Scuola di Psicoterapia: La Vegetoterapia in Italia.

Luciano Rispoli, 1984.

Dal Centro Studi W. Reich di Napoli decolla l’interesse in Italia per il pensiero e le tematiche reichiane, poiché è proprio qui che ininterrottamente dal 1968 ad oggi vengono approfonditi e messi a punto la pratica della vegetoterapia carattero-analitica, la sua originale applicazione in realtà più complesse quali il gruppo di terapia, i nuovi procedimenti di formazione degli operatori, la sperimentazione e l’intervento preventivo e di ristabilimento delle capacità espressive ed affettive sull’infanzia. 


Anche in Italia il “caso Reich” è stato uno dei più incredibili momenti neri della storia della Scienza. Ripercorrere ciò che è accaduto negli ultimi anni può essere utile, non tanto per narrare vicende concluse, ma per comprendere a fondo ciò che oggi si muove, cosa è rimasto, cosa. è attuale. La. mia intenzione è anche soprattutto di analizzare ciò che di nuovo si è andato sviluppando attraverso ricerche ed esperienze, poiché un corpus teorico perde di validità, si cristallizza, e si invecchia se non è continuamente “in movimento”, arricchito, criticato, ampliato.

La conoscenza di Reich in Italia comincia 20 anni fa, per la traduzione in italiano di alcuni brani tratti da vari suoi libri. A Roma nasce un gruppo che cerca di approfondire le tematiche di Reich, ma mancano obbiettivi precisi e terreni per avviare una, vera e propria attività scientifica. Questa prima iniziativa si sgretola. Non molto dopo, nel ’68, è proprio a Napoli che nasce una seconda iniziativa: il Centro Studi W. Reich. E nasce già con. una gamma di interessi molto ampia: l’intervento psicoterapeutico, le attività di studio e di ricerca, il momento di prevenzione e di lotta sociale. Persino delle Tesi di Laurea sono state scritte sulla storia del Centro Reich, poiché è da qui che prendono le mosse tutte le future iniziative reichiane in Italia. Il Centro suscita molto interesse, ma deve affrontare nei primi anni della sua esistenza grossi ostacoli sia interni che esterni. Da una parte sono troppo divisi gli aspetti sociale e clinico al suo interno, pur essendo questa la caratteristica che lo renderà e lo rende una. struttura pressoché unica in Italia, capace di cogliere la singolarità che è anche nel pensiero di Reich: questa proposta, così nuova e feconda di INTEGRAZIONE di settori sino ad allora ritenuti separati Passerà molta acqua sotto i ponti, ma in questo senso la vivacità del pensiero reichiano resta fresca e attuale, capace di produrre ancora molti nuovi, sviluppi. E’ infatti solo da poco che la Scienza e la Pratica clinica muovono i loro passi in questa direzione. Il movimento della “Nuova Psichiatria,” così lucido nelle sue posizioni avanzate contro la settorializzazione, esprime nei recenti anni scorsi la necessità di puntare su un. intervento “tecnico” che sia però configurato anche dal punto di vista sociale e politico, che indichi cioè scelte strategie e metodi in. modo “trasparente”. Questo fermento di idee e pensatori porta a una legge sulla psichiatria tra. le più avanzate e socialmente sensibili del mondo, in cui gli elementi perno sono la prevenzione, l’intervento diffuso sul territorio, l’utilizzazione delle tecniche più avanzate di psicoterapia, e non. la reclusione e la ghettizzazione dei. disturbi psichici. Ma oltre a ciò, sempre nel senso indicato da Reich, si muove e fermenta anche un interesse per il “corporeo”, nelle pratiche mediche e non. mediche. Approcci omeopatici, yoga, alimentazioni naturaliste, medicine orientali e agopuntura, medicina psicosomatica trovano un terreno favorevole nell’interesse della gente, perché già in un certo senso spianato e aperto dalle intuizioni di Reich sull’identità funzionale tra psiche e soma, tra struttura caratteriale e muscolare. Molto spesso quelle che si ritrovano, però, sono ancora una volta posizioni e mentalità restrittive e dicotomiche, nelle quali il corpo finisce per scomparire sotto la schiacciante preponderanza di interpretazioni di tipo “psichico” di qualsiasi disturbo, e resta relegato a pura metafora, a incarnazione simbolica di meccanismi mentali. Oppure, in un eccesso opposto, che è però altrettanto svalutativo, il corpo diventa la chiave di ogni guarigione, anche se messo in movimento solo meccanicamente: ogni intervento sul corpo diviene (ma è certamente mistificante) immediatamente un intervento psicoterapeutico.

In realtà appare chiaro come ancor oggi stenta a farsi strada la concezione teorica di una unità, psicosomatica. e di una. psicoterapia che potremmo definire “integrata”, quale è appunto la Vegetoterapia carattero-analitica. Le difficoltà di carattere esterno che il Centro Studi Reich deve affrontare ricalcano ritardi e mancanze che la stessa ricerca scientifica registra nel settore. Reich era stato tenuto lontano dai circuiti ufficiali da un dato momento della vita in poi: ciò continua a riflettersi su scelte e indirizzi che l’Ufficialità Accademica compie ancor oggi. In più sì deve registrare una incapacità delle Istituzioni a cogliere la portata innovativa che l’Analisi caratteriale e la Vegetoterapia conducono in un campo, quello della psicoterapia, in cui tutto era abbastanza fermo a modelli incompleti e parziali del funzionamento dell’organismo umano. Tant’è, oggi si assiste a un fiorire di iniziative, di Scuole di formazione, di corsi, a volte però improvvisati, in cui la matrice teorica, o carente o confusa, il corpo viene usato senza discriminazione, ci si butta a man bassa su un indirizzo che promette se non altro buoni “affari”.

E’ dal Centro Studi W. Reich di Napoli che decolla l’interesse in Italia per il pensiero e le tematiche reichiane, poiché è proprio qui che ininterrottamente dal 1968 ad oggi vengono approfonditi e messi a punto la pratica della vegetoterapia carattero-analitica, la sua originale applicazione in realtà più complesse quali il gruppo di terapia, i nuovi procedimenti di formazione degli operatori, la sperimentazione e l’intervento preventivo e di ristabilimento delle capacità espressive ed affettive sull’infanzia. Viene perfezionata la formazione degli operatori del Centro Reich e approfondito il discorso terapeutico facendo venire a Napoli in un primo momento il dott. Ola Rakness da Oslo per diversi anni consecutivi e successivamente il dott. Alexander Lowen dagli Stati Uniti. Il Centro Reich trova più consona all’indirizzo sino allora scelto e seguito la scuola norvegese, che il riduzionismo pragmatista della bioenergetica di Lowen. Viene edita una rivista che per diversi anni testimonia il fermento e la ricchezza di idee e di iniziative del momento, ma anche la tendenza allo scontro esagerato con il restante mondo della cultura da parte di alcuni dei terapeuti di allora. Gli stessi terapeuti che, esasperando l’aspetto del professionismo, più nel senso di privilegiare i. propri allievi e “pupilli” contro quelli degli altri che nel senso di creare una scuola e un indirizzo, si contrapporranno anche ad ogni iniziativa non strettamente “terapeutica” del Centro Reich stesso, come l’asilo sperimentale per l’infanzia o la ricerca del gruppo di “socioanalisi”, che promuove ricerche per l’intervento .a livello istituzionale attraverso l’integrazione di tecniche anche di dinamica di gruppo. Sono gli stessi terapeuti che in disaccordo, in definitiva, con la tendenza ad uno sviluppo integrato del discorso clinico e sociale del Centro studi Reich se ne allontaneranno nel 1975 dopo un Congresso Nazionale, dando luogo successivamente a nuove scissioni e divisioni sempre più disgreganti. Nel frattempo erano nati, associati a quello di Napoli, altri Centri studi W. Reich in Italia, a Padova, a Treviso, a Genova e soprattutto a Roma. Solo quest’ultimo avrà una. vita più lunga, perché alcuni dei suoi componenti seguono a Napoli un training terapeutico. Gli altri gruppi si sciolgono disorientati dalle polemiche e dalle divisioni.

Ma il Centro Studi Reich di Napoli si consolida nella pratica di una ricerca ricca e stimolante, aprendosi al confronto con tecniche e teorie terapeuti che consolidate, come la Gestalt e la Psicoanalisi, e con le strutture di. ricerca e di formazione dell’Università. Sono anni di riflessione e di studio più che di “propaganda” all’esterno, nei quali si vanno delineando le scelte di fondo terapeutiche del Centro e il corpus teorico che le cementano, arricchito da nuove e stimolanti scoperte ed elaborazioni. Nasce ad esempio il concetto di Stratificazione emotiva dei blocchi muscolari, che  modifica la concezione tipologica a favore di una visione che tiene conto di tutti i processi dello sviluppo evolutivo del bambino. E’ grazie a questa teorizzazione che è possibile evitare di procedere a casaccio nello sblocco di livelli muscolari o secondo un ordine del tutto incomprensibile, come ad esempio quello dall’alto in basso, che alcuni ancora sostengono. Si modifica anche la concezione in gran parte sostenuta dalla scuola americana che a distretti muscolari precisi corrispondano, all’incirca, emozioni ben determinate. Si scopre che in ogni distretto muscolare sono stratificate varie emozioni corrispondenti alle vicissitudini che esse hanno subito durante i. processi evolutivi del bambino e alla possibilità che esse hanno avuto in varie epoche di essere espresse o trattenute attraverso i movimenti di quelle zone muscolari. Ciò apre la strada a molte nuove e interessanti formulazioni che hanno permesso di dare contenuto a concetti come livelli muscolari pieni o vuoti, zone ingorgate, necessità di agire su zone adiacenti, e hanno dato significato a strane risultanze cliniche, quali la corrispondenza di mobilità fra livelli muscolari anche lontani. Si scopre che i blocchi muscolari non sono addebitabili soltanto a contratture, ma il concetto di blocco è più ampio e concerne il funzionamento del “tono” muscolare e della sua variabilità; così che si può parlare di blocchi in situazioni di muscoli induriti, ma. anche flaccidi, ipotonici. La mobilità diviene uno dei criteri guida per il lavoro terapeutico, sia a livello corporeo che a livello di emozioni. L’incapacità di esprimere un’emozione viene sempre collegata ad una mancanza di mobilità emotiva, cioè ad un irrigidimento in una coloritura emotiva di un sol tono. Ma quell’emozione sempre presente è in realtà un’emozione di copertura, e perciò anch’essa non vissuta Pienamente, ma espressa in modo indiretto e confuso. L’antiteticità tra emozioni da sempre considerate opposte, come rabbia e tenerezza ad esempio, si rivela essere solo apparente, dimostrandosi funzione di un medesimo blocco emotivo. Ciò che vorrei sottolineare al di là di ulteriori approfondimenti teorici, cui qui si è fatto appena un cenno, è che nella nostra verifica sperimentale si mostra sempre più necessario un intervento che si ponga su vari livelli in un tentativo di ritornare a forme di integrazione profondamente sommerse dalle stressanti vicissitudini dell’esperienza umana. Il simbolo della doppia via, così genialmente proposta da Reich, rimane un diagramma attualmente ancora utilissimo, solo che lo si intende secondo una concezione più dinamica e sistematica. L’integrazione a un’esperienza che l’uomo porta dentro, proprio prima che i due rami si biforcassero; ed è perciò sempre più chiaro che è necessario agire su tutti e 2 i livelli contrapposti, sulle due biforcazioni contemporaneamente, se non si vogliono tralasciare elementi significativi di interconnessione, irraggiungibili alle profondità in cui operano. Il rapporto diretto tra i due rami antitetici mi sembra un criterio guida notevolmente utile a qualunque livello si intervenga: pensiero logico e pensiero creativo nell’infanzia, psiche e soma, simbolizzazione rappresentativa, mondo adulto e mondo infantile, e così via.

Spaziare in questo continuum percettivo, cognitivo o emotivo è ciò che permette un’ampiezza di possibilità di relazione con la realtà e le persone circostanti, tale da riuscire ad assumere un ampio respiro e una visione globale che ci permettono di non cadere nella mistica della terapia, ma di capire che bisogna sempre interconnettere  struttura individuale, struttura gruppale e tessuto sociale nelle loro molteplici e complesse relazioni.