Psicoterapia Funzionale: La Respirazione.

Luciano Rispoli, 2006.

Per la Psicoterapia Funzionale la respirazione è il canale principale di azione sul funzionamento profondo dell’organismo umano, uno dei fattori generali di regolazione.


La respirazione e il piano bio-fisiologico

La pratica clinica ci ha ampiamente dimostrato che alcuni livelli corporei costituiscono una vera e propria “chiave” di accesso al funzionamento profondo dell’organismo umano, e rappresentano quindi dei fattori generali di regolazione. Intervenendo su di essi dall’esterno è possibile avere effetto anche sui piani più interni del continuum macro-micro (quali il sistema neurovegetativo, i circuiti neuroendocrini, i meccanismi di regolazione della pressione, della temperatura, del battito cardiaco, del movimento intestinale). Non c’è dunque solo una via cortico-viscerale (processi cognitivi che agiscono sul funzionamento dei nostri organi e sistemi interni) ma anche e non meno importante una via muscolo-viscerale (l’influenza che sugli stessi organi e sistemi interni ha il sistema muscolare nel suo insieme). Un dato interessante a sostegno del collegamento tra questi due livelli, è il fatto che persino la membrana del midollo pulsa per effetto della respirazione, membrana che – ricordiamo – è il luogo di numerosi recettori di importanti trasmettitori biochimici. Le ricerche dei fattori di regolazione sono importanti negli studi psicobiologici ma anche per la psicoterapia che si voglia occupare dell’organismo intero. La rilevanza della scoperta dei tre fattori di regolazione costituiti dalla respirazione diaframmatica originaria, dal tono muscolare di base e dalla mobilità delle posture risiede nell’aver individuato elementi facilmente accessibili dall’esterno operando sui quali si ottengono effetti significativi sui piani più interni e profondi, inaccessibili se non a livello farmacologico, aprendo così una strada fertile e ricca di prospettive.

Le modalità della respirazione

Tra i fattori di regolazione generale, uno dei primi per la sua importanza è senza dubbio quello della respirazione. Della respirazione se ne parla molto, in molte tecniche terapeutiche, ma non sempre in modo chiaro e preciso. Chi dice che bisogna forzarla, chi allungarla, chi trattenerla e così via. Su questo punto è tempo di fare definitivamente chiarezza. Modalità differenti di respirare esistono e sono collegate a scopi differenti e a situazioni differenti di vita. Un soggetto sano assume automaticamente quella più adatta alla situazione del momento. Nella respirazione toracica, ad esempio, l’organismo va in simpaticotonia: si rallenta la peristalsi intestinale, il sangue è pompato più in fretta, aumenta la sudorazione per smaltire il calore di un’eventuale azione imminente, i muscoli sono messi in condizione di agire; il tutto prepara ad affrontare una situazione di allarme, in cui sono necessarie concentrazione, lucidità di mente, forza muscolare, capacità di lottare. Oppure la respirazione può diventare molto rapida al fine di aumentare il tasso di ossigeno in caso di forte affaticamento. Oppure può prevalere l’atteggiamento di trattenere l’aria in inspirazione, quando si tende a diminuire la sensibilità generale e a sopportare meglio il dolore.

La respirazione diaframmatica, invece, produce parasimpaticotonia, il sistema addetto ai momenti di calma, di tranquillità, di allentamento. Stomaco e intestino sono in movimento, il sangue scorre più lento, vengono messe in circolazione endorfine e proteine P che producono un intenso senso di benessere. L’organismo non deve affrontare nessuna situazione che richieda azione intensa, rapide decisioni, concentrazione, prontezza di riflessi, forza a disposizione. In un funzionamento sano, un individuo dovrebbe poter ritornare alla respirazione diaframmatica ogniqualvolta non ci sia più bisogno di attivarsi, di affrontare situazioni di allarme, pericolo o lotta. Nei bambini tutto questo è ben visibile: la respirazione diaframmatica è chiaramente presente per la maggior parte del tempo. Anche quando stanno compiendo degli sforzi fisici, se non c’è motivo di allarme, la respirazione è ancora diaframmatica. Ma nel corso dello sviluppo evolutivo, per le pressioni negative dell’ambiente, questo funzionamento sano può andare incontro ad alterazioni: si perde la capacità di ritrovare vari tipi di respirazione a seconda delle circostanze esterne, si perde la capacità di ritornare alla respirazione diaframmatica, e si resta intrappolati in un tipo di respirazione diverso che diventa cronico, permanentemente presente anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Se un bambino è spesso in allarme, impaurito, il diaframma si irrigidirà, il respiro sarà mozzato, e con l’andar del tempo non ritornerà più ad essere diaframmatico ma resterà sempre alto nel torace. Ecco perché la respirazione diaframmatica è quella che in terapia ci interessa, è quella che ha bisogno di essere recuperata, al fine di recuperare anche una importante capacità di regolazione dell’intero organismo, di recuperare allentamento, calma e benessere di fondo.

La respirazione diaframmatica profonda spontanea

La respirazione diaframmatica è anche definita profonda perché non è superficiale, ma arriva in profondità; ed è spontanea perché normalmente non è forzata. Il diaframma è quel muscolo che taglia trasversalmente il corpo, innestato sulle costole davanti e dietro la schiena. Il diaframma è un muscolo di tipo misto, volontario e involontario al contempo: funziona anche se non lo attiviamo volontariamente (assicurando la respirazione anche quando non ci pensiamo), ma può anche essere sollecitato volutamente per tirare sospiri più profondi quando ne sentiamo la necessità o il desiderio. Il diaframma è dunque un organo che fa da ponte tra uno stato più consapevole e un funzionamento di tipo più autonomo, vegetativo.

Inspirazione

Nell’inspirazione il torace resta fermo, calmo, abbassato, perché si deve espandere solo la parte inferiore dei polmoni (che ha una capacità volumetrica molto maggiore della parte superiore, più che sufficiente quindi ad assorbire l’ossigeno necessario a un funzionamento in situazioni tranquille). Per far espandere la parte inferiore dei polmoni il diaframma si abbassa e finisce per spingere verso il basso il pacco degli organi addominali, per cui il ventre si alza ma non per un’azione dei muscoli. Nello stesso tempo si sollevano anche le ultime costole per facilitare l’entrata dell’aria nel basso dei polmoni. Anche altri muscoli partecipano, pur se più indirettamente: quelli della schiena, delle spalle, e anche quelli del pavimento pelvico per favorire la discesa dell’aria verso il basso. L’inspirazione è dunque una fase attiva, di leggero e morbido sforzo che avviene abbastanza lentamente. Nel caso particolare sia necessaria una maggiore quantità di aria, dopo che si è riempita la parte bassa dei polmoni si riempie anche un poco la parte alta, e il torace si solleva un poco (successivamente all’addome). In un bambino piccolo si può notare con maggiore evidenza che l’inspirazione è un movimento complessivo che prende quasi tutto il corpo. Nell’inspirazione Il corpo si espande, la curvatura della colona vertebrale tende a raddrizzarsi, cosicché gli estremi della testa e delle vertebre “caudali” tendono ad allontanarsi tra di loro.

Espirazione

La fase di espirazione è generata dal semplice rilasciarsi della muscolatura, di tutta la muscolatura interessata alla respirazione. L’aria allora esce non più trattenuta perché a pressione leggermente superiore a quella esterna, aiutata anche dall’allentarsi dei muscoli (il diaframma risale e le costole si abbassano) che tendono a contrarre leggermente i polmoni. L’aria esce molto più rapidamente di quando è entrata, come un palloncino che si sgonfia. Non viene forzata fuori, ma esce spontaneamente. Quando invece l’espirazione è prolungata vuol dire che l’aria viene trattenuta rispetto al suo uscire spontaneo, e che i muscoli non si sono allentati completamente ma vengono rilasciati solo a poco a poco in modo controllato, perdendo la modalità del movimento spontaneo e naturale, e perdendo anche l’effetto di stimolare la parasimpaticotonia, così come vedremo più avanti. La fase di espirazione deve essere caratterizzata non da uno sforzo, ma al contrario da un lasciare profondo. Se nell’inspirazione si erano riempite anche le parti alte dei polmoni, nell’espirazione si abbassano quasi contemporaneamente addome e torace, ma leggermente prima l’addome. Al contrario che nella fase precedente, testa e “coda” questa volta si riavvicinano, l’intero corpo tende a svuotarsi, ad ammorbidirsi, a raggomitolarsi, in una sorta di distensione generale.    

Gli effetti della respirazione diaframmatica

Il diagramma della figura 1 mostra l’andamento nel tempo di un intero ciclo respiratorio nel caso di respirazione diaframmatica profonda spontanea, messo in relazione anche con l’andamento della simpaticotonia e della parasimpaticotonia (sull’asse verticale). Si noti innanzitutto come la fase inspiratoria sia più lunga di quella espiratoria, poiché quest’ultima è soltanto un lasciare i muscoli e permettere che l’aria esca da sola, senza forzarla e senza neppure trattenerla. Importanti sono anche le durate della pause: brevissima dopo l’inspirazione e molto più lunga quella dopo l’espirazione. I tempi sono grosso modo i seguenti nel rapporto l’uno con l’altro: 4 per l’inspirazione, quasi 0 per la pausa dopo l’inspirazione, 2 l’espirazione, e 2 la fase dopo l’espirazione. Se si monitorizza la frequenza del polso durante un intero ciclo respiratorio si noterà come il battito cardiaco acceleri un poco durante l’inspirazione e rallenti sia durante l’espirazione che nella pausa post-espirazione. Se questa pausa dura troppo la frequenza del battito cardiaco tende nuovamente a riaumentare. Ora, dal momento che la frequenza del battito cardiaco è uno degli indicatori classici dello stato di attivazione del neurovegetativo, possiamo dire che di pari passo con l’alternanza inspirazione-espirazione (che è anche alternarsi di attivazione-lasciare) procede l’alternarsi simpaticotonia (sistema della vigilanza e dell’attivarsi di fronte al pericolo) parasimpaticotonia (sistema della calma e della tranquillità). Dal diagramma si rileva anche che se la espirazione non fosse spontanea a lasciare (ma allungata e controllata, o forzata e alterata come nella respirazione prevalentemente toracica) finirebbe per prevalere il sistema simpaticotonico perché non si avrebbe un pieno recupero della fase parasimpaticotonica del lasciare. Solo la respirazione diaframmatica profonda spontanea assicura un prevalere del sistema della calma e della tranquillità.

Le alterazioni della respirazione

Abbiamo visto come durante lo sviluppo evolutivo e la vita della persona la respirazione possa alterarsi in modo cronico. Vediamo quali tipi di respirazione alterata si possono riscontrare.

Respiro toracico

In questo tipo di respiro il diaframma e la pancia sono quasi immobili, il respiro è tutto a carico del petto e della parte alta dei polmoni. Vi si può osservare una certa sconnessione tra la parte alta e la parte bassa del corpo.

Toracico alto

E’ un caso ancora più esasperato di respiro toracico. Pancia e diaframma comunque non vi partecipano, ma in questo caso neanche il torace si nuove molto perché è gonfiato, cronicamente sollevato. Il respiro è portato completamente verso l’alto, quasi in gola. Modalità simili si presentano quando una persona prova un forte spavento e resta col “fiato mozzato”. In tutti i casi di asma si rileva un respiro toracico alto: il petto è gonfio e le condizioni di spasmo ai brancheoli polmonari sono molto probabilmente sollecitate da questo sovraccaricare continuamente la parte alta dei polmoni.

Respiro in inspirazione cronica

Nell’inspirazione l’aria viene come inghiottita, è come rumorosamente risucchiata dalla “gola”, ma poi stenta a essere rilasciata. Il respiro è trattenuto in inspirazione e soltanto dopo un intervallo interviene l’espirazione. Nell’esperienza comune, quando si cerca di concentrare le proprie forze per resistere, per sopportare, si ricorre a questo tipo di respiro, si tende a mantenere l’inspirazione. Sembra che il mantenere l’inspirazione abbia un effetto anestetizzante sul dolore: i bambini prima di un’iniezione tirano il respiro e trattengono il fiato.

Respiro scoordinato

In questo tipo di respiro non c’è armonicità nell’onda respiratoria: i tempi di espansione di addome e torace sono sfalsati tra di loro e cambiano continuamente. Il torace può sollevarsi a volte prima dell’addome a volte dopo, svuotamenti reiterati del torace possono essere inframmezzati da movimenti dell’addome. In genere si ha questo tipo di respiro quando c’è forzatura e controllo dell’atto respiratorio, quando l’atto respiratorio non è spontaneo.

Respiro a scatti

Qui il movimento del diaframma è possibile ma non è fluido né morbido perché i muscoli sono ancora abbastanza tesi: si attivano e si rilasciano con degli scatti che producono un caratteristico ritmo frammentato. E’ tipico nei bambini quando, dopo un pianto dirotto a singhiozzi, tirano finalmente respiri più lunghi, respiri che sono scossi da sobbalzi perché diaframma e muscoli della respirazione non si sono ancora rilasciati del tutto.

Respiro addominale con cotraccolpo

L’addome si muove ma durante l’espirazione, mentre si sta abbassando, è visibile un contraccolpo verso l’alto generato da un ritorno della contrazione muscolare della fase inspiratoria. E’ un piccolo sussulto, come se intervenisse un timore, un ripensamento, nel lasciarsi andare completamente nell’espirazione.

Respiro falsamente diaframmatico

Il diaframma apparentemente sembra muoversi dal momento che l’addome si solleva. In realtà la persona agisce sui muscoli della pancia per sollevarla e il diaframma è teso e quasi del tutto immobile. Ne è una riprova il fatto che la quantità di aria effettivamente immessa nei polmoni è in realtà esigua, proprio perché il movimento era dei muscoli addominali e non del diaframma. Spesso il soggetto che respira in questo modo lo fa perché sente il bisogno di ritrovare una respirazione diaframmatica e ci prova, ma gli sforzi finiscono per accentrarsi su un distretto muscolare che è estraneo alla respirazione vera e propria.

La respirazione in terapia

Da tutto quanto detto fin qui, risulta fondamentale in terapia recuperare la respirazione diaframmatica profonda spontanea. Ogni Funzione psicocorporea dell’organismo se si altera può restare chiusa in cortocircuito su se stessa, per cui non è sufficiente prenderne coscienza per poterla rimodificare; lo stesso vale per la respirazione. E’ necessario allora intervenire direttamente sulla Funzione respiratoria, allentando con il massaggio i muscoli contratti, tenendo abbassato il torace per fare alzare l’addome, aiutando a “lasciare” nell’espirazione con l’aiuto delle mani, richiamando con il contatto l’aria verso il basso, e utilizzando molte altre tecniche specifiche. Se il respiro è alterato (e lo è quasi sempre nelle persone che vengono in terapia visto il suo importante ruolo di regolatore) non ha assolutamente senso amplificarlo così com’è, perché non si farebbe nient’altro che rafforzare qualcosa che non funziona. Non solo, ma così facendo si rischia anche di provocare sensazioni niente affatto utili alla terapia se non addirittura dannose; giramenti di testa troppo forti, piccoli collassi, nausee intense, visioni alterate, e soprattutto “tetanie” (dolorosi irrigidimenti a carico soprattutto delle mani e delle braccia, ma anche della bocca e progressivamente di altre parti del corpo, dovuti a particolari proteine scatenate da una iperossigenazione troppo forzata e prodotta in condizione simpaticotonica). Anni fa, quando le terapie a mediazione corporea erano esageratamente volte a forzare, a smuovere, a “sbloccare”, ci si imbatteva troppo spesso nell’incidente della tetania, e il paziente doveva subire senza alcun motivo queste situazioni di contrazione, di dolore e di immobilità che erano quanto meno inquietanti, ma che per alcuni di essi erano addirittura molto angoscianti. A volte ci si è spinti così in là nel forzare la respirazione alterata, senza prima cambiarla, che l’irrigidimento si diffondeva in tutto il corpo, con successive crisi di tremiti violenti e di convulsioni che venivano erroneamente considerate come un effetto “liberatorio”. In altri casi si è voluto “giocare” volutamente sugli effetti forti della respirazione, cercando appositamente queste sensazioni così immediate e intense, anche sceniche, come qualcosa che colpisce enormemente il paziente; un qualcosa che però, in realtà, non è assolutamente utile alla terapia e al cambiamento. Bisogna dunque porre molta attenzione a trasformare il respiro alterato, a cambiare realmente situazioni di non funzionamento piuttosto che lasciarle uscire, assecondarle. E operando in questo modo si scopre che non ci si imbatte assolutamente più in incidenti come la tetania. Anzi, restaurare la respirazione diaframmatica produce una serie di effetti estremamente positivi e utili al cambiamento, e perciò rappresenta uno dei punti centrali da curare lungo tutto il percorso della terapia. Innanzitutto si cominciano a riaprire le sensazioni che erano chiuse: piccole correnti vitali che fluiscono nel corpo, sensazioni di allentamento e di torpore, stanchezza e voglia di fermare l’eccessivo movimento di una vita troppo stressante. In secondo luogo aumenta il contatto con se stessi e con le proprie emozioni e anche con ciò che non funziona tanto bene nel nostro corpo. E infine si producono intense sensazioni di benessere, di leggerezza o di pesantezza, di galleggiamento, di calma, di serenità.

Il problema del cambiamento

Il problema del cambiamento è un problema di fondo di tutta la psicoterapia e anche della Psicoterapia Corporea. Qui in particolare può assumere l’aspetto di una mitizzazione del corpo, come se il corpo fosse automaticamente capace di portare salute nella vita delle persone. In certi ambienti si dice ancora oggi che il corpo è dimenticato, che dobbiamo rimpossessarci del nostro corpo, che il corpo rivela, che il corpo è saggio, che bisogna seguire il corpo. In realtà le cose stanno molto diversamente. Innanzitutto il corpo non è mai perduto ma è sempre ben presente nella nostra vita, né potrebbe essere altrimenti perché non saremmo vivi. Casomai quella che si può perdere in parte è la consapevolezza di come funziona il nostro corpo; ma recuperare questa consapevolezza è soltanto uno dei passi da compiere in un processo terapeutico e forse nemmeno il più importante. Il corpo inoltre può alterarsi nel suo funzionamento tanto quanto lo può la mente. Per essere più precisi, è l’unità mente-corpo nella sua interezza che si ammala, cioè che vede i suoi funzionamenti alterarsi. Se il respiro si è alterato contribuirà a farci stare male, e non è semplicemente respirando più intensamente che si ritrova la strada della salute. E dunque non c’è un corpo da ritrovare, da seguire così come funziona; ma c’è invece un corpo da far funzionare nuovamente bene, da modificare nei suoi funzionamenti alterati che creano malessere.

Le ricerche

Le figure 2 e 3 illustrano alcuni significativi risultati delle ricerche da me condotte sulla restaurazione della respirazione diaframmatica, e sugli eff etti che si sono resi visibili. La figura 2 mostra come la frequenza del battito cardiaco scenda sempre, e notevolmente, quando sia stata restaurata questa respirazione durante una seduta di terapia. Le varie frecce rappresentano la frequenza del battito cardiaco all’inizio e alla fine di altrettante sedute raggruppate per soggetti. In alcuni dei casi, la persona aveva all’inizio di seduta una frequenza cardiaca molto elevata per la presenza di uno stato febbrile. I due grafici della figura 3 illustrano, invece, le modificazioni che insieme si producono (sempre per effetto della restaurazione della respirazione diaframmatica nel corso di una singola seduta) della temperatura corporea periferica (in particolare delle mani), dello stato di sudorazione e del battito cardiaco. Il primo grafico si riferisce a situazioni tipiche di inizio terapia. Si noti come questi parametri, tutti e tre indicativi dello stato di equilibrio del sistema neurovegetativo (simpatico-parasimpatico), si modifichino nel corso della seduta, ma non per forza in modo congruente tra di loro. Molto spesso, infatti, si è ingenerata nella storia del soggetto una condizione di scissione di Funzioni all’interno dello stesso sistema neurovegetativo, per cui le tre Funzioni non hanno più un andamento coerente tra di loro. Del resto non è raro imbattersi in persone che hanno le mani sempre sudate (pur non avvertendo paura o disagio) ma non il battito accelerato; oppure tachicardie ma senza alterazioni di pressione o di sudore. In questo caso la temperatura periferica tende a diminuire invece di aumentare e il battito cardiaco non diminuisce quanto diminuisce la sudorazione alle mani. Il secondo diagramma mostra come, con il procedere della terapia, i tre indicatori del neurovegetativo finiscano per divenire congruenti, le Funzioni finiscano per riconnettersi e integrarsi nuovamente tra di loro. Alla fine della seduta, se si è raggiunta in pieno la respirazione diaframmatica, si ha sempre un abbassamento della frequenza cardiaca, una diminuzione della sudorazione, e un innalzamento della temperatura periferica. Ciò sembra dimostrare che con la respirazione diaframmatica si ritrova sempre una condizione di parasimpaticotonia piena, osservabile anche attraverso le sensazioni di ammorbidimento, di tranquillità, di benessere che il soggetto prova, nonché dallo spianarsi dei tratti del volto, dal fermarsi dei movimenti, dall’allentarsi delle tensioni.

Tutto ciò rafforza la consapevolezza di quanto sia importante proseguire nella direzione di queste ricerche, per comprendere sempre meglio uno dei più importanti fattori di regolazione generale del nostro organismo e della nostra vita.