Luciano Rispoli psicoterapeuta: Nuove prospettive scientifiche nei processi formativi.

in L.Rispoli, G.d’Alfonso (a cura di) “I nuovi orizzonti della Psicoterapia. Annali 3 della Scuola Europea di Formazione in Psicoterapia Funzionale Corporea” – Ed. SIF, Napoli 1993.

Il seguente articolo tratta le recenti prospettive scientifiche per le potenzialità di sviluppo e per i propcessi formativi, attraversando le premesse sociali e le caratteristiche dei servizi sanitari, fino ad arrivare alla formazione nei servizi attraverso un modello operativo integrato.


luciano rispoli psicoterapeuta nuove prospettive (2)

Premesse psicosociali

I grandi cambiamenti politici e sociali si accompagnano e favoriscono i grandi cambiamenti del pensiero scientifico e di quello culturale più in generale. Le sclerotizzazioni dei punti di vista si frantumano insieme a vecchi pregiudizi e a false certezze ammuffite. Mentre sulla scena dell’Europa dell’Est la storia, nella sofferenza, ci mostra una delle sue accelerazioni, verso un ulteriore sviluppo del vivere umano; mentre sul pianeta alle soglie dell’anno 2000 il pericolo della non sopravvivenza costringe noi tutti ad alzare gli occhi, levandoli dal proprio piccolo e meschino orizzonte, anche nel nostro paese cambiamenti che sino ad ieri sembravano impensabili si manifestano al di là di ogni previsione. Il nostro Est è il crollo di credibilità dei partiti, la stanchezza oltre ogni limite verso il dilagare della delinquenza, della degradazione sociale, dell’inquinamento, della paralisi dei governi centrali e locali. E tale stanchezza si manifesta con spostamenti massicci dell’elettorato (ladddove sino a ieri le percentuali cambiavano al massimo di qualche piccolo punto), mentre il logoramento di vcchie istituzioni si manifesta a tutti i livelli, in forma di polemiche violente tra i vari poteri, dove però finalmente la verità comincia a mostrarsi “nuda”, senza più falsità e imbrogli che la ricoprono ad arte. Tutto ciò costringe la gente a veloci movimenti di pensiero, a non basarsi più su pregiudizi stereotipati, a sforzi innovativi, a mobilizzare capacità e funzioni arrugginite. Certo c’è il pericolo che questi movimenti vadano in direzioni folli, che tentino di nascondere le angosce esistenziali con soluzioni inconsistenti se non autodistruttive. Ma il compito della scienza e della cultura in questi casi è proprio quello di riportare questo potenziale creativo verso direzioni di progresso, non solo tecnologico ma anche umano. E questo oggi è possibile, anche grazie all’incrementarsi di studi e ricerche sullo sviluppo dell’individuo, grazie all’insorgere di nuovi paradigmi teorici che sanno inquadrare i complessi processi della crescita e della formazione. La psicologia clinica, i modelli di psicoterapia in senso lato, le teorie più avanzate sulla struttura complessiva del Sé, possono dare un aiuto fondamentale per superare definitivamente le logiche della formazione di tipo cognitivo, per lo sviluppo di nuove capacità visuali, indispensabili (in un’epoca di tali cambiamenti) per tutti coloro che operano a contatto con altre risorse umane, che intervengono direttamente sulle potenzialità e sugli equilibri di altre persone. Un posto particolare in questo settore lo ricoprono gli operatori di servizi e strutture che si occupano della salute come imprescindibile bene sociale.

Caratteristiche dei servizi sanitari

Al di là dell’analisi delle disastrate condizioni in cui versa il servizio sanitario pubblico oggi in Italia, in questa sede ci interessa sottolineare gli elementi caratteristici fondamentali di qualsivoglia struttura che operi sui problemi della salute, pubblica o privata che sia, purché non nel chiuso e limitato spazio degli studi privati. Parliamo dunque di ospedali come di cliniche, di ambulatori e di centri di intervento a differenti livelli, che operino comunque con una domanda generalizzata e un’utenza diffusa nella popolazione. Orbene le qualità fondamentali di un tale servizio territoriale si incentrano su due aspetti profondamente interdipendenti tra loro: la capacità operativa e la adeguata formazione degli operatori. La capacità operativa è elemento indispensabile quando si pensi di dovere far fronte ai bisogni di salute e benessere della popolazione, oggi sempre più pressanti e consapevolmente affermati. Il peggiorare della qualità della vita e l’incalzare di pericoli catastrofici a livello ecologico ha gradatamente portato le persone ad accorgersi di star male, e per questo a sostenere con sempre più forza il diritto a star bene, in ogni senso. Avere strumenti sempre più efficaci, non limitati al solo campo medico è divenuta dunque una delle esigenze imprescindibili di un servizio sanitario: intervenire su vari livelli, potenziare reciprocamente gli effetti degli interventi, integrare le conoscenze di più discipline scientifiche, non è più solo un’interessante opzione, ma una necessità irrinunciabile. Tutto ciò porta in primo piano le esigenze di una formazione adeguata, di una formazione permanente, che non si limitino ai soli contenuti, ma capaci di mettere le équipes di operatori in grado di funzionare nel migliore dei modi, con la massima capacità, cioè, di sinergia. Anche la formazione permanente va intesa in tal senso, perché non è importante tanto aggiornare gli operatori su nuove conoscenze acquisite (spesso è proprio nei servizi che emergono nuove tecniche e nuovi strumenti), quanto compartecipare le conoscenze, modificare atteggiamenti, trasformare le qualità, potenziare le capacità, sviluppare nuove alternative.

 Il ruolo della psicologia clinica nella formazione

I pregiudizi sulla invalicabilità delle barriere tra una disciplina scientifica e l’altra stanno oggi definitivamente cedendo il passo alle enormi prospettive che si dischiudono, al contrario, nell’integrazione di quadri teoretici differenti, di punti di vista collocati su livelli e piani diversi. Non si tratta tanto di utilizzare qualche nuova tecnica che di tanto in tanto si affaccia con maggior o minor successo sui mercati della formazione (specie di quadri manageriali), spesso seguendo l’andamento di mode che ci arrivano d’oltreoceano. Vogliamo qui affermare invece che è un cambio di mentalità che sta a poco a poco imponendosi, di cui l’entusiasmo per delle tecniche innovative, poco ortodosse o addirittura con contenuti completamente diversi da quelli che si usavano per addestrare al compito, sono nient’altro che un indizio. Invece di correre dietro a mode “importate” faremmo meglio a cogliere in tempo utile questo possibile cambiamento di impostazione, utilizzando tutto il potenziale che abbiamo già oggi a disposizione nel campo della psicologia clinica e della cultura della “psicoterapia” intesa in senso lato (non quella dei lettini negli studi privati, tanto per intenderci). Possiamo dire senza tema di smentita che questo potenziale esistente in Italia è oggi (nelle sue ricerche di frontiera, nei suoi perfezionamenti, nelle nuove scoperte che si sono fatte e si vanno facendo) tra i più avanzati al mondo. La cultura delle psicoterapie può dunque irrorare beneficamente il campo della formazione (specie dei quadri medio-alti e dei servizi sanitari) a patto che vengano rispettate due condizioni basilari:

1- Deve essere messo a punto un modello teorico generale sul funzionamento e sulla strutturazione del Sé (come viene oggi inteso, non limitato alla autopercezione soggettiva), sul formarsi e sullo svilupparsi della personalità, sulle trasformazioni e l’incremento delle capacità. Si parla qui di un modello teorico complessivo da cui possa scaturire come logica conseguenza una teoria della tecnica, e non di tecniche meramente intese; un modello teorico scientificamente completo.

2- Tale modello scientifico, oltre ad essere congruente al suo interno ed in accordo con le più recenti scoperte in settori e discipline contigui, deve essere in grado di considerare i numerosi aspetti che si intrecciano all’interno di una relazione (sia essa medico-paziente, dirigente-funzionario, operatore-utente più in generale). E’ necessario dunque che la cultura psicologico-clinica si attrezzi nel senso di ampliare i propri moduli interpretativi per abbracciare i fenomeni complessi che intervengono nella “formazione” come trasformazione della personalità. Bisogna aggiungere che numerosi elementi interessanti in tal senso stanno emergendo: è perciò sufficiente utilizzare ed incrementare quegli approcci già esistenti che sono in grado di inquadrare contemporaneamente i vari piani sui quali si dipanano i processi di funzionamento degli individui, dei gruppi, delle équipes, delle istituzioni.

In termini concreti ciò vuol dire tenere in considerazione non solo gli elementi cognitivi e razionali, ma anche gli aspetti emotivi, i livelli della comunicazione non verbale, i toni di voce, le posture, le espressioni, tutti i tipi differenti di movimenti, i gesti e gli atteggiamenti, le fantasie e le immaginazioni, il mondo del simbolico come quello dei valori, il funzionamento stesso dell’organismo umano anche sui piani più interni e microbiologici. Si tratta dunque di sviluppare teorie complessive che, indagando sui vari livelli del Sé, sulle sue leggi di funzionamento, sui vari piani di interrelazione, siano in grado di dare un contributo realmente innovativo alla formazione; e non solo trovando di tanto in tanto delle tecniche interessanti, ma rendendo affascinante e “divertente” al contempo l’intero processo formativo, proprio perché in grado di penetrare in tutti gli spazi e quindi di fornire risposte profonde alle reali esigenze delle persone in formazione.

La formazione nei servizi: un modello operativo integrato

Questo capitolo si basa su esperienze di formazione condotte in strutture sociosanitarie afferenti a realtà eterogenee e diverse, quali un servizio territoriale di una USL di Brescia, un servizio di una USL della provincia di Padova e un centro privato di salute mentale di Catania. Il senso della proposta, al di là dei particolari delle tecniche e delle metodologie impiegate, è quello di un lavoro su più versanti contemporaneamente: sui singoli operatori, sull’équipe e le sue caratteristiche funzionali, sulle caratteristiche “al contorno” del servizio stesso. Un secondo aspetto, strettamente correlato col primo, riguarda poi le possibili maniere di operare con l’utenza, utilizzando appunto più livelli del Sé, vari piani di funzionamento psicocorporeo; il tutto non insegnato solo attraverso la teoria, ma anche attraverso seminari e laboratori costituiti di esperienze concrete che gli operatori possono sperimentare innanzitutto su se stessi. Il vantaggio di un modello multifunzionale, come proposta operativa, è sia nella diagnosi che nell’intervento.

DIAGNOSI

Nella diagnosi gioca un ruolo positivo ed utile la costanza della struttura funzionale del soggetto. Se alcuni elementi del Sé, infatti, possono essere influenzati dalle condizioni del setting, dalla maniera di essere dell’operatore sanitario, dalle condizioni di tutto il servizio, altri elementi non ne sono alterati e possono perciò rivelare (su di altri piani) le disfunzioni esistenti, in maniera del tutto indipendente dalle condizioni ambientali del momento. Una respirazione alterata, un’espressione stereotipata del viso, un’alterazione del tono muscolare di alcune zone corporee, i segni di fantasie terrifiche, saranno inequivocabilmente presenti, al di là della tranquillità o meno del paziente, della sua volontà, del senso di sicurezza o di fiducia che prova nei confronti dei medici o del servizio. Ciò permetterà di formulare una diagnosi delle condizioni del Sé anche in situazioni non protette e disturbate, e comunque in condizioni differenziate a seconda del tipo di servizio e di centro sanitario in questione.

INTERVENTO MULTIFUNZIONALE SULL’UTENZA

Ma anche nella tecnica operativa, un modello multifunzionale permette di approcciare la persona da più piani differenti, e in particolare da quelli sui quali è possibile interrompere meglio un “cortocircuito” stereotipato e ripetitivo di funzionamento, da quelli che permettono risultati tangibili immediati, da quelli meno spaventosi. Se si risponde concretamente alle richieste di aiuto dei pazienti, riuscendo a dare un immediato sollievo ad alcuni disturbi (ad esempio le cefalee, le nausee, le vertigini, i dolori muscolari in alcune zone del corpo, le tachicardie) che accompagnano sempre disfunzioni sia di tipo strettamente “medico” che di tipo “psicologico”, si alleviano sin dagli inizi l’ansia del paziente sulla “guarigione” e l’angoscia sui sintomi, si rafforzano fiducia e positività, si permette di intervenire con più calma sui disturbi più profondi. Oltre a questa concretezza può giocare un ruolo altrettanto fondamentale l’intensità degli effetti che si riescono a raggiungere con un modello così calibrato, capace di utilizzare più piani di intervento. L’intensità degli effetti, sui vari piani del Sé, infatti, sconsiglia di realizzare interventi troppo ravvicinati e permette di diminuire la frequenza delle visite o delle sedute: il che per un servizio di utenza diffusa è di importanza non certo irrilevante.

INTERVENTO INTEGRATO DEL SERVIZIO

E’ possibile, una volta messo a punto un modello capace di analizzare le caratteristiche di funzionamento anche dell’intero servizio, proporre operativamente un intervento su più livelli, in modo che la struttura possa utilizzare al pieno le sue capacità. Si tratta di fare in modo che l’utente abbia un aiuto non solo a livello specialistico, caratteristico del particolare servizio, ma anche a livello delle potenzialità umane e quindi terapeutiche di tutto il personale che vi opera, in maniera sinergica, e a livello del potenziale tecnologico e strutturale esistente.

Un esempio riguardante un servizio di salute mentale può rendere meglio l’idea.

L’intervento integrato in questo caso si compone di:

1.Intervento diretto ed individuale, più strettamente definibile come psicoterapia individuale, possibile in un contesto di servizio alle condizioni prima analizzate, secondo una modalità appunto multifunzionale.

2.Intervento di gruppo, che a sua volta può specificarsi in:

2a.Terapeutico in senso stretto, con tutte le caratteristiche di notevole efficacia e di possibilità di trattamento contemporaneo di più persone, che sono proprie dei gruppi.

2b.Mobilizzazione. Vengono intese con questo termine tutte quelle attività che in un servizio di day-hospital possono essere svolte al di fuori del momento strettamente psicoterapeutico, e che danno un contributo notevolissimo al lavoro di riequilibratura delle disfunzioni e dei disturbi dei pazienti. In questo caso, però, tali attività (che vanno dalla pittura alla manipolazione, dalla musica alla danza, dal teatro al gioco, dalla ginnastica allo sport) non sono proposte indistintamente, ma vengono progettate per le specifiche esigenze del gruppo di pazienti in questione, appositamente calibrate per loro, grazie ad una diagnosi che permette di rilevare quali sono i processi funzionali carenti, immobilizzati, limitati, alterati prevalentemente negli individui e nell’entità funzionale dell’intero gruppo.

3.Condizioni al contorno, relative alle caratteristiche del servizio e dei rapporti che i pazienti hanno in generale, sono a loro volta suddivisibili in:

3a.Rete di relazioni. Viene intesa come la possibilità di intervenire sugli elementi affettivi più importanti con cui i pazienti si relazionano, modificandone per quanto possibile gli atteggiamenti, le propensioni, il modo di porsi verso i pazienti stessi. Parliamo dunque della famiglia, della scuola, delle amicizie, dei colleghi di lavoro.

3b.Coloriture del servizio. Intendiamo l’atmosfera che il servizio presenta in modo preponderante, e che può favorire lo svilupparsi di alcuni aspetti e di alcuni piani del Sé a discapito di altri. Anche qui è possibile indirizzare tali coloriture a seconda delle necessità degli utenti, specie se sono costituiti da un gruppo che frequenta il sevizio in modo continuativo.

Alla coloritura possono contribuire tutti gli operatori, e in primo luogo naturalmente gli infermieri, modificando condizioni stereotipate che, create dai pazienti, o anche da determinate caratteristiche del servizio, possono influire profondamente sullo stato di salute degli utenti, in senso negativo o positivo. Basti pensare a come si possano potenziare certi aspetti del Sé, o meno, per capire che un’atmosfera che privilegi la “serietà” possa essere molto diversa da un’atmosfera amichevole, come sia possibile potenziare un’aggressività diretta o chiusi rancori, una lentezza o una vivacità, un senso della tragicità o una capacità di sdrammatizzare, una cultura del “non detto” o una dell’apertura, un’atmosfera agitata o calma, silenziosa o piena di suoni, austera o gioviale, chiusa nel grigio o squillante di colori, fatta di ritmi scattanti o di tempi morbidi. Come si può intuire da questi brevi accenni, le possibilità di operare sui differenti piani e livelli del Sé si dischiudono a una serie di iniziative estremamente varie ed estremamente interessanti.

Senza avere la pretesa di voler qui tirare alcuna conclusione ( che risulterebbe troppo affrettata e precoce), possiamo però dire che la formazione può sempre di più acquisire caratteristiche simili e parallele a quelle “terapeutiche” in senso lato, a quelle operative che si rendono possibili in un servizio, fatte di interventi integrati a più livelli, di proposte differenziate e ricche, sulle quali il cammino è appena iniziato, ma che sicuramente aprono un’era completamente nuova, piena di promesse per lo sviluppo sociale umano, forse capace di sconfiggere il degrado e il pericolo di catastrofi che incombono sempre più cupamente sulle nostre esistenze.

Potenziali di sviluppo di portata generale

L’essere umano è l’animale che cresce con il più lungo periodo di neotenia, durante il quale cioè egli deve mettere a punto capacità e conoscenze che non sono già direttamente programmate nel patrimonio genetico, e per questo suscettibili di svilupparsi in modo molto ampio rispetto al mondo animale. Ma è pur vero che ciascun individuo durante il periodo di neotenia può sviluppare più o meno (in una gamma molto differenziata) maturità di pensiero, capacità, conoscenze, a seconda del suo personale cammino. E questa variabilità è così ampia che ci mostra (al di là della semplice ereditarietà) persone che soffrono, si ammalano, si ripiegano su di sé, e altri che vivono una vita di benessere e di salute fisica e mentale; gente che non va al di là del proprio ristretto campo visivo e pensatori di ampio respiro; persone che sviluppano capacità creativa ed individui stolidi che distruggono soltanto; uomini capaci di alte visioni morali e sordidi delinquenti. L’umanità intera, si può dire allora, è ancora nel suo periodo di neotenia, perché nella sua breve storia di vita sul pianeta terra (brevissima se confrontata alla presenza delle altre specie viventi) sta ancora cercando di sviluppare le sue potenzialità, in tentativi a volte maldestri, a volte addirittura disastrosi, a volte invece estremamente validi ed emozionanti. Ciò che è importante capire è che alla neotenia dell’umanità concorrono in maniera determinante le neotenie dei singoli individui. Ed è perciò che la scienza, oltre a guardare in modo più generale allo sviluppo tecnologico e sociale, deve anche affrontare in maniera molto seria ed articolata il problema dello sviluppo, della crescita interiore e della formazione delle persone, a cominciare dall’importantissimo periodo dell’infanzia. Da una condizione di grandi cambiamenti di pensiero può nascere sempre più chiara la consapevolezza che sulle risorse umane abbiamo agito veramente molto poco sino ad oggi: che abbiamo operato comunque in modo settoriale, puntando troppo sulle sole conoscenze di tipo cognitivo, studiando faticosamente i meccanismi di apprendimento  o quelli emotivi sganciati gli uni dagli altri, oppure sganciati dagli altri piani e livelli di cui è costituito l’individuo, quella struttura globale che può essere definita come “Sé”. Ancora troppo poco si è guardato ai complessi meccanismi psicocorporei dell’organismo in una visione complessiva ed integrata, preferendo piuttosto una ricerca specialistica che tropo spesso è diventata meccanicistica e settoriale. La parola prevenzione è ampiamente citata in tutti i lavori scientifici, ma in realtà molto poco si sa del funzionamento del Sé in modo da poter veramente operare prima che le alterazioni siano intervenute. Dei processi di sviluppo dell’infanzia ci si sta interessando da non molto tempo, essendo la scienza orientata sino a poco fa a capire come si doveva educare, più che far sviluppare armonicamente le enormi potenzialità dell’essere umano. Dei bambini comunque ci si occupa ancora troppo poco, muovendosi per salvarli dalla morte precoce, indignandosi per le violenze che ancora li investono, e lasciando poi a poche elucubrazioni psicoanalitiche, di difficile applicazione pratica per giunta, il compito fondamentale di studiare lo sviluppo della personalità, di analizzare i processi di formazione, sia nell’infanzia, sia successivamente in età adulta. Il grosso cambiamento sociale e di pensiero a cui stiamo assistendo potrebbe essere una ulteriore importante occasione per comprendere (e non solo con la testa) che è in questa direzione che bisogna oggi utilizzare la maggior parte delle nostre energie, sia a livello teorico che applicativo. La psicologia clinica, le teorie del Sé oggi alla frontiera, le conoscenze avanzate e di confine sui processi di funzionamento psicocorporeo, vanno sviluppate ulteriormente ed utilizzate in pieno nel campo della formazione a tutti i livelli; poiché è nella formazione, nello sviluppo delle potenzialità, nella crescita individuale e sociale (molto più che in quella tecnologica) che sono riposte le speranze che la neotenia del genere umano conduca finalmente ad una umanità adulta, capace di progettare e realizzare il benessere degli individui, dei gruppi, delle specie e dell’intero pianeta.