Scuola specializzazione Psicoterapia: La Stratificazione delle emozioni.

Luciano Rispoli, 1985.

Nel procedere all’ individuazione e alla formulazione delle proposizioni che costituiscono il corpus teorico di un modello sulle strutturazione della personalità, sui comportamenti e gli atteggiamenti dell’uomo, sull’aggregarsi delle varie modalità del pensiero, le difficoltà a tutt’oggi sono particolarmente aspre.


Il numero di variabili da tenere in considerazione è infatti alto, e la scelta di quelle da privilegiare e di quelle da scartare è così diversa nei vari approcci teorici da costituire un motivo di forte caratterizzazione di ogni modello.
In effetti nel campo psicoantropologico ogni teoria è implicata in una intensa interazione con la struttura sociale in cui si esprime e nella quale nasce. Per semplicità possiamo considerare questa interazione come pio effetto, estraendone cioè due connessioni,. Da un lato, le formulazioni teoriche sono influenzate dall’ideologia, dalla cultura, dallo strato sociale dei gruppi di riferimento a cui appartengono i ricercatori che le hai-i no elaborate. Dall’altro, ciascun approccio ha conseguenze progettuali e operative diverse, particolarmente specificate; cioè differenti tipi di intervento a carattere sociale, nelle istituzioni fondamentali adibite alla “cura” o alla “prevenzione” del disagio psichico, con presupposti, modi di vedere, posizioni “politiche” e “tecniche” altrettanto differenziate.
Se ci riferiamo a quell’ambito più limitato, ma ancora così tanto complesso e delicato, che viene definito “psicologia clinica”, ci accorgiamo che lo stringere o il focalizzare l’obbiettivo non comporta automaticamente un miglior “fattore risolutivo” dell’immagine. Le scuole e gli approcci teoretici sono ancora notevolmente diversi, a volte contraddittori, tanto che una definizione univoca del termine è a tutt’oggi un problema delicato e in pratica non ancora risolto (anche se il dibattito in corso sulla questione può facilitare, con un processo di successive approssimazioni, una miglior collimazione (dei differenti significati scientifici.
Quello che vorrei sottolineare, però, è che come pilastri sostitutivi della psicologia clinica sono da considerare sempre i metodi di “osservazione sul campo”, vale a dire la rilevazione dei disturbi, delle patologie e delle alterazioni così come si presentano nelle loro manifestazioni fenomenologiche. Il processo di intervento è dunque in tal caso sempre un processo diagnostico-terapeutico, nel quale gli elementi e i dati rileva ti vengono collegati (del modo non ci occuperemo in questa sede) con gli elementi costitutivi del quadro teorico complessivo di riferimento. Rimandando ad un altro scritto la discussione epistemologica e metodologica sulla complessità delle operazioni che intervengono nel processo di diagnosi-terapia, qui vorrei sottolineare un presupposto che dalla nostra “scuola” è ritenuto fondamentale relativamente a tale questione. L’elemento diagnostico deve essere, infatti, a parer nostro, specie in psicologia Unica e in psicoterapia, un punto di riferimento costantemente presente rispetto alle operazioni che vengono invece definite “terapeutiche. ma proprio da questa considerazione scaturisce che appare del tutto fittizia, e che gli elementi “diagnostico” e “terapeutico” non sono assolutamente scindibili.

Infatti la stessa possibilità di tracciare un quadro diagnostico può nascere esclusivamente dall’ esistenza di una teoria generale a cui l’operatore possa fare riferimento, dal momento che non si può sostenere l’esistenza in termini assoluti e reali di elementi che concorrano alla definizione di una patologia, ma soltanto di ipotesi di funzionamento del comportamento e di ipotesi sulla formazione del pensiero nell’uomo. Così, in un quadrodiagnostico tracciato all’interno delle ipotesi dell’interazinismo simbolico, ed esempio, saranno presi in considerazione determinati “segni” rilevabili dall’operatore (alcune delle varie bili di cui parlavamo prima) i quali non coincideranno completa mente con l’insieme semiologico su cui si base il modello della vegetoterapia carattero-analitica o quello della psicoanalisi , il modello lewiniano o quello transazionale, e così via.
Nella costruzione di una teoria congruente e non contraddittoria, in psicologia clinica, è dunque necessario, come dicevamo, basarsi su fatti e dati osservabili, relativi alla vita del paziente. Tali dati possono essere suddivisi in due grandi categorie. Nella prima rientra tutto ciò che viene “messo in movimento” dalla relazine dianostico—terapeutica stessa (nella quale l’nitro termine non è detto che debba essere solo l’individuo, m anche la coppia, il, gruppo familiare, il piccolo gruppo o l’istituzione).Mi riferisco ai segni che lo psicoterapeuta “può” ricevere dal suo incontrarsi con l’utente e ai segni che questi riesce a percepire in uno spazio interrelazionale interno al suo sé, non visibili all’esterno ira presenti comunque al livello della consapevolezza.

Per queste due modalità di raccolta dei dati ho usato tra virgolette le parole “può” e “riesce”, ad indicare una situazione multidimensionale, a relazione complessa, che caratterizza nel nostro caso la possibilità per il terapeuta di leggere dati oorporeo- comportamentali e di ascoltare le percezioni-sensazioni colte dal paziente. Voglio dire che la lettura dei segni, in psicologia clinica, al di là dei tentativi discutibili di obiettivizzarla su cui si basa il comportamentismo di Watson, si caratterizza per una profondità e un’ampiezza di timbri e di armoniche che la contraddistingue nettamente dalle “obbiettività” meccanicistica di una certa impostazione medica, psicologica e biologica.

La dimensione del livello simbolico, metaforico, del corpo e dei fenomeni corporei sentiti e pensati è, infatti, strettamente inclusa nel campo dei dati rilevabili e significativi. L’orizzonte si apre dunque alle prospettive più ampie che può offrire l’analisi della profondità del mondo interiore, di quello spazio che non ha limiti propriamente fisici, ma che al contempo non è

Il punto fondamentale su cui si impernia la teoria di una psicologia “integrazionale”, di cui in altri scritti e occasioni ho già avuto modo di chiarire alcuni aspetti, è la possibilità di fondere questi due elementi apparentemente così separati e contraddittori, lo psichico e il corporeo. Anzi è possibile verificare come l’interazione diagnostica delle percezioni corporee e delle alterazioni fantasmatiche e simboliche, sia del terapeuta che del paziente, può produrre un contatto più completo tra queste due entità, una condizione di comprensione indispensabile per dare maggiori possibilità di rendere il processo terapeutico un accadimento transpersonale.

D’altra parte l’ampliarsi. delle possibilità di inferenza, dalle libere associazioni, dal livello ideativo alle gradazioni sfumate delle coloriture emotive, dall’atteggiarsi del corpo in posture ed espressioni visibili, alle miriadi di sensazioni fisiche che è possibile percepire al suo interno, produce anche una facilità di connessione maggiore tra il sistema di dati e il sistema teorico di riferimento. Gli elementi a disposizione, infatti, non aumentano nel senso quantitativo, ma si modificano soprattutto a livello qualitativo, componendosi in un rafforzamento ridondante del quadro diagnostico. E’ da queste considerazioni che nasce una nuova concezione di struttura Caratteriale e di corpo, con una visione olistica che vede interagenti tra loro i differenti livelli: posturale, muscolare, fisiologico degli apparati corporei, emozionale, verbale, simbolico.  L’esistenza di questo continuum, che abbiano così suddiviso per comodità di esemplificazione e per riprendere la scissione che una determinata cultura produce successivamente nella vita del bambino, ci permette di capire cosa si può intendere per analisi delle relazioni transferenziali e controtransferenziali allargate.
La possibilità di elaborare il processo terapeutico al di là del puro accadimento trova una consistente forma di esistenza proprio nell’analisi del transfert. Così come la consapevolezza del controtransfert pone serie ipoteche nel poter riuscire ad usare se stessi come lo strumento principale di interpretazione della relazione terapeutica, senza cadere in una confusione che impedisca di distinguere ciò che è del paziente e ciò che è del terapeuta.

Ampliare  l’analisi del transfert e del controtransfert può significare nuove possibilità di esplorare su ancora altre dimensioni la relazione terapeutica; può permettere di cogliere messaggi e comunicazioni che passano su canali inconsueti, e non solo su quelli limi-ti del linguaggio delle parole.

Il punto è che la relazione terapeutica non può essere letta solo come reazioni cronologicamente successive del terapeuta al paziente e de] paziente al terapeuta. La relazione agisce in urto spazio comune, che ha diversi piani di contatto tra le due persone, che si trasforma spesso in modo intenso e rapido senza che nessuno dei due a volte riesca a capire il come e il perchè. In realtà flussi di comunicazioni, inter dei punti emozionali, gesti, umori, emanazioni e percezioni sensoriali influiscono tutti sulle modificazioni di ciò che sarebbe più esatto definire come ‘campo transferenziale’.