massima disintegrazione della Funzione, forse non solo come conseguenza delle aprassie a livello bucco-facciale, ma anche della difficoltà ad allentare la vigilanza. Questo dato di per sé molto interessante, sarebbe da verificare in lavori più mirati alla rilevazione del danno neuropsicologico specifico. Il dato dell’incapacità generalizzata di smuovere sbadigli si accoppia a quello di una generale respirazione non buona. Ciò ci incoraggia nel pensare che tutto il quadro possa ancora notevolmente migliorare se si portano i soggetti a riaprire questo importante regolatore delle sensazioni e del benessere che è la respirazione diaframmatica. La difficoltà ad abbandonare uno stato di allarme risulta chiaramente, invece, in Ipertono-ipotono e Morbidezza. Gran parte dei soggetti evidenziano maggiore difficoltà nell’allentare il controllo delle braccia. Questo risultato appare rilevante se si considera il significato e la storia evolutiva che possiedono le braccia e le mani (Dytchwald, 1987; Rispoli e al., 1988), canali tramite cui vengono espresse emozioni importanti, come afferrare, tenere, prendere, dare, protendersi, manipolare, toccare. Le braccia forniscono  all’individuo una “base” rispetto al mondo della gente e delle cose. La flessibilità dei loro movimenti, la possibilità che questi siano ben modulati, rispecchiano il modo in cui ci si sente e ci si muove nel mondo, possedendo una forte valenza relazionale rispetto all’interazione “dare e prendere”. La difficoltà presente a livello relazionale nel nostro campione sembra inoltre confermata da una certa compromissione anche della funzione Morbidezza, variabile che esprime quella sfumatura legata alla capacità di lasciarsi andare alla tenerezza. I dati fin qui delineati potrebbero indicare la presenza di una tendenza alla chiusura, di una insicurezza nei propri mezzi, che inducono i pazienti Alzheimer a non affidarsi con fiducia al mondo esterno. Il fatto che Ipertono-ipotono, con la sua specifica valenza di vigilanza, correli negativamente con Morbidezza induce a confermare che quest’ultimo aspetto esprima sfumature differenti (lasciarsi andare alla tenerezza). L’allentamento del controllo può essere vissuto come un pericolo, in quanto comporta minacce all’integrità del Sé con sensazioni dolorose di esperienze passate negative. Tale risultato sottolinea ancora una volta l’importanza della relazione con il malato, che deve perciò essere volta ad enfatizzare le valenze rassicuranti circa la stabilità di presenza, di affetti, di rispetto, al fine di potenziare la sicurezza verso di sé e verso gli altri.

Percezioni

Anche da questa variabile si deduce che i livelli di funzionamento, propri di ciascuno sono migliori di più di quanto apparirebbe; in numero molto maggiore gli anziani potrebbero arrivare a sentire abbastanza bene le sensazioni. Il dolore stimola una reattività sopita e apre la via alle sensazioni di contatto.

Respirazione

Respirazione diaframmatica si manifesta come una Funzione notevolmente compromessa nel nostro campione. Anch’essa, come è evidenziato da precedenti studi (Rispoli, 1993) può evidenziare disturbi a livello emotivo e di percezione sensoriale. La respirazione “superficiale”, “toracica”, riscontrata nei soggetti esaminati, da una parte conferma lo stato di allarme, di vigilanza in cui si trovano i soggetti, dall’altra potrebbe essere interpretata come una necessità di anestetizzare le sensazioni negative di stress. Trattenendo la respirazione, infatti, vengono attenuate le sensazioni. Questo è evidente anche nei bambini, che trattengono il respiro per bloccare il pianto, e quindi per contenere le emozioni di tristezza o di angoscia. La piena respirazione, invece, è un piacevole cedere, aprirsi: lasciare andare l’aria equivale all’esperienza di lasciarsi andare. I risultati che riguardano la respirazione si collegano alla quasi assenza di voce manifestata dai soggetti in quei comportamenti che la richiedevano. Anche la voce, infatti, dipende dalla capacità di “lasciare” e viene inibita da tensioni che limitano il respiro. La correlazione tra Respirazione diaframmatica, così come appare nei soggetti, (superficiale, toracica) e il Contatto (relativo all’osservazione delle reazioni alla manipolazione della zona delle spalle e delle braccia, Contatto 4), potrebbe confermare le considerazioni precedenti: la possibilità esistente di sentire sensazioni positive potrebbe essere ulteriormente sviluppata se si aprisse la respirazione profonda e diaframmatica.

Forza Calma

La forza calma appare abbastanza compromessa nei pazienti. In genere quando c’è un pò più di rabbia c’è meno forza calma. Ma è già un dato notevole che molti riescano ad esprimere forza calma o rabbia ed alcuni anche tutte e due. La correlazione negativa di Rabbia aperta con Sbadigli e Ipertono-ipotono sembra dipendere dal fatto che la sfiducia nella capacità di modificare le cose e di essere agenti attivi, vissuto tipico del demente, genera uno stato di preallarme a cui farebbe seguito una forte reattività. Questo permetterebbe di comprendere la modalità esplosiva con cui essi esprimono la rabbia, in quanto generata da aggressività, collera, senso di impotenza (Belloni, Carabelli, Curioni e Fumagalli, in stampa). La non modulazione del sentimento in modo adattivo viene avvalorata dalla correlazione negativa tra Rabbia Aperta e Contatto 1 (valutazione espressa dal soggetto in seguito alla manipolazione della zona del collo e dell’inizio delle spalle). L’incapacità di aprirsi a sensazioni provocate dal contatto appare infatti in linea con la incapacità di aprirsi ad un sentimento oppositivo in modo morbido e modulato.

Lasciarsi andare

La correlazione negativa di Movimenti piccoli-grandi con Lasciarsi andare, rilassare sembra avvalorare l’ipotesi che quest’ultima, diversamente dalla variabile relativa ai movimenti che risulta sufficientemente conservata, più che uno stato di rilassamento, esprima una condizione di passività diffusa. I pazienti “lasciano” abbastanza (più di quanto si possa pensare). Comunque c’è una notevole variabilità in questa dimensione che dimostra ancora una volta la possibilità di far migliorare le loro condizioni.

Morbidezza

Infine, la correlazione positiva tra Morbidezza e Movimenti piccoli-grandi conferma che entrambe le variabili esprimono una sfumatura legata alla tenerezza. Infatti Morbidezza, secondo la teoria Funzionale del Sé, evidenzia la capacità di lasciarsi andare a tale sentimento. Anche i Movimenti piccoli, particolarmente presenti nel campione esaminato, trovano riferimenti in significati psicologici quali la capacità di relazionarsi con se stessi, di prendere contatto con le proprie valenze più intime. Sembra quindi che il paziente Alzheimer abbia ancora possibilità di trovare tenerezza, ma più con se stesso, piuttosto che negli scambi con l’esterno, intendendo i movimenti piccoli come carezze e attenzione che il demente rivolge verso di sé. Questo come conseguenza del fatto che l’esterno è percepito come pericoloso o non accogliente, anche in considerazione del senso di inadeguatezza interna.

CONCLUSIONI

Il lavoro svolto, pur costituendo un’indagine preliminare sull’osservazione del Sé nel soggetto demente, permette di formulare alcune considerazioni di grande rilievo, che possono fornire degli spunti per approfondimenti successivi e per progetti di intervento che siano in grado di fornire un aiuto importante (e non prevedibile prima della ricerca) alla vita e al benessere di tali pazienti. Il presente studio ha messo in evidenza come non vi sia omogeneità nei risultati relativi alle diverse variabili. In alcune Funzioni, come quelle che riguardano il movimento, si registra una integrità imprevedibile, mentre altre (respirazione diaframmatica, allentamento del controllo, gioia) sono risultate alterate e bisognose di un aiuto per rimobilizzarsi. Altre Funzioni, poi, presentano una isperata potenzialità di penetrare profondamente nel funzionamento di questi pazienti e riamplificare sensazioni di contatto, di benessere, di tenerezza, con un notevole miglioramento della loro condizione di vita e di salute. Inoltre, il fatto di avere riscontrato un andamento costante nei risultati delle osservazioni del comportamento spontaneo nelle tre settimane conferma l’affidabilità del concetto di Funzione con risvolti di importanza fondamentale. L’osservazione delle Funzioni secondo la Teoria Funzionale permette di cogliere la condizione complessiva e reale in cui si trova il soggetto, delineandone la configurazione del Sé. Per questo motivo sarebbe interessante ampliare lo studio ad altre Funzioni del Sé, anche per individuare un possibile “pattern” complessivo (ascrivibile sia in modo generale al paziente demente sia in particolare ai singoli soggetti) che potrebbe essere utilizzato come strumento utile a cogliere le aree più o meno conservate del Sé del soggetto, sulle quali poter lavorare in senso riabilitativo e assistenziale. Anche perché il deterioramento di alcune Funzioni (fondamentali per il benessere) sembra non dipendere da danno neurologico ma da altre condizioni connesse solo secondariamente alla malattia (per le limitazioni dovute a modalità di vita, a pregiudizi sociali, a chiusure culturali) e quindi suscettibile di notevole miglioramento attraverso un intervento terapeutico specifico. In tal senso potrebbe costituire uno degli obiettivi di ulteriori ricerche in questo ambito la valutazione della correlazione che realmente esiste tra grado di deterioramento cognitivo e livello di alterazione del Sé, finalità che non si è potuta realizzare pienamente all’interno di questo lavoro, data l’esiguità del campione. Sicuramente, il poter verificare un possibile legame tra una destrutturazione cognitiva che vada al di là del danno neurologico e i livelli di alterazione del Sé, su un campione più ampio di soggetti, potrebbe consentire di giungere a considerazioni di estremo interesse (che per ora rimangono inevitabilmente a livello di ipotesi) su insperate potenzialità di recupero.

Si vogliono infine sottolineare le potenzialità dell’approccio Funzionale nel campo della salute in generale, per le capacità che questo possiede nel cogliere il funzionamento dell’individuo nei vari piani psicocorporei. Di qui si può infatti procedere verso la realizzazione di diagnosi precoci, e verso la promozione del benessere dell’individuo nella sua globalità, a livello psichico e corporeo, attraverso interventi estremamente calibrati, capaci di migliorare i funzionamenti più accessibili, e di estendere poi gli effetti di questi miglioramenti anche agli altri piani del Sé, alla complessità della persona intera.

Riassunto

La psicologia Funzionale, sviluppata da Rispoli e dai suoi collaboratori affonda le sue radici nell’area della psicoterapia corporea (che basa prevalentemente lo studio della personalità sull’osservazione delle posture, delle espressioni del viso, del tono muscolare, di tutto ciò che fa parte della comunicazione non-verbale), ma si è sviluppata in direzione di una visione integrata, complessiva dei processi psico-corporei, del funzionamento profondo dell’organismo umano. La concezione del Sé secondo la prospettiva Funzionale implica una visione allargata del funzionamento del soggetto, prendendo in considerazione le Funzioni come espressione dell’intero organismo (emozioni, ricordi, razionalità, simbolizzazione, posture, movimenti, respiro, sistema cardiocircolatorio, sistema immunitario, fino ad arrivare ai più profondi processi biologici). Nella ricerca riportata nel  presente lavoro si sono identificate, in accordo con le formulazioni più recenti della Psicologia Funzionale del Sé che fossero il più possibile rappresentative di una gamma molto ampia di espressioni e capacità. Lo scopo della ricerca era di cogliere le modalità con cui si cronicizza lo stato di allarme nel quale viene a trovarsi il soggetto demente in conseguenza della disgregazione del proprio Sé: alterazione della respirazione; tensione a livello del tono muscolare; stato emotivo ansioso, agitato; scarsa sensibilità nella percezione delle sensazioni. Studiare le alterazioni del Sé permette di comprendere quali sono quelle più legate alla condizione stessa della malattia e quali, invece, quelle indotte dalla paura, dall’irrigidimento, dallo scoraggiamento; e quanto sia rimasto di vitale al di là di apparenze più superficiali. Si è utilizzata, una griglia di osservazione, frutto dell’integrazione e adattamento di analoghi strumenti già utilizzati nell’ambito della psicoterapia Funzionale per valutare le condizioni del Sé di pazienti in trattamento psicoterapico. La prima parte della griglia riguarda l’osservazione del comportamento spontaneo, la seconda quella del comportamento su stimolazione di tipo verbale o manuale eseguite dall’esaminatore. L’analisi dei dati, relativa al comportamento spontaneo, evidenzia che in realtà per questi pazienti non vi è una vera e propria Chiusura dovuta a rabbia trattenuta,  è piuttosto la Serenità ad essere mediamente compromessa. Nonostante l’apparente immobilità di questi soggetti, si è ritrovata una conservazione (abbastanza inaspettata) della  Interezza della gamma dei movimenti lenti-veloci e piccoli-grandi. Nelle risposte osservate su stimolazione emergono le maggiori compromissioni dei Funzionamenti profondi dei pazienti dementi: la Respirazione diaframmatici e gli Sbadigli sono quasi del tutto assenti, indicando una presenza di allarme, di vigilanza, di preoccupazione, che non è però, direttamente dovuta alla degenerazione neurologica. E, infatti, si scopre che con l’aiuto del massaggio del respiro, sciogliendo Tensioni Muscolari presenti, anche questi pazienti riescono (al di là di quanto si poteva aspettare) ad allentare la tensione e rilassarsi. D’altronde la funzione Sensazione positiva del contatto è poco compromessa. Mentre altre sono le manifestazioni vitali (espressive ed emotive) compromesse, come la Gioia, la Morbidezza, la Forza Calma (che è connessa alla capacità di muovere le situazioni interne a Sé) e la Rabbia Aperta (quasi del tutto assente). Per concludere, in alcune Funzioni, (come quelle che riguardano il movimento, le sensazioni, l’allentarsi) si registra una “integrità imprevedibile”, mentre altre (respirazione diaframmatica, allentamento del controllo, gioia) sono risultate bisognose di un aiuto per rimobilizzarsi che alcune Funzioni, riguardanti importanti elementi vitali, presentino una notevole conservazione o una capacità di rimobilizzarsi facilmente, rappresenta  un’insperata potenzialità, le condizioni dei malati di Halzehimer, dunque sarebbero peggiori di quello che il danno neurologico presupporrebbe.  Questo rivelerebbe la possibilità di penetrare profondamente nel funzionamento di questi pazienti e riamplificare sensazioni di contatto, di benessere, di tenerezza, con un notevole miglioramento della loro condizione di vita e di salute. Altro risultato della ricerca è l’avere riscontrato un andamento costante nei risultati delle osservazioni del comportamento spontaneo nelle tre settimane della ricerca, questo confermerebbe l’affidabilità del concetto di Funzione con sviluppi d’importanza fondamentale. Per questo motivo sarebbe interessante ampliare lo studio ad altre Funzioni del Sé, per individuare un possibile “pattern” complessivo ascrivibile al paziente demente, come strumento utile a cogliere le aree più o meno conservate del Sé del soggetto, sulle quali poter lavorare in senso riabilitativo e assistenziale; giacché il deterioramento d’alcune Funzioni (fondamentali per il benessere complessivo della persona) non dipende dal danno neurologico e potrebbe essere notevolmente diminuito con un proficuo e specifico intervento terapeutico.