Scuola psicoterapia: Fondamenti, sviluppi e prospettive delle teorie Psicocorporee.

Congresso Internazionale di Somatoterapia, 1988. 

Il moltiplicarsi di esperienze come questo Congresso, in un terreno di incontro tra varie discipline della Scienza quale è l’area dello psicocorporeo, va nella direzione di una risposta sempre più organizzata agli attacchi contro i bisogni fondamentali dell’essere umano. Il futuro è appunto nello studio delle cosiddette “interfacce”, nell’esplorazione delle aree di frontiera tra differenti rami della Scienza così ricche di nuove scoperte e potenzialità, capaci di scardinare un concetto di scienza chiusa per settori. 


Dalla metà degli anni ’80 va cambiando il panorama scientifico complessivo,soprattutto nel campo della Psicologia Clinica e della Psicoterapia. Contro le posizioni ermeneutiche, che rinunciano completamente ad una verifica scientifica, si riafferma il pensiero di Popper e soprattutto le tesi di Grunbaum.

II problema dell’efficacia della cura si ripropone come punto fondamentale. Non c’è, nella moderna concezione della Scienza, separazione tra scienze naturali e scienze umanistiche: ogni teoria, in ogni disciplina scientifica, contribuisce ad arricchire la conoscenza sistematica del mondo. Anche la Psicoterapia è una scienza, a patto di effettuare una verifica costante delle sue proposizioni teoriche e tecniche, e una ricerca continua e controllata. Le verifiche possono avvenire sia all’interno dei processi terapeutici, ma anche all’esterno, nella ricerca epidemiologica e sul follow-up dei risultati a breve o a lunga distanza. Nello stesso tempo si moltiplicano i seminari e i congressi nei quali si avviano confronti e scambi tra i differenti approcci clinici e terapeutici. Non a caso dal 1983 al 1987 con la Società Italiana di Vegetoterapia e Psicoterapia Corporea, dopo 15 anni di ricerche sia in campo più propriamente clinico che in quello dell’infanzia (Asilo Sperimentale, Centro di Diagnosi e Terapia, ecc.), abbiamo realizzato ben 5 Congressi a carattere Internazionale, con la presenza dei modelli teorici più significativi della Psicoterapia.

E non è un caso che dal 1987 ad oggi si susseguono importanti appuntamenti in un’area (lo psico-corporeo) che va ritrovandosi e riaggregandosi sempre più alla ricerca di sistematizzazioni più precise, esplicite e valide. A Davos si è svolto il 1° Congresso Europeo di Body-Psychotherapy; a Napoli abbiamo realizzato il 1° Simposio Internazionale su Wilhelm Reich; a Città del Messico il 1° Congresso Internazionale di Body-Psychotherapy.  E ora qui a Parigi il Congresso Internazionale di Somatotherapie; mentre sono già in avanzata organizzazione il 11° Congresso Europeo di Body-Psychotherapy e il 11° Internazionale a Montreal. I tempi per una sfida alla scientificità sono maturi, soprattutto in un campo che si pone in modo del tutto particolare nel dibattito tra soggettivismo e oggettivismo, e nello scontro tra posizioni ereditarie e ambientaliste, tra organicisti e funzionalisti o, secondo un altro aspetto, tra le psicologie cliniche che si rifanno unicamente alla pulsione, come motore dell’esistenza e del comportamento, e quelle che poggiano tutto esclusivamente sulla relazione.

Nel quadro teorico della Psicoterapia Corporea è sempre l’operatore che interpreta la realtà attraverso se stesso, e le sue risonanze interne. Ma le sue ipotesi, poi, possono essere poste in verifica attraverso degli elementi di oggettività, riscontrabili e verificabili anche da un osservatore esterno alla terapia, purché si vada ad esplorare altri livelli ed altri piani del processo. Altri piani significa non restare all’interno del solo mentale, o peggio di alcune funzioni del mentale, né all’interno del solo livello fisico o somatico. E’ lo stesso dualismo psiche-soma che in una nuova visione viene oramai superato.

Il modello teorico del Sé corporeo, a cui lavoro da diversi anni, prende spunto dall’intuizione fondamentale di Reich dell’unitarietà funzionale tra psiche e soma, ma si avvale di tutte le risorse metodologiche e dei dati delle ricerche scientifiche degli ultimi decenni. Infatti lo studio della primissima infanzia e del periodo perinatale ha rivelato che il bambino è in una interazione già intensa con l’ambiente esterno sin dall’inizio, che non è “isolato”, e soprattutto che possiede tutte le capacità emozionali, cognitive e ideative (seppur più semplificate) originariamente interconnesse tra loro e con il movimento espressivo e percettivo, sia interno che esterno. Si tratta di una visione del Sé “dall’alto”, che analizza allo stesso tempo molteplici piani e processi funzionali, che abbraccia gli accadimenti delle quattro grandi aree in cui è possibile suddividere la complessa struttura dell’organismo umano: l’Emozionale (che guida nella scelta degli oggetti e delle relazioni), il Fisiologico (costituito dagli apparati e dai sistemi interni), il Cognitivo (ideazioni, ricordi, simboli, razionalità) e infine il Posturale (che è costituito dai movimenti della struttura muscolare, dalla tonicità dei muscoli, dalle posizioni, dalla forma delle varie parti del corpo). Ma il modello tenta soprattutto di cogliere le interazioni tra i vari processi funzionali, tra un’area del Sé e l’altra, e all’interno della singola area, rilevando (a partire da un’integrazione primaria) le alterazioni e le disfunzioni che intervengono in esse, e nel mondo delle relazioni oggettuali, sia con gli oggetti esterni che con il Sé-oggetto.   Le disfunzioni consistono essenzialmente in scissioni e separazioni tra piani differenti del Sé (o all’interno di  ciascun piano), di ipertrofie o ipotrofie di un processo funzionale rispetto agli altri, di un irrigidimento e una sclerotizzazione di parti del Sé che limitano la gamma di strategie, di movimenti, di ideazioni, di emozioni. L’intervenire di scissioni, irrigidimenti e disarmonie dello sviluppo produce un’alterazione complessiva del Sé, una modificazione di tutto il suo assetto, una rigidità caratteriale che riduce la mobilità sui vari livelli funzionali. Non parleremo più, dunque, genericamente di blocchi corporei, di zone bloccate, o di tensioni.

Per fare un esempio, diremo che è possibile riscontrare vari tipi di alterazioni patologiche del tono muscolare del paziente, non solo nel senso di indurimenti, ma di una limitata mobilità del tono di base in una condizione (più o meno ristretta) che può andare, nell’intera gamma, dall’ipotono sino all’ipertono. Analogamente possiamo avere rigidità in una delle varie dimensioni emotive (ad esempio rabbia-tenerezza: e il paziente avrà accesso solo a determinate coloriture dell’intero continuum), o ideative, o percettive, e così via. Nasce così una complessa e precisa costruzione teorica che soddisfa le esigenze più recenti di un modello clinico che sia insieme una teoria dello sviluppo e della personalità, una chiave di lettura delle alterazioni e della patogenesi, e una teoria della modalità di intervento. L’applicazione in vari eventi della vita umana e in particolari ambiti (gravidanza, infanzia, gruppi, formazione, ecc.) sarà allora dovuta solo ad uno sviluppo degli strumenti operativi che discendono dal quadro teorico generale. Si possono anche adoperare più tecniche differenti, purché nella pratica terapeutica ci soccorra un progetto ben individuato, che analizzi i fattori di cambiamento e i processi clinici in relazione alla struttura di personalità.

II modello del Sé Corporeo è d’altronde una costruzione teorica complessiva e globale. Il concetto di Sé non si riferisce solo a limitate fasi di vita infantile, né si struttura soltanto in un secondo tempo, successivamente alle prime esperienze e alle prime relazioni (come sostengono alcuni autori). Esso riguarda, invece, anche i fenomeni psicosomatici all’origine della vita, le reazioni funzionali legate al periodo della nascita, le sensazioni arcaiche e profonde che restano poi imprigionate nella memoria corporea a più livelli, i primi disturbi del neonato ancora direttamente connessi ad emozioni e significati, i movimenti interattivi che il bambino compie con i nuclei profondi del Sé non ancora scissi e alterati. E’ possibile così guardare all’insorgere di sintomi fisici, o di disturbi psichici, o di classiche malattie psicosomatiche, come ad un unico processo di alterazione, riguardante le aree funzionali del Sé. La mappa di queste ultime può fornire una chiara visione di quali versanti risultino più o meno colpiti, del perché l’ammalarsi prenda l’una o l’altra strada, e infine di quali metodologie adoperare nell’intervento.

Il modello del Sé corporeo, elaborato in 20 anni di esperienze (anch’esse condotte su più piani e livelli in un’ottica multidimensionale), e tutta l’area della Psicoterapia corporea non si caratterizzano certo per la banale affermazione della presenza del corpo nella pratica terapeutica. E poi, appunto, quale corpo? Le teorie del Sé, oggi in grande sviluppo in vari rami della psicologia, possono essere una risposta valida a questa domanda, anche perché terreno di incontro possibile con le scienze più specificamente sociali. Esse ci possono soccorrere anche sul versante più strettamente clinico terapeutico, rigettando oramai con decisione un uso non finalizzato, indiscriminato e non scientifico di tecniche e di strumenti. Non è possibile più pensare di muovere il corpo a caso, o secondo direzioni fisse (come dall’alto in basso o da fuori verso dentro). Non ci si può limitare a produrre unicamente condizioni di rilassamento. Non ha più senso fornire solo esperienze emozionali che non abbiano uno sbocco terapeutico preciso. Anche le esperienze regressive, per quanto suggestive, se non inserite in un processo complessivo possono risultare pericolose. Sono ormai relegate al passato, insomma, le mode delle esplosioni emotive, dello smuovere violento, dei fenomeni eclatanti.

“Smuovere”, quando si usino anche approcci sul livello fisiologico o posturale, così ricchi di contenuti e di reazioni è molto facile; l’importante è strutturare un processo terapeutico efficace, incisivo, meno lungo possibile, con un andamento preciso e indirizzato. La teoria del Sé ci può chiarire quali possano essere le finalità globali e specifiche della terapia: il riequilibrarsi dell’intera struttura del Sé, il riaprirsi di flussi e connessioni tra piani e livelli, il riespandersi dei nuclei profondi originari, erosi dalla patologia, il ricostituirsi della mobilità e dell’ampiezza di tutte le funzioni dell’organismo, in modo integrato. Non si tratta di un compito utopistico, nel senso dell’assurdo, ma di una tensione che ci porti continuamente a verificare e modificare teorie e metodi, per arricchire conoscenze e potenzialità. Si tratta di arrivare in modo sempre più rapido e profondo ai nuclei originari del Sé, nelle aree di integrazione ancora esistenti dove movimenti, percezione, emozione e pensiero sono ancora interconnessi e ricchi di significati. Questo processo di Regressione psicosomatica permette di non correre quei rischi che molto spesso producono insuccessi e arresti, non solo nel processo terapeutico, ma anche in quello evolutivo dell’infanzia. Bisogna infatti evitare di stimolare aree funzionali già ipertrofiche; è necessario non insistere troppo su quelle fortemente sclerotizzate; è pericoloso approfondire e intensificare scissioni già in atto. Viceversa il lavoro terapeutico consisterà in un paziente intervento di ricucitura, di riconnessione, di ampliamento del nucleo profondo ancora integrato. La regressione deve allora adeguarsi alla particolare configurazione del Sé del paziente, deve seguire i percorsi di più facile accesso, lungo piani funzionali meno alterati e cristallizzati,  più vitali e capaci di movimento.

La strada per questo viaggio sarà possibile comunque solo grazie alla relazione attuale con l’analista, attraverso un uso complesso del campo transferale, ampliato a tutti i piani del Sé corporeo. II filo rosso del percorso sarà costituito dalle stratificazioni emozionali e affettive (anzi del loro esito nel rapporto con l’ambiente durante le varie fasi di vita). Le stratificazioni ci guidano attraverso le posture, i distretti corporei, gli apparati fisiologici e le loro alterazioni, in una complessa costellazione che permette di scendere nel profondo molto più di quanto lo permettesse la concezione forzata e meccanicistica delle tipologie. II processo terapeutico appare così molto più complesso ma anche più definito, nelle strategie e soprattutto nell’iter che attraversa, rendendo possibile una verifica scientifica (ripetibilità, predittività, etc.) non delle singole storie, ma delle fasi generalizzabili, che si susseguono nel processo stesso. Accanto ad una narrazione storica irripetibile delle singole vicende (storia del paziente, storia del terapeuta, storia della relazione terapeutica) ci sarà una narrazione scientifica che guarda ai principi generali riscontrabili nei processi, per rendere più efficace l’iter complessivo ed evolutivo della terapia stessa.

I tempi sono dunque maturi (come dicevamo) per una sfida alla scientificità, ma non fine a se stessa, bensì come sfida al malessere dilagante, all’aumentare del disagio, agli effetti sempre più devastanti di stress, ansia, angoscia legata ad un mondo minacciato sin nella sua sopravvivenza. Il moltiplicarsi di esperienze come questo Congresso, in un terreno di incontro tra varie discipline della Scienza quale è l’area dello psicocorporeo, va nella direzione di una risposta sempre più organizzata agli attacchi contro i bisogni fondamentali dell’essere umano. Il futuro è appunto nello studio delle cosiddette “interfacce”, nell’esplorazione delle aree di frontiera tra differenti rami della Scienza così ricche di nuove scoperte e potenzialità, capaci di scardinare un concetto di scienza chiusa per settori. Bisogna però che ci siano modelli teorici scientificamente solidi che coagulino l’attenzione degli studiosi e aprano prospettive di ricerca comuni.

Nella misura in cui riusciremo a mettere da parte personalismi o sterili protagonismi, e a mettere a punto incontri come questo, (nel passare dalle esperienze e dalle tecniche alle grandi tematiche teoriche) a costruire (qualunque sia il nome che adoperiamo) una teoria condivisa e valida della struttura del Sé, che sia punto di incontro con altri rami della psicologia e della scienza, allora la speranza potrà divenire finalmente una possibile certezza.