Psicoterapia: Lo sviluppo dell’area del Funzionalismo.

Luciano Rispoli, psicologo e psicoterapeuta, scrive sulle origini del Funzionalismo, approfondendone le radici e l’evoluzione.


I primi Funzionalismi

Un primo Funzionalismo lo si ritrova nella corrente di studi e di pensiero che ebbe radici nell’evoluzionismo, e si sviluppò soprattutto nella Scuola di Chicago (Dewey 1896, Angell 1907, ma anche James, Hall, Cattel, Carr).

Per essi, obiettivo della psicologia è lo studio dell’organismo nel suo complesso, nel suo funzionamento in rapporto con l’ambiente. L’uomo viene visto come prodotto dell’azione e dell’emozione non meno che del pensiero e della ragione. Anche l’attività interiore non può essere considerata indipendente da fattori fisiologici, da esigenze e bisogni nel senso più ampio del termine. L’attività mentale è parte di un più vasto complesso di forze biologiche e contribuisce al procedere dell’insieme complessivo di tutte le attività organiche. La teoria di James-Lange (1892) considera gli elementi corporei dell’emozione quasi come la fonte primaria del sentire umano. Con Carr (1925) la scuola Funzionalista raggiunge il suo massimo sviluppo, insieme all’idea che si debba approdare a un pensiero più complessivo e globale, superando le teorie psicologiche e cliniche del tempo, che a suo parere riguardavano settori comunque circoscritti del funzionamento umano.

Il Funzionalismo perse forza con il declino della scuola di Chicago. Il suo epigono più promettente, Watson (1924), la lasciò estinguere per dedicarsi allo studio di elementi meccanicisticamente concreti e condizionabili: i comportamenti, in risposta alle esigenze pragmatistiche economiche e militari del tempo.

Un’altra radice del Funzionalismo risale agli anni ’20, quando le prime formulazioni di Wilhelm Reich sul concetto-cardine di identità Funzionale tra psiche e soma sostenevano che la persona non è mente e corpo separatamente, ma una unità in cui non possiamo più separare il fisico dallo psichico. Se non si interviene anche sul corpo non si può veramente portare a pieno compimento un intervento terapeutico.

Naturalmente quelle prime formulazioni sul rapporto mente-corpo erano limitate dalle conoscenze e dalla epistemologia dell’epoca. Altre tracce pregresse di Funzionalismo le si possono ritrovare in alcune singole formulazioni di ricercatori e terapeuti che si sono affacciati sul rapporto corpo-mente e sui funzionamenti (spesso non in accordo con il resto delle loro teorizzazioni): Winnicott con lo psiche-soma, Balint con l’amore primario, Stern con gli involucri d’esperienza, …………., Bowlby con la funzione di attaccamento, che per primo si accostò all’idea di un “funzionamento di fondo”. Le ritroviamo anche in alcune modalità di agire terapeuticamente sul corpo, come certe pratiche di massaggio o di movimento, soprattutto orientali. Ma naturalmente tutti questi erano solo intuizioni e frammenti, non organicamente riuniti in formulazioni ampie, piene, complete.

La Psicoterapia Corporea

La Psicoterapia Corporea nasce fondamentalmente dall’importante scoperta di Wilhelm Reich sull’identità corpo-mente, oltre che da altre pratiche esistenti basate sul movimento e sulla danza.

Quando si è cominciato ad operare anche sul corpo è risultato chiaro che emergevano fenomeni intensi, sensazioni molto antiche, emozioni sepolte, ricordi dell’infanzia dimenticati. Riaffioravano espressioni del viso, toni di voce, gesti, parole propri di un bambino piccolo. Tutto questo provava l’esistenza di una memoria corporea che conserva al suo interno tracce del passato ancora attive. Da qui si è reso evidente che non ci si poteva limitare a un intervento solo verbale, ma era necessario operare direttamente anche sul corpo dei pazienti. Era necessario che un’ottica olistica (non generica, utopistica, vaga) si sostituisse a un’ottica dualistica o frammentaria. Ma per operare in tal modo, era necessaria un’Area teorica completamente nuova che si differenziasse nettamente dalle teorie precedenti. Una teoria che innanzitutto desse una nuova spiegazione allo sviluppo dell’essere umano (nascita e infanzia) e all’alterarsi dei suoi funzionamenti (sintomi e patologie); che rendesse chiaro ciò che accadeva veramente in terapia; e che infine potesse guidare l’intervento terapeutico in modo preciso e profondo. La Psicoterapia Corporea, in realtà non è mai giunta a questa nuova Area teorica, frammentata com’è in tante scuole, molto spesso inspirate a dei principi soltanto generali e legate troppo all’uso di determinate tecniche. In fondo la Psicoterapia Corporea si è distinta quasi esclusivamente sul fatto che si intervenisse direttamente sul corpo del paziente: cosa che oggi è accettata anche dalle altre Aree teoriche. Tanto è vero che al suo interno ci sono correnti psicoanalitiche, junghiane, sistemiche, gestaltiche, cognitiviste.

Le due aree teoriche predominanti

Se guardiamo all’intero panorama dello sviluppo della psicologia clinica, al di là di differenziazioni meno importanti e secondarie, potremo notare la presenza di due grandi Aree teoriche, di cui la prima ha avuto la culla in Europa e la seconda in America.

L’Area psicoanalitica (psicoanalisi, gestalt, terapia centrata sul cliente), figlia dell’idealismo, si reggeva su presupposti ben diversi dall’integrazione mente-corpo: sul primato dell’elaborazione mentale e del rendere cosciente il rimosso, sull’esistenza di pulsioni magmatiche anche distruttive e sull’inconscio, sulla non integrazione del bambino piccolo, sulla sua condizione di isolamento e di simbiosi, sul pericolo dell’acting out nel contatto tra paziente e terapeuta.

L’Area del comportamentismo-cognitivismo (comportamentismo, cognitivismo, scuole sistemiche), figlia del pragmatismo, si basava all’opposto sullo studio dell’informatica, sulla comunicazione, sui circuiti a feedback; sulla possibilità di condizionamento diretto dei comportamenti visibili e di modifica di strategie fondamentalmente cognitive. E per quanto cercasse il supporto delle scoperte scientifiche e in particolare delle neuroscienze, restava comunque all’interno di una concezione prevalentemente “mentale”.

Le scoperte sulla vita del bambino

In questi anni, nel frattempo, si sono moltiplicate le nuove scoperte sulla vita del bambino piccolo, sia prima che dopo la nascita. Risulta sempre più chiaro che il bambino non è un essere non ancora integrato, non è in balia a pulsioni magmatiche e caotiche, non vive in simbiosi o all’interno del mondo mentale della madre, non ha funzionamenti primari sostanzialmente diversi da quelli successivi. E’ invece una persona completa e autonoma sin dall’inizio, capace di contatto pieno con la realtà e di relazioni intense e differenti con più figure adulte, con sentimenti e gusti propri, con capacità molto evolute esistenti sin dalla nascita. Le teorie terapeutiche non possono assolutamente ignorare le nuove scoperte: e sempre più, allora, si sente l’esigenza di profonde trasformazioni nella psicologia clinica, e della presenza di una nuova grande Area teorica.

Le neuroscienze

Anche le neuroscienze, nel loro intenso sviluppo, pongono nuove basi scientifiche che non possono essere ignorate nelle teorie terapeutiche. Vediamone qui alcune.

 – L’intreccio tra pensiero razionale ed emotività;

l’intelligenza è aiutata da emozioni positive e ostacolata da una permanenza di emozioni negative. Non possiamo più affermare che l’intelligenza si sviluppa in presenza di frustrazioni; al contrario, una buona intelligenza ha bisogno di un ambiente accogliente capace di soddisfare i bisogni profondi del bambino.

L’importanza del mondo sensoriale nella costruzione di significati;

non è il “mondo cognitivo e simbolico” che produce e regola le nostre sensazioni. Il mondo cognitivo cresce grazie alla presenza delle sensazioni in cui siamo immersi, che ci guidano e ci danno la base per orientarci nel nostro cammino. E le Sensazioni non sono “mentali”.

 – La presenza di movimenti e posture (ma anche di precise attivazioni fisiologiche) nell’insorgere delle emozioni;

gli avvenimenti passati possono aver modificato il funzionamento di movimenti e posture, nonché di sistemi fisiologici interni, lasciando delle tracce permanenti che sono come una memoria periferica e non centrale. Queste tracce si attivano quando noi agiamo, mettendo in movimento l’intero Sé e le sue memorie (centrale e periferica insieme) e ci trasmettono sensazioni, percezioni ed emozioni alterate e non collegate alla realtà del momento.

Lo studio del processo terapeutico

Un altro elemento molto importante per trasformazioni profonde della psicologia clinica è lo studio e le ricerche sul processo terapeutico, su come avviene e sui fattori di cambiamento. Quello che interessa è ciò che avviene realmente in terapia, quello che il terapeuta realmente fa accadere: non gli obiettivi generali (livello superiore) né le tecniche. E’ questo il livello su cui dobbiamo far progredire le conoscenze per rendere sempre più efficace il processo terapeutico. Le tecniche saranno allora scelte e riorganizzate per essere più adatte a questo livello, quello dove accade il cambiamento.

Oggi sappiamo che non è sufficiente parlare di fattore topico (rendere conscio il rimosso), o di fattore dinamico (l’insight). Né è sufficiente ed esaustivo legare il cambiamento alla interpretazione del transfert, alla scarica delle emozioni trattenute, alla consapevolezza del qui e ora, al condizionamento, al cambiamento delle strategie cognitive e dei ruoli, al modificare i copioni di vita, al muovere il corpo del paziente. Il cambiamento avviene con tutti questi fattori insieme, e cioè, per comprendere meglio, quando sostanzialmente si modifica un qualcosa che si può definire funzionamento di fondo, che non è né corporeo né mentale ma un tutt’uno inscindibile, che non è il comportamento ma che ne sta alla radice; un qualcosa di ben individuabile in tutte le persone al di là dei specifici contesti.

La nascita del Funzionalismo moderno

Per parlare di una nuova Area teorica si dovevano tenere presente tutte le esigenze nate dalle nuove ricerche sull’infanzia, dallo sviluppo delle neuroscienze, dall’idea di superare la dicotomia mente-corpo, dalla necessità di affrontare il paradigma della complessità. E in particolare bisognava superare concezioni quali: il corpo come verità, le tipologie (sempre riduttive), le teorie delle parti e dei conflitti, il primato dell’elaborazione mentale e della consapevolezza, il corpo visto in chiave simbolica, la corrispondenza meccanica tra alcune parti del corpo e determinate emozioni, l’esistenza di pulsioni distruttive, le resistenze. E nella tecnica terapeutica bisognava andare oltre le classiche metodologie: di scarica delle emozioni, di analizzare transfert e relazione, di rendere consapevoli, di modificare strategie, di condizionare e desensibilizzare, di far muovere il corpo e seguire ciò che vien fuori. Bisognava superare il generico e vago, staccarsi da ciò che non era comprovato dalla ricerca scientifica, andare oltre il solo mentale, raggiungere la concretezza di una reale multidimensionalità, arrivare ai funzionamenti di fondo, alle basi, e non fermarsi ai fenomeni più esterni.

Il Funzionalismo moderno ha realizzato un vero e proprio cambiamento di livello, un salto concettuale ed epistemologico, perché ha preso in considerazione non tanto le parti di un essere umano, né le categorie mente-corpo (concetti troppo vaghi e generici), ma qualcosa che potesse rappresentare al contempo il tutto e i dettagli (secondo quanto sostiene Morin nella teoria della complessità), e che cogliesse veramente ciò che è alla radice della vita umana: cioè le Funzioni che costituiscono la persona intera (il Sé) e i suoi funzionamenti di fondo (in particolare le Esperienze di Base, i mattoni con cui si costruisce la vita soggettiva e intersoggettiva degli esseri umani).

Il “Sé”, la globalità della persona, può essere visto come organizzazione di tutte le Funzioni della vita: i ricordi, il simbolico, le fantasie, le immagini, la progettualità, il tempo, la razionalità; ma anche le emozioni; ed anche i movimenti, le posture, la forma del corpo; nonché le sensazioni, la tensione muscolare, il sistema respiratorio; e ancora il sistema neurologico, il sistema neurovegetativo, il sistema immunitario. In questo quadro, quindi, non si può più affermare che Funzioni cognitive siano più importanti e in grado di influire su tutte le altre come in una configurazione a piramide; ma fanno parte, alla pari di tutte le altre, di un sistema complesso, in una configurazione che è piuttosto di tipo circolare.

Le Funzioni non sono parti, “pezzi” dell’organismo; con esse non si corre il rischio di parcellizzare l’unitarietà della persona. E’ l’intero Sé che si esprime ogni volta in ogni Funzione; ed è nelle varie Esperienze di Base che il Sé si articola e si modula nel suo relazionarsi con l’ambiente, nelle sue forme di vita.

Le Esperienze di Base, formate dalle Funzioni, sono quelle che il bambino attraversa per sviluppare le sue capacità: sono esperienze fondamentali che, se aiutate e favorite, si consolidano e diventano altrettante capacità, indispensabili per una vita piena e sana; capacità presenti e necessarie per tutta quanta l’esistenza.

Progetto terapeutico, precisione, direzionalità

Se si sono accumulate alterazioni nei funzionamenti di fondo (la vera base di sintomi e patologie, di atteggiamenti sbagliati e problemi, di sofferenze e disagi) è proprio su questi che bisogna agire, in modo concreto e preciso, in modo profondo, intervenendo su più livelli del Sé. Agire su sintomi, su comportamenti, su epifenomeni, su situazioni contestuali, o su funzionamenti parziali è di gran lunga meno efficace e stabile. Ma non si tratta di un agire seguendo schemi rigidi di tipologie, o applicando tecniche solo perché ritenute valide, o muovendo la persona e analizzando ciò che emerge, oppure seguendo ciò che di volta in volta può cadere sotto l’attenzione del terapeuta o del paziente. Troppo spesso questi modi di procedere fanno ripercorrere ancora una volta le strade alterate del paziente, lo fanno cadere nei solchi dei suoi disfunzionamenti, nelle vecchie tracce delle sue antiche ferite, senza produrre veramente il nuovo. Il vero cambiamento terapeutico consiste nel riuscire a recuperare proprio i funzionamenti di fondo alterati, individuati in modo preciso attraverso la diagnosi iniziale, che deve essere perciò completa e specifica. Possiamo allora parlare di un vero e proprio progetto terapeutico, un progetto preciso e determinato, costituito da fasi ben definite, da una direzione ben individuata. E tutto questo solo un’Area teorica nuova, capace di comprendere al suo interno i processi mente-corpo e i funzionamenti di fondo, ce lo può permettere.(ribadire non in senso generale- impossibilità di impostare ricerche che svalorizza e non permette di crescere- principi comuni 20 anni di attesa)

Il Funzionalismo pone la sua attenzione proprio sui funzionamenti di fondo della persona, a tutti i livelli psicocorporei del Sé. Di conseguenza possiamo sapere anche cosa accade in terapia quando interveniamo su questi funzionamenti di fondo, permettendo direzionalità ed operatività che non sono mai forzature e intrusione. 

Il Funzionalismo e la scommessa sociale

Una nuova Area teorica non costituisce solo una scommessa scientifica ma anche una importante scommessa sociale. Nella società odierna il rischio di alterazioni profonde del funzionamento degli esseri umani, sin dall’età precoce, è sempre più forte. Le conseguenze altamente drammatiche sono sotto gli occhi di tutti. Ma la violenza, in continua crescita, non è un dato inevitabile iscritto nel DNA umano, non esiste un istinto alla violenza e alla distruttività. I bambini sono il risultato di quanto vengano rispettati i loro bisogni fondamentali e di quanto la società sia capace di comprendere e favorire le Esperienze di Base. Sono sempre più indispensabili, allora, progetti e interventi di prevenzione a largo respiro e a largo raggio. Sono sempre più necessari metodi diagnostici realmente predittivi e metodologie che realizzino in breve tempo e su larga scala cambiamenti effettivi delle alterazioni in atto, anche prima che si siano manifestati veri sintomi e disagi evidenti. (vedi 285)

E’ su questa nuova frontiera che si svolgeranno le battaglie decisive per interrompere e invertire il processo che sta mettendo seriamente a rischio il nostro pianeta e la nostra vita futura. Per troppo tempo si è detto che questi sono elementi secondari da risolvere: per prima cosa venivano elementi strutturali come l’economia e il lavoro. Oggi sappiamo che non è così: gli elementi fondamentali per una vera giustizia sociale sono proprio nella piena salute psichica (e non solo psichica) degli esseri umani, e in particolare dei bambini, delle generazioni future. Altrimenti violenza, sopraffazione e ricerca del potere, del dominio, della ricchezza, prenderanno sempre il posto della vera vita, della soddisfazione e del piacere di vivere con sé e con gli altri, del rispetto verso se stessi, gli altri e la natura.

Le Aree di pensiero precedenti hanno avuto il grande merito di indicare per la prima volta il problema (con il progredire della scienza), contribuendo a far uscire l’umanità dai secoli bui, in cui sofferenza e violenza (ben lungi dall’essere analizzate nei loro meccanismi) venivano addirittura giustificate, in cui i bambini non erano neppure considerati come persone, e l’aspirazione alla felicità era solo per chi deteneva il potere. Le Aree di pensiero precedenti hanno cercato anche di affrontare il problema, con coraggio e determinazione; ma gli interventi sono sempre risultati troppo lunghi, troppo dispendiosi, non completamente efficaci e profondi, incapaci di creare progetti che agissero davvero a largo raggio. Troppo spesso ci si è limitati alla cura o alle enunciazioni di principio che non possedevano però una vera capacità operativa.

Il Funzionalismo, questa terza Area nascente, è dunque la nostra grande speranza; perché promette di poter finalmente superare tutti questi ostacoli, e di diventare uno strumento potente e realmente efficace per poter iniziare a dire la parola fine al permanere della barbarie umana, e a sperare che questo avvenga prima che sia troppo tardi.