Luciano Rispoli psicologo: Anche Reich serve ai napoletanisti.

in Paese Sera, 1979.

La ricerca di Adorno  e dei suoi collaboratori, sul pregiudizio e sulla rigidità come aspetti base della personalità, fu condotta a termine nel 1950. A distanza di 30 anni, al di là delle polemiche sui metodi adottati in questa ricerca, i problemi messi a fuoco da Adorno sono più attuali e drammatici che mai.


Il pregiudizio distorce l’informazione, costruisce attacchi basati su false premesse, svaluta esperienze senza nemmeno andare ad analizzarne i contenuti. E quel che è successo di recente, quando si è presi come bersaglio Wilhelm Reich e le immagini stereotipate che una nauseante sottocultura borghese gli ha affibbiato: il profeta del sesso, il mito dell’orgasmo, lo psicanalista pazzo, e così via.

Non è bastato pubblicare in italiano quasi tutte le opere di Reich per avviare uno studio serio e accurato del suo pensiero e delle relative implicazioni. Anche se, a onor del vero, le versioni dei libri in italiano derivano dalle stesure del periodo americano, largamente modificate e rimaneggiate, nel senso di perdere gran parte delle connessioni, così lucidamente analizzate da Reich, tra psicanalisi e politica.

Non è neppure il caso di soffermarsi sul contenuto delle falsificazioni e della grossolanità buttate su Reich. E però molto significativo che riferimenti al pensiero e alle teorie di Reich si ritrovino oggi in numerosi lavori di psicodinamica e psicologia sociale, senza che però sia fatto un richiamo esplicito e corretto alla fonte da cui sono stati presi.

E anche significativo che duri questa specie di “censura” sin da quando negli Stati Uniti vennero bruciati, per ordine del tribunale, come al tempo delle streghe, i libri di Reich. E invece sarebbe importante aprire un dibattito serio, un confronto scientifico sul contributo e sulle critiche che Reich ha portato nel campo delle teorie psicanalitiche, e anche sulle implicazioni sociali e politiche che tanta fortuna ebbero durante il ’68, ma senza un reale approfondimento.

Ma non è certo solo il pregiudizio (per il suo impegno nel partito comunista Reich fu espulso dalla società di Psicanalisi e numerose calunnie furono costruite su di lui) alla base di questo continuo tentativo di svalutare Reich; e lo si capisce quando si pensi ad un recente articolo dell’Espresso sulle esperienze che hanno a Napoli preso spunto da Reich. A parte l’ennesimo atteggiamento negativo nei confronti di Napoli e del Sud, quel che è incredibile è la superficialità, la gratuita ironia, il non entrare neppure nel merito dei contenuti, con cui l’articolo svaluta in quattro e quattr’otto anni di ricerca seria, di lavoro approfondito e di attività svolte dal Centro Studi Reich di Napoli.

Evidentemente quando si tratta di esperienze di base, non istituzionalizzate, non “appoggiate” politicamente dai partiti, i mass-media o non ne parlano proprio, o ne parlano a questi livelli. Di conseguenza quel che viene impedito è il lavorare per l’allargamento delle iniziative, anche ai “non addetti ai lavori”, il tentare di aumentare la partecipazione e la vita democratica, il fare ricerca al di fuori dei templi sacri dell’Università.

Ma c’è di più; sono proprio le esperienze che toccano nodi fondamentali, quali la ricerca di una nuova pedagogia, il ribaltamento del ruolo del tecnico, la formazione delle ideologie, la strutturazione della personalità come elemento di base su cui si fonda l’accettazione passiva e acritica del potere costituito (per citare alcuni temi delle attività del Centro Studi Reich di Napoli), sono proprio queste esperienze concrete non facilmente recuperabili o “consumabili” che devono essere negate, perché hanno forti risonanze politiche ed emotive.

Se non si agirà in modo da porre precise garanzie democratiche, i mass-media continueranno a creare opinione, presentando una cultura fatta di “personaggi” e di “grandi nomi”, ignorando o distorcendo quelle realtà che non abbiano alle spalle la forza dei partiti e dei centri di potere. Sarà così possibile che importanti settimanali, anche cosiddetti progressisti, possano costruire l’immagine dell’abbandono generalizzato dell’impegno sociale, e del “riflusso”nel privato; oppure possano liquidare, definendo semplicemente superata o dannosamente “permissivista”, tutta una cultura e una ricerca scientifica incentrate sui problemi del bambino, e la lotta per i diritti e l’emancipazione dell’infanzia, a livello di istituzioni, di costumi e di mentalità.