Luciano Rispoli psicologo: Le prospettive del corpo in psicoterapia.

in XX Congresso degli Psicologi Italiani “Verso un futuro per l’uomo” – Ed. Unicopli, Milano, 1986.

Luciano Rispoli propone un modello di psicoterapia con il tentativo di ritrovare un approccio unitario anche per la dimensione gruppale, (in particolare la formazione, il lavoro di equipe, l’interazione tra vari operatori sociali, l’intervento clinico a breve e media durata) da regolare e ottimizzare a livello del micro del macro-sociale, nelle scuole, nei consultori, negli ospedali, nelle istituzioni sul territorio in genere.


Partendo dall’ipotesi teorica cui è sempre più necessario analizzare tutti i fattori che inferiscono nella relazione terapeutica, e più in generale in qualunque tipo di intervento che presupponga relazioni trasferali, gli autori ne analizzano alcuni concetti chiave, utilizzando materiale emerso in casi clinici individuali e in situazioni gruppali. Tra le risultanze più significative della ricerca emerge la crescente presenza della dimensione corporea all’interno delle vicende psicoterapeutiche, non più come metafora del disturbo psichico “accessorio” puramente simbolico del mentale, ma nemmeno come struttura soltanto fisica, sintomo di per sé separato dal mondo emotivo e dalle dinamiche psicologiche più profonde. Il concetto di corpo che percorre le esperienze riportate è sempre più un’integrazione globale tra vari piani e livelli, e in quanto tale non assunto idealistico, ma realtà presente e operante in tutte le complesse interrelazioni individuo-ambiente. In esso concorrono infatti il piano cosiddetto potutale, la struttura muscolare della persona, i suoi apparati e i suoi meccanismi fisiologici, il piano affettivo-emotivo e infine quello della rappresentazione simbolica e cognitiva. Questa concezione a più dimensioni apre un ulteriore spazio alla ricerca nel campo della psicologia in quanto prospetta di fatto interconnessioni e legami con altre discipline scientifiche, dalla biologia all’antropologia, senza di cui si potrebbe correre il rischio di costruire un sistema di ipotesi solo concettuali, enunciative e filosofiche in senso astratto. Nell’intervento si intende in particolare analizzare alcune istanze fondamentali, quali il sintomo, l’abreazione emotiva, il transfert, il gruppo, l’unità psicosomatica, in maniera sincronica, attraverso le differenze ottiche scientifiche e i vari livelli corporei prima presi in considerazione.

XX CONGRESSO DEGLI PSICOLOGI ITALIANI: VERSO UN FUTURO PER L’UOMO

Introduzione

Parlare del “corpo” non è impresa facile, dal momento che molti sono i riferimenti teorici che lo considerano in maniere estremamente differenti. Qui vogliamo portare in discussione il concetto di corpo come qualcosa di più di una struttura fisica: il corpo come “spazio”, come sistema di più piani interconnessi, come emettitore e ricevitore di messaggi, come strumento di elaborazione del simbolico. Per noi terapeuti reichiani è anche qualcosa di più: esso è sede, a livello di meccanismi periferici e centrali, di atteggiamenti quasi automatici e ripetitivi, strettamente collegati alle vicissitudini del mondo emozionale di ciascuno, ed è il referente concreto nell’unità psiche-soma. Quando si afferma che esiste un conflitto o una scissione tra mente e corpo, ciò vuol dire che quanta unità originaria è stata separata, segmentata. La dissociazione mente-corpo ha delle conseguenze ben precise; non tener presente uno dei due aspetti del conflitto sul piano terapeutico può avere delle implicazioni ben precise. Dal momento che il terapeuta stesso è il principale strumento di lavoro, ad esempio, non tenere conto del polo somatico, non avere coscienza di quello che accade al proprio corpo o al corpo del paziente, può significare trascurare qualcosa di importante, lasciare delle zone oscure. A tal proposito possiamo distinguere schematicamente, ma significativamente, due indirizzi opposti nell’approccio al corpo. In uno, esso è soltanto una metafora della psiche, del disturbo caratteriale, della personalità; il corpo cioè è un’altra maniera di comunicare il sintomo, il quale comunque nella sua essenza è fondamentalmente psichico. Nell’altro approccio, completamente opposto, è il corpo ad essere direttamente malattia, sintomo, sofferenza; esso è cioè una condizione prevalente, ma solo in senso patologico. Nel primo indirizzo la modificazione del corpo è del tutto secondaria rispetto alle modificazioni psichiche; il cambiamento è soprattutto in relazione ad un’ immagine di guarigione o di miglioramento. Nel secondo ciò che interessa è soltanto il cambiamento del corpo; sembra che agendo su di esso sia possibile riportare alla salute e al benessere la persona. Noi crediamo che ci sia un terzo approccio, più globale, che integri i due aspetti. Il corpo è senza dubbio una metafora della comunicazione, ma non solo: è esso stesso profondamente coinvolto nel sintomo psichico. Ma viceversa anche lo psichico è una metafora del corpo. Quando si dice nel linguaggio comune per esempio: “mi si spezza il cuore”, l’immagine corporea non fa altro che dare consistenza all’immagine di un’emozione “mentale” (prevalentemente mentale): il cuore non si spezza davvero per il dispiacere (pur se ha delle modificazioni di funzionamento). In questo caso il corpo è una metafora. Ma pensate a cosa accade quando una persona è costantemente e cronicamente con le spalle alzata e il collo incassato nelle spalle, senza che se ne accorga. Quanto atteggiamento fisico e muscolare produce un’emozione di sottofondo che è continuamente presente nell’umore di questa persona: la paura, la preoccupazione il sentirsi cauti e guardinghi. In questo terzo approccio che possiamo definire “integrato” possiamo affermare che il corpo è senza dubbio una memoria, nelle sue contratture, della storia dell’individuo e della sua evoluzione psichica, altrettanto di come lo è quella mentale, che memorizza a sua volta la storia del corpo attraverso i ricordi. Il piano unificante dei due aspetti potrebbe essere “l’attività simbolica”; non il simbolo riferito solo a livello logico e cognitivo, ma un simbolo nel quale il pensiero secondario, logico-cognitivo, sia strettamente fuso con il pensiero primario, associativo-immaginativo. Nel medesimo tempo il corpo stesso rappresenta perciò il terreno di unificazione tra il cognitivo e l’emotivo. A partire da queste considerazioni vorrei porre ai partecipanti di questo incontro alcuni problemi specifici (non con la presta che siano risolti subito, ma con la consapevolezza di aprire prospettive nuove e nuove strade di ricerca). Da quanto detto finora emerge come sia importante cercare di chiarire ed esplicitare il lavoro con il corpo in tutte le psicoterapie, anche in quelle nelle quali il corpo non è considerato e presente ufficialmente. In che modo il corpo entra nel tranfert e nel controtranfert? Cosa significa tener conto del corpo in psicoterapia, da parte del terapeuta e da parte del paziente? Lavorare solo sullo psichico può lasciar fuori delle parti che invece agiscono comunque nella relazione terapeutica? Una possibile obiezione al lavoro psicoterapeutico anche sul corpo potrebbe essere che accettando l’esistenza di un’unità originaria psicosomatica, sarebbe tanto più giustificata la scelta di intervenire solo sullo “psichico”. Ma è opportuno a questo punto chiarire che qualsiasi intervento psicoterapeutico coinvolge in parte, anche se non volontariamente, il corpo del paziente ed il copro del terapeuta (voce, atteggiamenti, posizioni spaziali, ecc). inoltre, essendo nell’adulto infranta l’unità originaria psicosomatica, ciò che avviene sul livello cosiddetto psichico non trova automaticamente rispondenza sul versante somatico e viceversa. (a riconferma vedi i frequenti fallimenti psicoterapeutici delle terapie verbali in casi con intense sintomatologie corporee). In altre parole se l’unità è scissa, ciascuno dei due livelli ha meccanismi ormai autonomi, unidirezionali, nonostante esista ancora una relazione di interdipendenza ma su strati molto profondi e spesso del tutto inaccessibili attraverso le sole parole. Allo stesso modo in cui è divenuto corrente il termine di malattia psicosomatica, un’ulcera, una colite, una cistite di cui si ritiene che all’origine esisterebbe fondamentalmente un conflitto emotivo, così bisognerebbe sviluppare ed analizzare l’altro versante, il campo del somatopsichico, in cui “malesseri dell’animo” come depressione, collera incontrollabile, manie e idee ossessive dovrebbero avere il loro principale fattore eziologico nel soma( contratture di zone muscolari e atteggiamenti del corpo ormai cronicizzati). In realtà questo discorso paradossale ci può portare a capire che in entrambi i casi (il somatopsichico molto meno riconosciuto dello psicosomatico) l’impostazione unilaterale è parziale e insufficiente a chiarire i complessi meccanismi di interconnessione tra i due ambiti. Tanto per fare un esempio una cefalea no insorge solo per u conflitto legato ai sensi di colpa e a rancori non espressi, ma è attivata da un insieme di alterazioni dell’equilibrio e della funzionalità di numerosi sistemi fisiologici corporei: pressione sanguigna, scambi respiratori insufficienti nella zona colpita, contratture muscolari, modificazione dei processi osmotici e plasmatici, ecc. E’ tutto questo che occorre a formare il sintomo, che è solo la parte manifesta dell’alterazione sulla quale è dunque necessario intervenire in modo “globale” e non limitato. L’interruzione del corpo nelle psicoterapie solleciterà sempre maggiormente un inevitabile confronto con numerose altre discipline scientifiche; e non è probabile che questo porterà grossi cambiamenti nel loro interno. Forse in futuro non si potrà affrontare nessuna malattia senza u apporto diagnostico e terapeutico di tipo psicologico; non posto “accanto” a quello medico e microbiologico, ma in un’interazione che potrà raggiungere tappe e risultati oggi soltanto ipotizzabili, ma non prevedibili nella loro portata scientifica. Indizi che questa è effettivamente la linea di tendenza ormai intrapresa, che le frontiere della conoscenza si spostano in questa direzione, li si possono ricavare, ad esempio, dai sussulti della medicina tradizionale e dai suoi tentativi di rinnovarsi mutuando concezioni e ipotesi dall’”altra medicina”; oppure dal fatto che le scienze biologiche stanno spostando la focalizzazione della ricerca sugli aspetti emotivi che possono concorrere a comprendere e a vincere la battaglia contro le malattie degenerative, quali il cancro, che si innestano appunto su una “degenerazione” dei processi psico-affettivi e del metabolismo respiratorio. In questo senso io credo che sia necessario riportare la psicologia e le altre scienze che studiano i problemi dell’uomo ad una nuova dimensione realmente antropologica, in cui il referente principale non è di volta in volta la mente, la “normalità”, l’organo preso a sé stante di un corpo ormai privo di vita, il sintomo, ma l’uomo nella sua globalità. Se fin da ora ci sforzeremo di applicare questa metodologia, partendo per quel che ci riguarda dallo specifico campo psicoterapeutico e psicologico, cercando di superare le ristrettezze dei linguaggi specialistici della singola disciplina, potremmo sottoporre a una ridefinizione operativa e antropologica alcuni concetti e istanza fondamentali nel campo analitico (tranfert, controtranfert, pulsione, sintomo, abreazione emotiva, ecc) così come lo abbiamo tentato, se pur con bravi accenni, a proposito dell’unità psicosomatica; una ridefinizione che assuma un significato concreto nel porre come oggetto di indagine l’uomo e la sua interazione  con l’ambiente in una visione “unitaria”. E qui si possono intravedere le prospettive future, il compito propulsore che il concetto di corpo potrà assumere nel campo psicoterapeutico; perché è proprio nel corpo che possono essere ritrovati e riconosciuti, in un’unità né artificiale né idealistica, gli assunti e i punti di vista delle singole discipline scientifiche. Solo in un momento successivo sarà importante passare a considerare anche l’elemento “gruppo” nella sua unità psicosomatica, senza così dover ricorrere a generiche forze “meccanicisticamente” di tipo Lewiniano, o “assunti di base” isolati l’uno dall’altro e deterministicamente contrapposti alle istanze del gruppo di lavoro. In realtà il gruppo, e lo confermano le ricerche che abbiamo condotto, è esso un organismo, con una sua unità psicosomatica di base, che è scissa nel momento in cui è scissa quella dei singoli partecipanti, ma che permette pur sempre di “leggere” il gruppo ai vari livelli ricollegabili a quell’unità. Cosicché contrapposizioni esistenti ad esempio fra due persone (o parti) del gruppo, non sono tali se osservate dall’angolazione della struttura caratteriale predominante nell’organismo gruppale in quella fase. E ancora, incongruenze tra comportamento “fisico” e comunicazione verbale risultano motivate se si scende sino allo strato di integrazione psicosomatica immediatamente sottostante. Così come anche all’interno dei singoli ambiti, lo psichico e il somatico, si sciolgono nodi immobilizzati apparentemente incomprensibili. Se ci si riconduce alla visione del gruppo come organismo che opera in un contesto consapevole e uno inconsapevole, con comunicazione diretta ed indiretta, con messaggi di contenuto e di relazione (caratteriali), sia nel versante del mentale che su quello del linguaggio del corpo. Capire quali siano le emozioni più direttamente espresse, quali gli stati d’animo ripetitivi e stereotipati, mettendo però a continuo confronto una lettura di ciò che il gruppo “dice” con le parole, con ciò che “fa” nella mutevolezza delle sue configurazioni spaziali (nel senso più ampio della parola), può voler dire realizzare uno strumento operativo che, consentendo di ricollegare aspetti apparentemente separati, fornisca indicazioni e spiegazioni sulla base delle quali il terapeuta può progettare scientificamente il suo compito. Questo modello, con il tentativo di ritrovare un approccio unitario anche per la dimensione gruppale, appare estremamente utile per i processi (in particolare la formazione, il lavoro di equipe, l’interazione tra vari operatori sociali, l’intervento clinico a breve e media durata) da regolare e ottimizzare a livello del micron del macro-sociale, nelle scuole, nei consultori, negli ospedali, nelle istituzioni sul territorio in genere. D’altronde i risultati che sono già stati ottenuti, attraverso un’ampia casistica, rendono ragione della funzionalità e della potenzialità di questo tipo di approccio, sia sul piano diagnostico che terapeutico; approccio che si è rivelato particolarmente ottimale quando tempo e spazi sono delimitati, anche per le notevoli possibilità di creare rapidi collegamenti e immediate aperture, nell’ambito dell’intervento stesso, con specialisti e operatori di altri indirizzi scientifici.