Luciano Rispoli psicologo: L’intreccio tra processi formativi e processi terapeutici.

in Formazione e ricerca in Psicologia Clinica e Psicoterapia (op. cit.) – Ed. Bulzoni, Roma, 1987.

Luciano Rispoli, psicologo e psicoterapeuta, affronta l‘intreccio tra i processi formativi e i processi terapeutici come matrice per una rifondazione della psicologia clinica.


 

Nell’ affrontare i problemi formativi  in Psicologia Clinica, mi sembra che si possano rilevare, tra le altre, due importanti tendenze attuali, che vanno a mio parere incoraggiate e sviluppate.

1) Da un lato si sente la necessità di collegare più efficacemente e strettamente prassi operative e modelli teorici; di definire limiti e ambiti alla luce di una nuova consapevolezza scientifica e delle più recenti teorie riguardanti la scienza in generale. In questa chiave può divenire più chiaro all’utenza e alla comunità scientifica il significato di operazioni troppo spesso date per scontate: la ricerca eziologica dei disturbi e delle disfunzioni psichiche; la diagnosi messa in stretta connessione con i dispositivi di cura: l’applicazione in campi al di fuori di quello strettamente psicoterapeutico (prevenzione sulla salute mentale, didattica, psicopedagogia, sviluppo evolutivo, formazione). Appartengono a questa linea di sviluppo i tentativi di ricollegare la psicologia clinica al campo della sperimentabilità scientifica, pur nel rispetto della particolarità di questa disciplina che vede nella relazione il fuoco principale delle sue analisi, e nei fenomeni interni dell’operatore una variabile di estrema importanza nel settore d’indagine. Ciò significa acquisire un metodo e una  mentalità di ricerca, senza cadere nel mito dell’esperimento classico, ma riinvestendo di significato una possibile strumentazione di verifica delle ipotesi teoretiche e delle proposizioni generali che  trascendono l’individualità e l’irripetibilità del singolo caso. Non è la particolare storia terapeutica infatti che può essere riprodotta o ritrovata da altri sperimentatori, ma è certo possibile scandire fasi, momenti, situazioni, come piani e tappe comuni e generali, suscettibili quindi di essere sottoposti a verifica. Ne discende che anche in Psicologia clinica, seppure nel senso di scienza degli individui visti come sistemi aperti, della relazione interpretata quale campo transferale complesso e a più dimensioni, bisogna scegliere quei principi e quelle proposizioni, che risultino «falsificabili» in senso Popperiano, o comunque in grado di far discriminare tra ipotesi significative e ipotesi ininfluenti nel modello teorico in esame. Ma sperimentabilità può acquisire dimensioni più ampie; deve voler dire rispettare anche altre importanti condizioni di validità del modello.

  1. a) Bisogna porre a verifica le proposizioni scientifiche in modo tale che esse risultino sempre coerenti e congruenti con tutte le altre formulazioni del sistema teorico di riferimento. Anzi, è necessario guardare alla coerenza complessiva del modello stesso, laddove incongruenze e contraddizioni o trovano riappacificazione in quadri teorici più ampi e generali o rappresentano uno stimolo, efficace se accettato, per la ristrutturazione dell’intera costruzione teorica.
  2. b) È opportuno prendere in considerazione anche i dati sperimentali e i risultati delle ricerche che via via provengono sia dalla Psicologia generale ed applicata, sia da discipline contigue che studiano l’uomo e i suoi processi funzionali. Non è più pensabile che si trascurino nuove continue conoscenze ed approfondimenti che le metodologie avanzate oggi ci permettono
    Ad esempio la recente massa di dati relativi alla primissima infanzia ci ha permesso di capire molto di più sulle soglie percettive, sulle capacità e sul comportamento dei neonati. Ciò è di estrema importanza perché un modello teorico in psicologia clinica deve poter comprendere e interpretare i processi che portano alla formazione della personalità, delle caratterialità individuali, dei disturbi e delle disfunzioni. Un modello clinico deve quindi contenere al suo interno una teoresi sullo sviluppo evolutivo.

2) La definizione epistemica dei modelli clinici comporta necessariamente la individuazione delle specificità teoretiche non intese tanto come ambiti di applicazione diversi e separati nei diversi approcci terapeutici, quanto piuttosto come confini mobili e ampi, confini permeabili ad un’osmosi di conoscenze che costituiscano comunque una dimensione unitaria, un continuum scientifico. Il dibattito recentemente in atto sui problemi della «formazione » e della « professionalità » degli psicologi clinici ha finito per mettere in evidenza l’assurdità di uno stato frammentario e caotico della disciplina. Probabilmente la condizione, storicamente determinata, di una presenza totalizzante del modello psicoanalitico, recentemente non più in grado di assimilare ed immettere al suo interno le nuove molteplici spinte in campo psicoterapico, ha giocato un ruolo fondamentale nella chiusura e separatezza degli approcci che andavano via via prendendo consistenza. La necessità di acquisire una fondatezza metodologica e una corposità teorica spingeva poi le varie « scuole » ad esasperare le differenze più che ad occuparsi di una rifondazione dell’intero corpus clinico. Da un lato premeva il bisogno di chiudere la tecnica al proprio interno e ricorrere piuttosto alle ideologie per rafforzarsi rispetto ad una presenza « schiacciante » sia del dispositivo di cura psicoanalitico (più che dalla metapsicologia freudiana) sia dell’immagine che a livello di massa tendeva ad assimilare ogni tecnica della sola psicoanalisi. Dall’altro la stessa struttura psicoanalitica sembrava a sua volta ritirarsi e distanziarsi maggiormente rispetto a pratiche e tecniche operative molto spesso esageratamente empiriche, se non a volte totalmente « inventate » e arraffazzonate. Si ripeteva così l’ennesimo ciclo di una istituzione che si dibatteva tra ortodossia e innovazioni, tra ripetitività e creatività, tra energia istituente e strutture istituite. Oggi, toccato il culmine di questa tendenza « separazionista », si intravede l’esigenza sempre più diffusa di un riassetto della disciplina, di una ricerca « unitaria » nelle sue differenziazioni, capace di utilizzare, al di là di sterili eclettismi, contributi di varie e differenti tendenze. Ritrovare confini chiari e scientificamente validi significa infatti abbandonare una modalità confusiva e totalizzante che vuole vedere ogni indirizzo teorico senza limiti e specificità, come se ciascuno fosse l’intero universo psicologico-clinico in contrapposizione completa con gli altri modelli. Ma i confini rappresentano altresì punti di passaggio e di contatto da un campo teoretico all’altro; cioè il primo passo nella individuazione e costruzione di un senso comune, di un’area complessiva di. ricerca e di intervento, di una specifica modalità attraverso cui studiare i processi di funzionamento dell’uomo nelle strutture di relazione. A questo punto il passo successivo può e deve essere stimolato, più che dalla distinzione dei differenti dispositivi di cura, dalla necessità di definire aree, metodi e processi formativi. L’esigenza stessa di una forma-zione permanente, non conchiusa in una singola modalità ed evenienza temporale, rompe con la vecchia concezione dell’« applicazione » di un sapere accumulato una volta per tutte. La complessità e l’intrecciarsi del sapere col sapere fare e il saper essere, indicano come un « adeguamento» sia reso necessario dall’accelerazione scientifica, dall’accumularsi in tempi brevi di nuove ipotesi, di nuovi dati, di ulteriori stimolazioni ad ampliare e ridisegnare il campo conoscitivo. La pluralità delle ricerche in Psicologia Clinica (tralasciando le tante ipotesi e tecniche che non arrivano mai né a verifica sperimentale né a una formulazione teoretica) è una ricchezza inestimabile, se non continua a scivolare verso una forma di radicalizzazione che può solo alimentare l’illusione di « tante psicologie cliniche ». È pertanto necessario uno studio trasversale e comparato, rivolto soprattutto alle matrici teoriche di base (che possono configurare il primo nucleo del corpus generale di questa disciplina) e alle radici che affondano in altre aree scientifiche (come la biologia, la fisiologia, l’antropologia, l’etologia, ecc.) Dall’intreccio Modello clinico Formazione credo che possano essere messe in moto entrambe le tendenze di cui parlavo prima. Un Modello generale della formazione in psicoterapia potrebbe infatti essere il seguente:

Le proposizioni generali della Psicologia Clinica, come si può notare dallo schema, non derivano solo dalla Psicologia di base e dalle altre discipline, ma anche da una pratica e una teoria formative che agiscono da filtro e che fanno depositare, isolandoli, gli elementi fondamentali della teoria di riferimento. La formazione è infatti pensare alla formazione, rielaborarla ed organizzarla, interpretando un modello clinico in chiave di trasmissione di capacità, di conoscenze e di modalità di essere anche nel profondo. La formazione è la vera chiave di lettura di un modello teorico, poiché è un pensiero che si organizza ed organizza. E questo è ancor più vero in Psicologia Clinica poiché la prassi terapeutica è profondamente intersoggettiva così come i processi formativi. Per fare degli esempi, prendiamo tre aspetti che sembrano attraversare in modo abbastanza costante i vari modelli terapeutici, soprattutto con il riassestamento che sta avvenendo negli ultimi tempi, anche per effetto di una sistematizzazione della formazione che illumina e staglia, in modo da rendere più chiare le problematicità, i nodi fondamentali dell’intervento psicoterapeutico. Prendiamo in esame quelli che, seppur emersi dalla nostra pratica formativa, sembrano partecipare e investire, anche con diverse sfumature, gran parte dei modelli terapeutici.

1) L’uso dei Sé come strumento fondamentale per la rilevazione e la comprensione. L’attenzione della clinica al mondo interno dell’operatore, alle modalità attraverso cui «legge» gli eventi della scena terapeutica, non va confusa con la vecchia tecnica wundtiana dell’introspezione. Epistemicamente non si può parlare di soggettivismo poiché esiste, anche nella consapevolezza, l’oggetto della ricerca e dell’intervento. Piuttosto si tratta di una ricostruzione di un oggetto non sempre visibile e presente a tutti i livelli della coscienza, attraverso un uso accorto e mirato della soggettività. Nei nuovi inquadramenti teorici della Vegetoterapia carattero-analitica parliamo di un modulo di pensiero in cui l’oggetto è collocato in più di un piano della nostra capacità di percepirlo e di recepirlo. In termini più tecnici ci riferiamo all’uso del Sé corporeo, cioè dei vari piani e processi funzionali in cui si articola la complessa interazione con la realtà esterna, senza escludere dunque ciò che riguarda modificazioni muscolari, viscerali, di motilità, di temperatura, ecc., rilevabili sia soggettivamente che oggettivamente nell’osservatore.

 2) L’oggetto principale della ricerca clinica va poi posto in seno all’interazione tra operatore e paziente, mettendo in pieno rilievo le complesse modificazioni introdotte dal primo nel campo osservativo e operativo. La relazione è variamente analizzata dai differenti indirizzi teorici, ma si va sempre più. ponendo come uno strutturarsi multiplo e articolato di interazioni che non seguono le leggi della linearità e della semplice causazione. Emerge via via più forte il concetto di sistema in cui le parti sono connesse all’intera struttura attraverso miriadi di feedback contemporanei di aggiustamento e modificazione. L’interessante è che parti dell’oggetto « esterno » dell’altro, possono essere considerate in realtà strettamente connesse, anzi addirittura interne al Sé, attraverso funzioni che possono assumere varie denominazioni in scuole diverse, ma che esprimono un medesimo concetto di fondo. Il modello, da noi recentemente elaborato, del Sé corporeo, propone una visione « dall’alto » dei vari livelli attraverso cui si innescano interazioni tra osservatore e oggetto osservato, tra operatore e paziente. Il modello di funzionamento potrebbe essere assimilato non più a schemi tipo S-R oppure S-O-R, ma ad una circolarità esprimibile con il simbolo S-O-O-R, dove una O sta per organismo e l’altra per organizzazione. Intendiamo cioè mettere in rilievo che esiste un’organizzazione della percezione, un’organizzazione della mobilità muscolare, un’organizzazione delle difese caratteriali e così via, che danno una spiegazione di come l’organismo si mette in relazione ed elabora una realtà interna ed una esterna. Si può parlare di una costellazione di organizzazioni, di esiti di relazioni passate, di vissuti emotivi, di tratti caratteriali, che si depositano e si strutturano, tra l’altro, nella memoria corporea, negli atteggiamenti ripetitivi, nei pensieri coattivi e che condizionano in modo determinante la relazione.

3) Non tutti gli approcci considerano in modo identico il fenomeno del transfert. Eppure tutti in qualche misura accettano questa formidabile intuizione ed elaborazione freudiana all’interno del loro sistema metapsicologico. Il punto in questione è che nella relazione, come l’abbiamo analizzata prima, non è possibile parlare dei soli vissuti attuali, per il semplice fatto che entrano in gioco un’organizzazione dell’organismo, una configurazione del Sé corporeo che non sono determinate unicamente dalla situazione momentanea. Se noi scartiamo una interpretazione « passatistica » del transfert possiamo accogliere in pieno, come uno degli elementi di base del corpus in fondazione della Psicologia Clinica, il concetto di una condensazione  degli esiti di relazioni trascorse, presente in modo determinante in ogni relazione attuale. Non è tanto dunque la microscopia del passato al centro della questione, quanto la scoperta e l’utilizzo delle tracce presenti oggi, cioè sottoposte ai cambiamenti e alle evoluzioni che esse stesse hanno subito con il passare del tempo e degli eventi. Questa condensazione è più forte ed evidente laddove si innestino aspettative di cambiamento e cioè proprio nelle relazioni di « tipo terapeutico »; ma è purtuttavia chiaramente rilevabile anche in altri importanti e meno clinici rapporti, come quelli di tipo amoroso o amicale. I problemi che si pongono consistono nella messa a punto di strumenti e metodi efficaci per poter leggere ed analizzare su più livelli questa condensazione, per poter rilevare in che aspetti e con quanta forza essa è presente e caratterizza la relazione. Un concetto che si sta facendo sempre più strada è che questo particolare vissuto non sia in realtà una struttura presente solo nella forma e nella modalità dei pensiero. Da anni noi infatti stiamo lavorando per una comprensione dei differenti canali attraverso cui è possibile risalire ai molteplici processi di condensazione transferale che caratterizzano il paziente, il gruppo e, in senso più generale, le istituzioni stesse. Dal momento che analoghi fenomeni di « condensazione » sollecitano, all’interno della relazione clinica, e attraversano intensamente anche il terapeuta, questi due fenomeni sono stati considerati, nella storia della psicologia e della psicoanalisi in particolare, sempre più in stretta connessione, fino a trasformarsi da ostacolo che bisogna superare nel trattamento, ad uno dei più efficaci e potenti strumenti attraverso cui accedere alle aree caratterizzate dalle parti inespresse, negate ed inesplorate del disagio psichico e comportamentale. La Vegetoterapia carattero-analitica accoglie le più recenti formulazioni di campo transferale (cioè su una concezione complessa di interazione tra transfert e controtransfert), ponendo però in particolare l’accento sugli strumenti di rilevazione di esso. Le modificazioni somatiche, vegetative, fisiologiche vanno ad aggiungersi alle «libere associazioni di pensiero » per la lettura e l’apertura di questo fenomeno multidimensionale ricollegato sia al paziente che al terapeuta. Ad esempio ciò che è diventato consapevole nel terapeuta, cioè una ritrovata integrazione e modalità di collegamento tra vari piani funzionali, può divenire una traccia significativa per percepire e sentire quanto sta acuendo nell’altro (in tal senso al contempo parte di me e separato da me). Ma ciò che il modello del Sé corporeo mette soprattutto in evidenza è la necessità di rilevare se un vissuto è presente in modo completo in tutti i piani di elaborazione ed espressione dell’organismo umano. Sono infatti le separazioni tra funzioni o all’interno della stessa funzione a privare di significato movimenti interni ed esterni, a fissare reazioni stereotipate, a diminuire la mobilità di comportamento o di pensiero. Anche nel campo transferale, sia pur ampliato alla sfera corporea, i nuovi fondamenti della Vegetoterapia carattero-analitica sono tesi a cogliere le incongruenze che possono esplodere tra vissuti ed elementi transferali e quelli controtransferali. Il senso di tali sconnessioni è l’interruzione di continuità dell’esistenza delle persone, è la presenza di ambiguità e contraddizioni tra vari piani funzionali, è l’effetto di conflitti dinamicamente operati.

Parleremo perciò di un processo terapeutico che vada pazientemente a riconnettere lacerazioni, strappi, fratture verso una «condivisione » percepita ed espressa che ricostituisca una integrazione all’interno del sistema individuale e in quello più ampio costituito da paziente e terapeuta.

4) Allo stesso modo potrebbero essere affrontati numerosi altri punti nodali e significativi per la Psicologia Clinica, in un’analoga analisi comparata tra differenti modelli teoretici. Ad esempio l’esistenza di differenti stati di coscienza, porterebbero ad escludere la possibilità di intervento solo sul « consapevole », per quanto variamente interpretato, e ad una ricerca teorica di differenti livelli (che in Vegetoterapia potrebbero essere spiegati tramite la quantità e la qualità delle connessioni tra i differenti processi del Sé corporeo). Lo stesso nostro modello, che ipotizza una integrazione originaria tra funzioni, sistemi e apparati nell’essere umano, (Semplificando: Piano posturale, muscolatura, posizioni, struttura corporea. Piano fisiologico, apparati e sistemi interni. Piano emozionale, gamme e sfumature dei processi affettivi. Piano ideativo-simbolico, strutture di pensiero, rappresentazioni del Sé, simbolizzazioni) può aprire interessanti prospettive, di comprensione e di confronto, anche su altri aspetti fondamentali del campo clinico, come lo studio delle emozioni, dell’eziologia di numerose patologie, mettendo comunque in crisi una superata concezione dualistica che parte dall’assunto troppo semplicistico di una dicotomia corpo—mente, laddove queste due categorie mostrano invece la necessità di accurate e complesse riformulazioni, come base indispensabile e ricca di prospettive per l’elaborazione e la rifondazione della Psicologia Clinica.