Luciano Rispoli Psicoterapeuta: Quei fragili teen ager.

in “Nuova Stagione” n. 5, 8 febbraio 1998.

Luciano Rispoli, Psicoterapeuta Funzionale e Paola Bovo, Psichiatra, Psicoterapeuta Funzionale , nel seguente articolo trattano la delicata fase di vita dell’adolescenza, con tutto ciò che concerne l’organizzazione del Sè secondo la prospettiva della psicologia Funzionale.


ADOLESCENTI: COMPRENDERLI PER AIUTARLI

Oggi l’adolescenza è posta giustamente al centro dell’attenzione generale: sia perché costituisce un lungo periodo di vita (tra preadolescenza, adolescenza e adolescenza protratta si va dai 10 sino a circa 20-23 anni) sia perché è indubbiamente un momento delicato e importante nella formazione della personalità (con i noti pericoli di strutturazione di violenza e di devianza sociale).

Va detto preliminarmente che esiste una continuità di fondo tra le varie fasi di vita e che l’adolescente non è un “non adulto”, qualcosa “in attesa di diventare” o di “maturare”: il processo di maturazione è in realtà un processo di espansione del Sé che non si arresta mai, che dura tutta la vita. La verità è che in questa fase dell’esistenza avvengono innegabili cambiamenti, trasformazioni oggettivamente rilevabili, che non si traducono, però, né si identificano con delle patologie; sono piuttosto condizioni caratteristiche di questa fase di vita, che hanno bisogno fondamentalmente della comprensione da parte degli adulti che li circondano. Ed è necessario altresì che il modo di essere e di comportarsi quotidiano nei loro confronti da parte di genitori, insegnanti, educatori, allenatori sportivi, preti, e in definitiva tutti quelli che vengono in contatto con loro, abbia la stessa continuità di fondo.

Se proviamo ad esaminare l’organizzazione del Sé in adolescenza secondo la prospettiva della psicologia funzionale, possiamo comprendere cosa accade ad un adolescente e alla sua relazione con il mondo esterno.

Sul piano delle funzioni corporee dei movimenti e delle posture abbiamo un corpo in rapida crescita, con crescita altrettanto intensa della forza fisica, cosa che stravolge completamente le percezioni e i rapporti con gli adulti: i genitori si trovano improvvisamente davanti un adulto, stentano a riconoscere il loro “piccolino” o la loro “piccolina” di prima, spesso sono intimoriti dalla sua forza e grandezza o sono imbarazzati rispetto al contatto fisico.

La voce è in notevole cambiamento, insieme all’esplosione ormonale e alla sessualità. Il sistema dei valori e dei simboli, specie per quanto riguarda se stessi, il proprio ruolo sessuale, la propria identità, fa fatica a tener dietro ai cambiamenti e ad essere stabilmente positivo. Da qui i dubbi terribili su se stessi e sulle proprie capacità.

Molto spazio viene preso dai rapidi e travolgenti innamoramenti, che sono necessari per poter far uscire l’affettività e la sensualità fuori dei confini familiari, e permettere di superare anni di abitudine a note sensazioni che hanno accompagnato la vita da bambino. Altrettanto spazio viene assorbito da un sentimento forte di autonomia che spesso si traduce in un’oppositività a tutti i costi, in una ribellione sempre pronta a scattare, in una rudezza che tende a dissimulare fragilità e bisogno di aiuto.

La paura di dover affrontare il mondo viene tenuta più interna, non apertamente riconosciuta, per paura di ricadere in una fragilità che l’adolescente non vorrebbe più avere, per un orgoglio che lo spinge a cavarsela da solo. La paura prende alla fine la forma distorta e ben peggiore del senso di inadeguatezza, di una drammaticità per le cose che non vanno bene e per le proprie incapacità, che possono arrivare a sfociare in gesti estremi altamente distruttivi, sia nei confronti degli altri che nei propri confronti (droghe, suicidi, atti di violenza).

In realtà l’adolescente ha dentro di sé una grande tenerezza e un grande bisogno di tenerezza, un bisogno di sentirsi ancora sostenuto, di potersi sentire ancora ogni tanto “piccolino”, di contatto anche fisico, di potersi adagiare e far sorreggere: certo con tempi e modi differenti da quand’era bambino, e soprattutto con grande discrezione, perché non deve essere troppo evidente e non lo si deve far sapere a nessuno. Ma più gli adolescenti hanno paura di abbandonarsi a questi bisogni, più gli adulti (e specie i genitori) hanno difficoltà a superare la distanza che si crea con loro, per timore o per imbarazzo (specie verso il figlio di sesso opposto), e di conseguenza più aumenta nei figli il senso di incomprensione, il senso di inadeguatezza, l’indurirsi senza poter ritrovare quel contatto, quella tenerezza, quell’appoggio necessari a non creare rotture troppo brusche nell’andamento tra la fase precedente e l’attuale.

Né è più utile la reazione di quei genitori che, esattamente all’opposto, negano il fatto che i figli siano cresciuti e si ostinano a trattarli come se fossero piccoli, suscitando inevitabili reazioni di intolleranza e di rifiuto.

Contemporaneamente il bombardamento che arriva dalla civiltà dell’immagine impone implacabilmente modelli di successo, di potenza, di false disinvolture, con esibizione di ragazzini già esperti nel risolvere pericoli planetari o abilissimi nell’arte di amare o di avere successo. Il senso di inadeguatezza rispetto a tali modelli, la brutta sensazione della propria pochezza a confronto, si insinuano pericolosamente, insieme all’illusione che il mondo funziona in modo sempre meno aderente alla realtà. Bisogna fare ciò che le scene dei film hanno insegnato, e farlo subito e bene.

D’altra parte tutto ciò spinge a procurarsi il più presto possibile gli oggetti status symbol, altrimenti non si è nessuno; spinge ad “arraffare”, ad una aggressività e a una violenza diffuse; una violenza che viene appresa dai mass-media, che diviene esempio da seguire, da realizzare, completamente irreale, staccata dal dolore delle sue conseguenze reali. Si può allora con grande leggerezza “giocare” a lanciare pietre sulle macchine in corsa da un ponte sull’autostrada: la morte è solo un’immagine sullo schermo, priva di sensazioni reali, priva del dolore acuto che l’accompagna.

Se queste sono le principali caratteristiche di funzionamento di una delle fasi più importanti della vita, se negli adolescenti si creano delle disarmonie, non patologiche ma comunque fonti di difficoltà, il sociale dovrebbe anzitutto saperne comprendere bene i cambiamenti in atto, in tutti i luoghi ove essi vivono (famiglia, scuola, tempo libero); e inoltre saper assorbire questi cambiamenti in modo da controbilanciare e ammorbidire le disarmonie momentanee, favorendo la reintegrazione del Sé il più rapidamente e serenamente possibile.

Non solo nell’infanzia ma anche nell’adolescenza vanno preservate quelle che in psicologia funzionale definiamo le esperienze basilari del Sé, le basi profonde della nostra esistenza, che devono essere “positive”: esperienze quali poter essere contenuti e protetti, lasciarsi andare, essere amati, essere visti, il contatto, la curiosità, il movimento, tanto per fare alcuni degli esempi più significativi.

La visione funzionale ci può permettere di guardare con grande precisione ai bisogni “sani” dell’adolescenza e al loro evolversi, e al modo di evitare di aggravare situazioni in movimento che hanno bisogno di accoglimento, attenzione, riarmonizzazione, affetto, amore.

Paola Bovo, psichiatra, psicoterapeuta funzionale corporeo;

Luciano Rispoli, psicoterapeuta funzionale corporeo.