Luciano Rispoli psicoterapeuta: Mobilità, alterazioni e rendimento dei processi psico-corporei in Vegetoterapia.

in “Movimento” Rivista di Psicologia dello Sport, Roma, 1988.

Luciano Rispoli, Presidente della Società Italiana di Psicoterapia Funzionale e Corporea. Napoli, cerca di rispondere nell’ottica reichiana, a tre interrogativi: perché lo sport migliora le condizioni di esistenza soltanto in alcuni individui, perché metodi identici di allenamento danno risultati diversi, quali sono gli effetti dello stress sulle differenti strutture della personalità.


Alcune delle domande fondamentali che si deve porre oggi la moderna Psicologia dello Sport toccano i delicati problemi di equilibrio tra risultati e rendimenti da una parte e salvaguardia dell’armonia e dell’integrità della personalità dall’altra.
L attività agonistica. nella quale si spinge continuamente l’atleta a superare i limiti precedenti, è un laboratorio estremamente ricco per le ricerche sulle complesse interazioni tra i vari aspetti della personalità che vi sono sollecitati in maniera eccezionale (ma che pur sempre rispecchiano il funzionamento normale degli esseri umani).
D’altra parte lo sport è anche un’attività a cui si dedica una gran parte della popolazione, per cui è necessario capire cosa accade nell’organismo quando il movimento e lo sforzo vi giungono a volte come ristretta parentesi di un tipo di esistenza del tutto sedentaria e intellettiva.
Partiamo allora dalle seguenti domande:
– Come mai per alcuni individui lo sport assume capacita di migliorare le condizioni di esistenza, capacita «terapeutiche», mentre per altri non raggiunge gli stessi effetti?
– Come è possibile che identici metodi di allenamento diano poi risultati cosi diversi a seconda delle persone che li praticano?
Quali possono essere gli effetti dello stress psichico e fisico sulle differenti strutture di personalità e sulle diverse costellazioni caratteriali e somatiche delle persone?
Da questo tipo di domande si può iniziare a concretizzare una prima ipotesi di base fondamentale: non e possibile parlare di Psicologia e di Sport se non si guarda a una teoria di personalità e a un modello clinico complessivo, precisi e dettagliati. che comprendono lo sviluppo delle potenzialità nel bambino, le modalità e la forma in cui si arriva alla personalità dell’adulto, l’insorgere delle alterazioni, degli squilibri, delle patologie prima nell’uomo e in particolare nell’atleta.
Esistono infatti due aspetti del problema che messi insieme ci permettono di inquadrare quelle domande, e che possono essere riassunti sinteticamente come:
— la terapia dello sportivo
— lo sport come terapia.
A mio avviso le più recenti acquisizioni in alcune discipline scientifiche hanno modificato lo scenario su cui si collocano i quadri teorici complessivi che riguardano lo studio dell’uomo;
 soprattutto nel campo in cui psichico e corporeo si intrecciano e si influenzano reciprocamente, in un modo ancor più stretto ed evidente che in altri settori dell’attività umana. Dalle prime formulazioni ed intuizioni di Reich, su questa profonda interrelazione tra psiche e soma, siamo giunti a un modello più completo e più sistematizzato che vede nel cosiddetto Sé corporeo la struttura originaria dell’essere umano, il nucleo portante e profondo della continuità dell’esistenza, di una vita che si sviluppa in differenti relazioni affettive via via complessificandosi e ramificandosi in sfumature e in tonalità più ampie. Oggi. lontani dai dualismi del pensiero filosofico contemporaneo a Reich, noi guardiamo a questo nucleo non più come a una struttura bipolarizzata tra psiche e soma soltanto, ma come a un complesso di livelli multipli. di molteplici angolazioni e visuali, attraverso una sorta di visione dall’alto che ci permetta di cogliere contemporaneamente i vari piani funziona/i dell’organismo umano e il loro modo di interagire.
Ricordiamo come questa struttura del Se corporeo non si limiti alla parte di fisicità dell’essere umano. ma includa in un tutt’uno estremamente coinvolgente tutti quei processi funzionali di cui la scienza attuale ha verificato l’esistenza nel bambino sin dall’origine.
Le quattro grandi aree nelle quali possiamo suddividere questi processi sono:
1) l’emotivo, come capacita di connotare la scelta di relazioni e oggetti. di investire di senso tutto l’ambiente circostante;
2) il fisiologico, che comprende tutti gli apparati e i sistemi interni all’organismo. dal macro al micro;
3) il posturale. muscolare, morfologico. che tiene conto del modo in cui si sviluppa il corpo, delle forme che assume. della funzionalità dei movimenti e dei gesti, della capacita di prendere e modificare posture;
4) il cognitivo. simbolico. immaginativo. che riguarda l’elaborazione del pensiero su di se e sul mondo circostante, e la capacita di astrarre e rappresentare per immagini. cosi come quella di manipolare le immagini per anticipare e sperimentare il futuro.
Ora questa struttura del Se corporeo rivela che nel neonato tali aree sono profondamente interconnesse, che il movimento ha un senso, è un’emozione, e una modificazione dello stato fisiologico ed è pensiero.
Non si tratta qui di un pensiero non pensato. del protomentale Bioniano, di un’esistenza iniziale di tipo vegetativo dalla quale successivamente si staccherà un Sé mentale. Il Sé corporeo è una struttura che comprende i processi di pensiero creativo come quelli di pensiero logico sin dall’inizio, secondo numerose conferme che la scienza ci riporta da differenti sue branche. Il Sé corporeo non cede il posto a una prevalente vita mentale successiva. L’importanza delle impronte e dei fenomeni profondi, vissuti a livello biologico nello stato fetale o dopo la nascita, non si riduce ad un ricordo di quei periodi ancestrali, ma e ribadita dal perdurare di quei funzionamenti nell’organismo in tutta la sua vita.

Un tale tipo di modello fa entrare realmente all’interno di questo corpo-mente senza per forza dover sconfinare nelle scienze mediche della morfologia e della anatomo-fisiologia. anche se ci muoviamo in un’area della psicologia che e al confine con quest’altro tipo di discipline scientifiche. Possiamo dunque vedere cosa accade all’interno di quella che in taluni modelli e definita la b/ack-box del comportamento umano.
Quello che vogliamo comprendere è allora il modo con cui questa complessa struttura reagisce all’impatto con l’attività sportiva e con quella agonistica in particolare. come si dispongono le interazioni tra le varie aree del Sé, o tra parti di ciascuna area. sia alla luce della configurazione che esse avevano prima della pratica sportiva, sia in conseguenza di quest’ultima. Soltanto questo ci consente di mettere in pratica dei metodi di intervento che siano altamente specifici e quindi mirati ed efficaci per ogni determinata situazione.

Ci troviamo in un campo in profondo e rapido sviluppo, che la giustizia comunque delle approssimazioni fino a ieri presenti nello sport. Non si tratta solo di inventare e applicare nuove tecniche di rilassamento o viceversa nuovi incentivi stimolanti all’azione e al rendimento. D’altronde un atleta deve poter raggiungere facilmente entrambe queste condizioni alternandole opportunamente anche in momenti abbastanza ravvicinati l’un l’altro. Ma se lo sportivo è in condizione di continua patologica concentrazione, di stato di allerta, in vigilanza oppure se è in una cronica rilassatezza, in atonicità muscolare (che lo lascia calmo ma poco scattante e competitivo) il rendimento, l’efficacia e persino la soddisfazione saranno difficili e scarsi.
Sappiamo dai nostri studi in psicoterapia corporea che i blocchi muscolari sono dovuti ad un’alterazione cronica del tono muscolare di base: sia nel senso dell’ipotonia che dell’ipertonia. Può mancare cioè alla persona l’intera gamma di tonicità, o la possibilità di cambiare repentinamente la condizione muscolare e di adoperare il tono adatto nella situazione adatta. Ma sappiamo anche che tale limitazione di mobilita è in realtà dovuta a delle profonde scissioni che si instaurano a poco a poco. sconnettendo le varie aree del Se corporeo. In particolare si può registrare una separazione tra la strutturazione fisiologica della persona e il piano del movimento e delle posture, insieme ad una parallela scissione tra segnali propriocettivi e piano della consapevolezza.
Il movimento muscolare nello sforzo atletico si giustappone al tono muscolare di base, ma in realtà non lo modifica: cosi come alzare l’avambraccio con più o meno forza può essere del tutto indipendente dal peso reale portato dalla mano. L’emozione, incapsulata nella disfunzione fisiologica e non comunicata a livello di movimento espressivo. perdura e continua a produrre i suoi effetti invisibili su tutta la struttura della personalità.
Discorsi analoghi si possono fare relativamente ad altre sconnessioni che riguardino tra di loro, ad esempio, il sistema vegetativo ed il suo equilibrio, il mondo dalle emozioni, il pensiero cognitivo con l’espressione della volontà, e cosi via.
Da tutto ciò si può comprendere come il rendimento di uno sportivo possa essere insoddisfacente nonostante una meticolosa preparazione e un allenamento muscolare accurato, oppure come un buon rendimento finisca poi per essere pagato in termini di stress eccessivo, cioè di peggioramento del tipo di alterazione che era gia in atto nella persona, delle scissioni che erano già intervenuta nel corso della sua esistenza, come dimostrano le vicende particolari di alcuni campioni anche abbastanza famosi.
Questo tipo di impostazione ci permette dunque di cogliere con completezza (attraverso un’analisi di elementi sia psichici che corporei, su cui poggiarsi in maniera solida e scientificamente fondata) quali siano il quadro strutturale, la costellazione e la configurazione dei vari piani del Sé corporeo di ogni singolo individuo in quel momento della sua vita, per intervenire in modo adeguato.
Possiamo cosi, ad esempio. rispondere con maggiori cognizioni di causa alla terza domanda, quella sullo stress, poiché in alcuni soggetti lo stress di tipo fisico (dovuto sia all’attivit° sportiva che all’eccesso di allenamento), se non vi sia stata una riconnessione tra il piano del movimento e della percezione muscolare e quello della configurazione immaginativa e cognitiva. può produrre alterazioni patologiche insospettate. La persona, infatti, può non essere in grado di programmare l’attività fisica nella giusta misura, può non immaginare come reagirà man mano l’organismo nei vari passi di incremento dell’attività, non avere consapevolezza di come funziona profondamente il suo corpo. Può non accorgersi di avere un tono muscolare teso e stressante e richiedere cosi sempre troppo al suo organismo.
D’altro canto per i soggetti che si lasciano sopraffare dall’emozione, che hanno paura di vincere, c’e un evidente sconnessione con il mondo emotivo che denota emozionalità profonde inespresse e sepolte nel livello posturale o fisiologico. Se in tali persone non vi e una presa di contatto ed una possibilità di riveicolare nell’espressione i contenuti incapsulati. il logorio della tensione emotiva agirà molto più presto o più intensamente del normale. senza un’apparente e visibile ragione.
Se la stanchezza, quale segnale d’allarme di un limite raggiunto, non viene avvertita per tempo, lo stress si presenta in tutte le sue conseguenze e, non riconosciuto come tale, non avvertito fisicamente, finisce per invadere altre aree del Se corporeo con alterazioni improvvise e apparentemente imprevedibili.
Applicazioni della psicoterapia corporea allo sportivo sono dunque auspicabili non solo nel senso di un intervento classico (ampliare il paniere degli esercizi e delle tecniche antistress), ma di una possibilità mirata sia di prevedere gli effetti dell’attività atletica su ogni determinato tipo di struttura del Sé corporeo, sia di intervenire a riequilibrare eccessivi dislivelli, scissioni e fratture tra le sue varie parti. applicando si tecniche di rilassamento, di aumento delle percezioni. di riequilibrazione del vegetativo e soprattutto di respirazione. ma non casualmente, bensì in una direzione ben determinata che non rischi un aggravarsi dei livelli di separatezza e disarmonia dell’individuo. ma anzi che vada ad una riconnessione e a una duratura integrazione dei suoi differenti processi psicofisici.
Molto spesso, dal momento che mi occupo di psicoterapia corporea. i pazienti mi domandano se fare dello sport può far loro comunque bene, poiché cosi muovono il corpo. Non esiste una risposta cosi univoca a questo tipo di domanda, poiché l’attività sportiva può essere, se appropriata alla situazione del paziente, anche in un certo senso terapeutica, cosi come può aggravare le condizioni di scissioni e di squilibri esistenti. Vorrei scagliare una lancia contro certi illusori e pericolosi semplicismi, come quello di considerare lo sport quale unico antidoto per i giovani alla droga. Ho avuto in terapia alcuni giovani che hanno visto slatentizzare i loro disturbi dopo un’attività sportiva condotta nel senso di un’esagerata tensione agonistica o di un dannoso approfondimento delle alterazioni già in atto. Esistono molti bambini nei quali, per fare un parallelo, la televisione ha prodotto notevoli danni scavando solchi più profondi nelle separazioni o nelle ipotrofie che in essi erano appena allo stato iniziale.
Ma ciò non significa che in altri casi la televisione non abbia arricchito la fantasia, le capacità linguistiche, mnemoniche e logiche, e perfino quelle motorie laddove movimenti e posture vengono registrati e interiorizzati, se esiste un buon contatto tra immaginativo e area posturale del Sé corporeo. L’importante (in questo esempio come nel caso dello sport) è che sia possibile modificare pienamente le reazioni negative dovute ad un impatto errato, se si coglie in tempo e si comprende nel profondo quanto sta accadendo o potrebbe accadere. Le modalità sono molteplici e vanno dal consigliare lo sport più adatto ad ogni tipo di struttura di personalità, all’escludere o meno un’attività esageratamente agonistica, dall’integrazione con altre attività psicofisiche che riequilibrino le disarmonie già esistenti nell’individuo, a metodiche di allenamento che compensino (non solo nel senso del «fisico» ma in quello più ampio e complessivo del Sé corporeo) le sconnessioni e le alterazioni che quel particolare sport può produrre in determinati individui.
Facciamo qualche esempio concreto (pochi ed estremamente sintetici per motivi di spazio: in realtà questi argomenti avrebbero bisogno di una profonda e dettagliata trattazione).
Una persona con difficoltà di contatto con le profonde percezioni interne e con angoscia di isolamento, può non trovare giovamento dal nuoto, se non vi sia stata una prima riconnessione con i processi funzionali implicati.
La ginnastica artistica può approfondire stereotipie e meccanicità di movimenti.
Nel tennis si può rivelare dannosa una difficoltà ad alternare rilassamento e concentrazione, che se non opportunamente dosati possono portare a sofferenze emotive e caratteriali a volte ben visibili. Nella pratica di discipline quali il salto, o la velocità (100 metri) tutto si gioca in una concentrazione altissima e puntuale. Negli sport di squadra sono fondamentali la capacità di entrare in contatto con gli altri e la comunione tra do che si percepisce di sé e ciò che si esprime all’esterno. Nei giochi dove è necessaria la creatività, tale tipo di pensiero deve poter funzionare non in alternativa allo sforzo muscolare, e i movimenti non devono essere nel loro insieme ripetitivi e automatici. Scherma, lotta. boxe sono particolarmente implicati nei problemi di aggressività. Da quanto detto si può comunque, dedurre, come ipotesi fondamentale di base, che lo sport deve poter crescere in questa matura consapevolezza di ottenere importanti risultati sia sul piano della specialità che su quello della salute fisica e psichica. Deve riconoscere e assumere in pieno il suo ruolo importante nel migliorare la nostra esistenza e nel fornire un contributo significativo al benessere e all’equilibrio armonico della struttura del sé, a patto di integrare al suo interno i sempre nuovi apporti che provengono dai modelli scientifici e consolidati anche dalla psicologia clinica, per interventi che siano realmente centrati sulla persona, sconfiggendo sia quel fanatismo meccanicistico e illusorio che vuole lo sport benefico sempre e comunque, sia le angosce oggi cosi attuali e crescenti che esso sia un mostro produttore di uomini-macchine, o generatore di aggressività sempre più distruttive e incontenibili.