Luciano Rispoli psicologo: Mutamenti del Sè in adolescenza.

in “Atti del Convegno Nazionale: Adolescenza tra identità e disagio, Assessorato alle Politiche Sociali, Comune di Trento – Marzo-Aprile 1996.

Il seguente articolo di Luciano Rispoli, Presidente della S.I.F. (Società Italiana di Psicoterapia Funzionale Corporea); membro del Comitato Internazionale per la Body-Psychotherapy; Presidente Società Italiana di Psicologia Clinica e Psicoterapia, tratta il delicato tema dell’adolescenza, considerando una integrazione tra le figure adulte che interagiscono con gli adolescenti, tra le varie professionalità che se li prendono in carico, tra differenti discipline scientifiche e differenti approcci teorici.


luciano rispoli psicologo adolescenza

 

Alla luce delle conoscenze che abbiamo sulle varie fasi di sviluppo della persona e del ciclo di vita, oggi l’adolescenza è posta giustamente al centro dell’attenzione generale: sia perchè costituisce un lungo periodo di vita (tra preadolescenza, adolescenza e adolescenza protratta si va dai 10 anni sino a circa 20-23 anni) sia perchè è indubbiamente un momento delicato e importante nella formazione della personalità (con i noti pericoli di strutturazione di violenza e di devianza sociale). Preliminarmente dobbiamo esaminare e sottolineare alcuni concetti che ci danno un quadro generale dell’adolescenza, e che sono alla base di qualunque ragionamento possiamo poi fare su come operare con gli adolescenti e sul disagio, su come realizzare interventi di prevenzione, su quali progetti mettere in cantiere.

1) Esiste una continuità di fondo tra le varie fasi di vita; e dunque non vi è sostanzialmente alcuna frattura tra infanzia e adolescenza, e nemmeno tra adolescenza ed età adulta. Come non possiamo più assolutamente sostenere (alla luce delle conoscenze che abbiamo acquisito) che il bambino è soltanto qualcosa “in attesa di diventare”, che è “un non adulto”, così non possiamo dirlo neanche per l’adolescente. L’adolescente è innanzitutto una persona completa, un individuo con delle caratteristiche sue particolari. Il Sé della persona è presente, organizzato ed integrato sin dall’infanzia; tutte le sue funzioni sono già in atto sin dall’inizio della vita. Non si può dunque dire che l’adolescente abbia un “Sé immaturo”, o che debba “arrivare a maturarsi”; anche se alcune sue funzioni fisiologiche ormonali si modificano notevolmente in questo periodo. Il processo di maturazione è in realtà un processo di espansione del Sé che non si arresta mai, che dura tutta la vita.

2) Non bisogna considerare patologica di per sé la condizione adolescenziale. Non è detto che in adolescenza il malessere e il disagio siano comunque inevitabili, e che una certa quantità di “disturbi ” siano insiti in questa età. La verità è che in questa fase di vita avvengono innegabili cambiamenti, trasformazioni oggettivamente rilevabili, che non si traducono, però,  né si identificano con delle patologie; sono piuttosto condizioni caratteristiche di questa fase di vita, coloriture tipiche, modalità specifiche di percezione, prevalenze di determinate sfumature emotive: in definitiva una particolare e caratteristica configurazione del Sé.

3) Queste condizioni caratteristiche dell’adolescenza hanno bisogno fondamentalmente della comprensione da parte degli adulti che li circondano. Gli adolescenti hanno la necessità di essere capiti nei loro bisogni e nel loro modo peculiare di essere. E’ necessario dunque che le trasformazioni in atto vengano comprese piuttosto che misconosciute, “assorbite” in modo morbido piuttosto che trovare un impatto traumatico, rispettate e facilitate piuttosto che ostacolate.

4) Ne consegue un’altra importante continuità: tra l’intervento propriamente curativo e quello preventivo; e tra quello preventivo in senso stretto e un modo di essere e di comportarsi quotidiano nei confronti degli adolescenti: da parte dei genitori, insegnanti, educatori, allenatori sportivi, medici, preti, e in definitiva tutti quelli che vengono in contatto con loro.

5) La prospettiva da cui vogliamo porci è in definitiva una prospettiva di integrazione oltre che di continuità; una integrazione tra le figure adulte che interagiscono con gli adolescenti, tra le varie professionalità che se li prendono in carico, tra differenti discipline scientifiche e differenti approcci teorici.

Quello che vogliamo evitare è la parcellizzazione, gli “specialismi”, le visioni limitate, che rischiano di trascurare aspetti importanti della vita degli adolescenti, che riducono tutto ad apprendimenti, o a soluzioni “educative”, o che scivolino in una visione dell’adolescenza come patologia, o ancora che siano tese a coglierne sempre le condizioni negative. Integrazione significa anche, e in primo luogo, guardare alla persona nella sua interezza, nella complessità di tutti i suoi piani e delle sue funzioni psicocorporee; non come portatore di affetti nei rapporti familiari, come corpo nello sport, come soggetto di fantasie quando va dallo psicologo e così via. Ora, la prospettiva della psicologia funzionale (sorretta dalle esperienze di 70 anni di psicoterapia corporea) va proprio in questa direzione: di guardare cioè all’unitarietà della persona, ma non in modo vago e indistinto; di guardare ad una interazione psiche-corpo senza scindere questi due aspetti che sono di fatto assolutamente inscindibili, di non parcellizzare la persona. All’interno di questa unitarietà è possibile allora andare a cogliere in modo specifico tutte le funzioni che costituiscono il Sé (funzioni che sono sempre contemporaneamente psichiche e corporee), tutti i piani e i processi psicocorporei nella loro interazione e nella loro specifica organizzazione. Proviamo ad esaminare, per rimanere all’interno del nostro tema, l’organizzazione del Sé in adolescenza: quali ne siano le caratteristiche generali, i cambiamenti in atto, i rapporti tra varie funzioni e vari livelli. Proviamo cioè a tracciare un quadro d’insieme, una cornice generale, attraverso cui sia possibile innanzitutto comprendere cosa accade ad un adolescente e alla sua relazione con il mondo esterno. Solo allora potremo parlare di interventi specifici, qualunque essi siano, e scendere sul dettaglio operativo senza il pericolo di agire a casaccio e a vuoto bensì attraverso modalità di intervento veramente calibrate sul singolo caso, (sull’individuo, sul gruppo, sulla famiglia, sull’istituzione, sugli operatori). Solo così non correremo il rischio di separare l’intervento operativo dall’accoglimento dei bisogni di fondo, dalle reali necessità, da un modo generalizzato e continuativo di inserire pienamente il mondo degli adolescenti in una attenzione da parte degli adulti che sia affettuosa, sincera e capace di penetrare a fondo.

Diagramma funzionale dell’adolescenza

Seguendo le indicazioni della psicologia funzionale del Sé è possibile tracciare un diagramma di facile e immediata lettura relativo alle condizioni caratteristiche dell’organizzazione del Sé in adolescenza.

I cerchi rappresentano i vari piani funzionali del Sé; più grandi se le funzioni sono più sviluppate; col bordo ispessito se le funzioni sono in rapida trasformazione e rischiano di perdere la loro sana mobilità.

Posturale

Partendo dal quadrante dei movimenti e delle posture possiamo notare come lo spazio maggiore sia preso da un corpo che è in rapida crescita e che, insieme alla crescita altrettanto intensa della forza fisica, stravolge completamente il modo con cui un adolescente aveva percepito sino a quel momento se stesso in relazione agli adulti e il modo in cui questi lo percepivano. I genitori si trovano improvvisamente davanti un adulto, stentano a riconoscere il loro “piccolino” la loro “piccolina” di prima; spesso sono intimoriti dalla forza e dalla grandezza del figlio cresciuto o sono imbarazzati rispetto al contatto fisico. Come vedremo meglio più avanti tutto questo produce delle conseguenze molto importanti che spesso si intensificano avvitandosi in un circolo chiuso. Contemporaneamente i movimenti del corpo, specie quelli ampi (a parte lo sport o il ballo) tendono a diminuire nella vita di un adolescente, specie in quella delle ragazze: si assumono atteggiamenti più composti, più trattenuti, meno caotici e liberi, meno “liberatori”. Anche le posture, il modo in cui si atteggia il proprio corpo, subiscono un’alterazione: divengono meno sciolte e disinvolte in quanto non sono ancora sostenute dall’esperienza dell’adulto, non ancora interne al modo di fare codificato del mondo degli adulti.

Fisiologico

Nel settore dei sistemi e degli apparati fisiologici di funzionamento, abbiamo messo in evidenza che la voce è in notevole cambiamento, insieme naturalmente all’esplosione ormonale e della sessualità. Vi è una necessità molto sentita in un adolescente di capire pienamente quanto gli sta accadendo; necessità che si traduce in una grande attenzione verso tutto quello che accade nel proprio corpo e all’interno di sé, a discapito delle percezioni esterne. Il che produce quell’impressione di svagatezza, di distacco dalla realtà, che distacco invece non è.

Cognitivo-simbolico

Una grande attenzione è dunque rivolta a comprendere il senso dei cambiamenti: come gestire un corpo diverso, i desideri prorompenti, le sensazioni nuove. Grande spazio viene dato allora ai pensieri che riguardano il nuovo e molto intense e vivide sono le fantasie e le immaginazioni che accompagnano questi processi: immagini di scene che hanno colpito e che ritornano improvvise, immagini di persone e di situazioni desiderate, di sensazioni tattili e corporee. Non è del tutto esatto dire che il “progettare” è assente nei ragazzi; esso è piuttosto quasi interamente rivolto all’immediato, a realizzare l’incontro con l’altro, le prime conquiste, l’accettazione e l’ammirazione dei coetanei, il trovarsi dei “panni” adatti a sé. I ricordi del passato diminuiscono notevolmente lasciando spazio soprattutto ai ricordi più recenti, a quei ricordi che gli permettono di andare più vicino ai propri interessi del momento, di “migliorare il tiro” nel raggiungimento dei propri obiettivi, di sperimentarsi le sue nuove capacità. Il sistema di valori e dei simboli, specie per quanto riguarda se stessi, il proprio ruolo sessuale, la propria identità, fa difficoltà a tenere dietro ai cambiamenti, ed essere pienamente e stabilmente positivo. Da qui i dubbi terribili su se stessi e sulle proprie capacità. E’ inevitabile che vi sia una grande ansia di riuscire a controllare tutta questa serie di cambiamenti, di ritornare a tenere sotto controllo la realtà modificata; e poiché è molto difficile riuscire a farlo solo con l’aiuto della razionalità, riuscire a spiegare tutto solo con i ragionamenti, si fa strada una scorciatoia (peraltro già conosciuta in epoca più antica dall’adolescente): quella del pensiero magico. Prevale l’attenzione alle coincidenze strane, ai segni del destino, a qualunque cosa della realtà circostante sembri riferirsi proprio a sé, alla propria vita, al proprio pensiero.

Emotivo

All’interno del campo delle emozioni un notevole spazio viene preso, naturalmente, dai rapidi e travolgenti innamoramenti, necessari per poter far uscire l’affettività e la sensualità al di fuori dei confini familiari, per permettere di superare anni di “abitudine” a sensazioni note che hanno accompagnato la vita del bambino: toni di voce, odori, sensazioni tattili, atteggiamenti, che agiscono come condizionamento profondo molto più di quanto si pensi. Altrettanto spazio viene assorbito da un sentimento forte di autonomia che si traduce spesso in una oppositività a priori, in una ribellione sempre pronta a scattare per ridisegnare i propri confini e le nuove conquiste, in una rudezza tendente a dissimulare la fragilità e il bisogno di aiuto ancora fortemente presenti. Ma la paura di dover affrontare il mondo viene tenuta più interna, non apertamente riconosciuta, per non pensare di poter ricadere in una fragilità che l’adolescente non vorrebbe più, per un orgoglio che lo spinge a cavarsela da solo. La paura prende alla fine la forma distorta e ben peggiore del senso di inadeguatezza, di una drammaticità per le cose che non vanno bene e per le proprie incapacità, che possono arrivare a sfociare in gesti estremi altamente distruttivi, sia nei confronti degli altri che nei propri confronti.

In realtà l’adolescente ha dentro di sé una grande tenerezza e un grande bisogno di tenerezza, un bisogno di sentire ancora fortemente il sostegno, di potersi di tanto in tanto sentire ancora “piccolino”, di potersi adagiare e farsi sorreggere: certo con tempi e modalità differenti, in un modo diverso di quando era bambino, e soprattutto con una più grande discrezione, perché non deve essere troppo evidente e non lo si deve fare sapere a nessuno.

 

Nella figura 2 sono riportate le direzioni lungo le quali tende durante tutta l’esistenza ad espandersi il Sé, in altre parole i bisogni fondamentali della persona; sono bisogni di cui non si può fare a meno, se si vogliono conservare salute, potenzialità positive, “benessere”, per tutta la vita, e non solo nel periodo infantile. Avremo sempre bisogno (naturalmente con modalità meno urgenti in età adulta) del contatto, del poter essere tenuti e contenuti, dell’essere “nutriti”. Ma più gli adolescenti hanno timore di abbandonarsi a questi bisogni, più gli adulti (e in specie i genitori) non riescono a superare la distanza che si crea con loro per timore, per imbarazzo (specie verso il figlio del sesso opposto), e di conseguenza più aumenta nei figli il senso di incomprensione, il senso del tragico, il senso di inadeguatezza, l’indurirsi senza poter ritrovare quel contatto, quella tenerezza, quell’appoggio necessari a non creare rotture troppo brusche nell’andamento dell’esistenza, tra la fase precedente e l’attuale . Né è più utile la reazione di quei genitori che, esattamente all’opposto, negano il fatto che i figli siano cresciuti e si ostinano a trattarli come se fossero piccoli, suscitando inevitabili reazioni di intolleranza e di rifiuto.

Le influenze dei cambiamenti sociali

Proviamo ora a tracciare i profili di possibili scenari futuri nei quali cresceranno e stanno già crescendo i nostri figli. Si tratta di ipotizzare, almeno per grandi linee, quali influenze stanno già avendo le trasformazioni sociali, culturali e tecnologiche della società post-industriale sulla forma della mente, sul modo di percepire e di essere, in definitiva sull’intera organizzazione del Sé dei bambini e degli adolescenti in particolare.

Aumento del visuale, videogiochi, computer, realtà virtuale

 

 

Nelle figure 3 e 4 si analizzano gli effetti possibili di uno spostamento sempre più massiccio verso una civiltà dell’immagine, una immagine tra l’altro spesso limitata allo spazio ristretto dello schermo televisivo, dello schermo del computer, o quello ancora più minuscolo dei videogiochi portatili; un’immagine che possiamo creare e distorcere a nostro piacimento, sempre più lontano dalla realtà. Certamente tutto ciò genera un’amplificazione della fantasia e della creatività, ma anche un distacco dalla concretezza, un’illusione accresciuta di potenza senza limiti che finisce per intensificare il pensiero magico. C’è un aumento della velocità in genere, a discapito comunque della lentezza, della capacità di prendersi il tempo giusto, di momenti lunghi di contatto con sé e con la riflessione. Basti vedere come sono cambiati i ritmi di un film, e persino i ritmi di quelli più tradizionalmente rivolti ai bambini, quali i cartoni animati di Disney. L’attenzione diviene più concentrata, più puntiforme, più abituata a cogliere il piccolo singolo dettaglio piuttosto che l’insieme, per star dietro ai rapidi e minuscoli cambiamenti dei videogiochi. I movimenti più sollecitati sono anch’essi quelli piccoli, rapidi e precisi con cui i bambini muovono i comandi con incredibile abilità. Finiscono per diminuire i movimenti ampi, quelli in cui si deve e si può esercitare sino in fondo la propria forza, ci si espande, si occupano grandi spazi, si usano tutti i muscoli e ci si stanca fino a ricercare con grande piacere il riposo e l’abbandono. Spesso una delle conseguenze più visibili di questi cambiamenti è una grande diffusione nei ragazzi dell'”irrequietezza motoria”: movimenti ripetuti e agitati che sfiorano il campo dei tic. Diminuisce l’esperienza diretta del mondo attraverso il proprio muoversi in esso: le valutazioni vengono sempre più affidate alla sola esperienza visiva.

Modelli eccessivi di successo, di perfezione fisica, di sessualità, di aggressività.

 

 

Il bombardamento che ci arriva dalla pubblicità, dai film, dalle telenovelas, dai rotocalchi, non dà alcuna tregua ai ragazzi in crescita, impedendo loro di soddisfare la naturale  necessità di avere dei tempi giusti per apprendere in modo graduale le relazioni con l’altro sesso, di modificare con calma l’immagine del Sé, di arrivare a percepire realmente i propri limiti e le proprie potenzialità. La civiltà dell’immagine impone implacabilmente modelli di successo, di potenza, di false disinvolture; nel cinema si vedono ragazzini in grado di fermare guerre mondiali e risolvere pericoli planetari, ragazzini già esperti e abilissimi nell’arte dell’amore, ragazzini che già si avviano al successo. Il senso di inadeguatezza rispetto a tali modelli, la brutta sensazione della propria pochezza a confronto, si insinuano pericolosamente, insieme ad un’illusione che il mondo funziona in un determinato modo sempre meno aderente alla realtà. Il controllo della propria esistenza, per riuscire a emulare i modelli che i media propinano, è sempre più difficile se non impossibile, e naturalmente il simbolico non riesce a tener dietro a questa impennata di falsi e improbabili valori. Vi è d’altro canto un desiderio forte di bruciare le tappe della crescita, di sviluppare precocemente il proprio corpo, a cui non corrisponde una reale capacità di sapersi muovere, sentire, percepire come un adulto, perché non c’è un’esperienza accumulata gradatamente nell’amore, nella personalità, nella sessualità, che dia una reale padronanza del rapporto con gli altri. Bisogna fare ciò che le scene dei film hanno insegnato, e farlo subito bene. D’altra parte tutto ciò spinge a procurarsi il più presto possibile gli oggetti status-symbol, altrimenti non si è nessuno; spinge ad “arraffare”, spinge ad una aggressività e a una violenza diffuse; una violenza che viene appresa dai mass-media, che diviene un esempio da seguire, da realizzare, completamente immersa nell’irrealtà, staccata dal dolore delle sue conseguenze reali. Si può allora con grande leggerezza “giocare” a lanciare pietre sulle macchine in corsa da un ponte sull’autostrada: la morte è solo un’immagine sullo schermo, priva di odore, di sapore, priva del dolore acuto che l’accompagna. Anzi la morte è un’esperienza che non si vede più nella sua realtà, rinchiusa com’è il più possibile negli ospedali e nelle case per anziani.

Famiglie ristrette, mononucleari

Il numero delle figure adulte a cui il bambino si può rivolgere è drasticamente diminuito nei piccoli nuclei familiari della società attuale: ci sono solo i due genitori, quando non uno solo. Le famiglie più ristrette sono dunque caratterizzate inevitabilmente da un minor supporto, una certa carenza nella protezione e nell’accudimento dei figli; il che finisce per erodere i nuclei positivi e di sicurezza del Sé del bambino. In secondo luogo la limitatezza delle esperienze possibili, la non presenza di più adulti, impedisce al bambino, al contrario di quanto poteva fare nelle famiglie numerose di un tempo, di potersi giostrare più facilmente con gli adulti, spostandosi da uno all’altro a seconda delle necessità, facendosi consolare dal nonno, da una delle sorelle, da una zia, se un altro della famiglia era stato con lui distratto o rigido o ingiusto o troppo severo. La poca diversità nelle relazioni crea inoltre una maggiore difficoltà nell’aggiustamento reciproco, una certa rigidità di ruoli e di movimenti, una certa difficoltà a sapersela cavare fluidamente, un senso del drammatico più forte e incombente. Il rapporto col genitore non è più mediato da nessun’altra figura: o va bene veramente o diventa difficile e doloroso.

Precarietà del pianeta

Per la prima volta un’intera generazione è cresciuta sin dall’inizio immersa nella sensazione che la sopravvivenza della vita sul pianeta è incerta, nella sensazione di disastro incombente, di terra inquinata e malata, di possibilità di distruzione nucleare. Non siamo ancora in grado di valutare appieno le conseguenze di queste mutate condizioni di vita sulla personalità delle nuove generazioni. Ma certamente possiamo ipotizzare la presenza di una paura costante di sottofondo che precedentemente non c’era. E’ difficile che in tali condizioni possano rifiorire grandi spinte idealistiche, grandi utopie, come quelle che la nostra generazione ha coltivato nel bene e nel male. Il rischio è che finiscano per prevalere tendenze egocentriche, superficialità nell’affrontare l’esistenza, atteggiamenti tesi a prendere quanto più possibile, ad arraffare senza preoccuparsi di altro. E’ anche possibile che questa diffusa sensazione di precarietà rappresenti un’ulteriore causa ad aumentare la velocità dell’esistenza, a far presto, ad avere tutto e subito, accelerando vieppiù i già frenetici ritmi di vita; un po’ come succedeva quando una guerra era in atto e non si poteva giurare sulla propria sopravvivenza il giorno dopo.

Comprensione e prevenzione

Se queste che abbiamo tracciato sono le caratteristiche di funzionamento di una delle fasi più importanti della vita, se in adolescenza si creano delle disarmonie, non patologiche ma comunque fonte di difficoltà, come minimo dovremmo essere certi che il sociale non acuisca tali squilibri momentanei, e non crei condizioni non più “fisiologiche” ma patologiche di disagio. Il sociale dovrebbe anzitutto saper comprendere bene i cambiamenti in atto degli adolescenti, in tutti i luoghi dove essi vivono (dalla famiglia alla scuola al tempo libero); e inoltre saper assorbire tali cambiamenti in modo molto soffice, controbilanciando e ammorbidendo le disarmonie momentanee, favorendo una reintegrazione del Sé il più rapidamente e serenamente possibile. D’altra parte la consapevolezza che i mutamenti sociali stanno portando ulteriori possibili disarmonie negli adolescenti ci deve spingere non a demonizzare le nuove tecnologie, bensì a controbilanciare efficacemente e intensamente gli effetti di tali cambiamenti nei ragazzi, sostenendo quelle funzioni che tendono a ipotrofizzarsi e riconnettendo quelle che vengono troppo isolate: fornendo più esperienze di movimenti ampi, di sguardi d’insieme, di lentezza, di calma, di profondità delle emozioni, di progettualità, di sostegno profondo, di tenerezza, e così via. In altre parole possiamo dire che non solo nell’infanzia ma anche in adolescenza vanno preservate quelle che noi definiamo le esperienze basilari del Sé, cioè i mattoni della vita, le basi profonde della nostra esistenza. E questo affinché il ragazzino e la ragazzina possano completare la fase di preparazione alla vita: una fase che nell’essere umano è necessariamente molto lunga vista la sua complessità, e che deve essere assolutamente protetta sino a che non sia terminata. Bisogna che le esperienze basilari del Sé siano “positive” anche in adolescenza, esperienze quali: il poter essere contenuti e protetti, il lasciarsi andare, l’essere amati, l’essere visti, il contatto, il movimento, la curiosità e la conoscenza, tanto per fare alcuni degli esempi più significativi. Ma se queste esperienze sono state carenti già nell’infanzia ed hanno lasciato esiti negativi, su cui vanno ad innestarsi allora sì patologicamente le disarmonie momentanee dell’adolescenza, bisogna intervenire più direttamente per riequilibrare le disfunzioni del Sé prima che si traducano in sofferenze troppo grandi e in disturbi drammatici e pericolosi.

La cura, dunque, deve essere in diretta continuità della prevenzione e dell’atteggiamento più generale di accoglimento dell’adolescenza; la cura deve fornirci con i suoi modelli teorici le indicazioni chiare di quali siano i bisogni degli adolescenti, gli squilibri momentanei del Sé, i rischi che si possono correre non preservando adeguatamente le esperienze basilari del Sé. Dobbiamo allora poter poggiarci su un quadro di riferimento molto chiaro e dettagliato, su una visione a tutto campo del funzionamento degli esseri umani in generale e degli adolescenti in particolare, senza trascurare nessuno degli aspetti su cui si basa la vita, nessuno dei numerosi piani e delle numerose funzioni psicocorporee di cui è costituita l’organizzazione del Sé. Solo questo ci permetterà di cogliere una serie di segnali molto evidenti sulla presenza di squilibri e disarmonie troppo intense e troppo pericolose; solo leggendo su tutti i piani e sulle interconnessioni dei piani sarà possibile avere un livello di predittività elevato che ci ponga in grado di realizzare interventi molto precoci, assai prima che si siano installati disturbi e sintomi, sofferenze e incomprensioni, pericoli seri per l’integrità e il benessere dei ragazzi. Ed è ancora  la visione d’insieme dei vari processi del Sé, la visione funzionale, che ci permetterà al contempo di guardare con grande precisione ai bisogni “sani” dell’adolescenza e al loro evolversi con l’evoluzione sociale e tecnologica; al modo migliore di essere con loro, di capirli, di dialogare, di interagire; e al modo di evitare patologie, di evitare di aggravare situazioni in movimento, che in fin dei conti sono del tutto normali ma che hanno bisogno di accoglimento, di attenzione, di riarmonizzazione, di affetto e di amore. Forse è così che si arriverà finalmente a scoprire che può esservi una grande dolcezza nel ricercare la propria identità anziché sofferenza e dramma; che vi può essere una grande tenerezza nella separazione dai genitori; che non vi è bisogno di sostituirli o di ucciderli per crescere; che si può divenire grandi accanto agli adulti e non contro di essi; che ci si può prendere delle cose buone dai genitori e portarsele dentro cercando anche di andare oltre; che il mondo è ampio e gli adolescenti possono trovarvi nuovi sostegni ma anche utilizzare, quando ce ne sia il desiderio e la necessità, i vecchi sostegni; che la forza non è mai in contrasto e mai lo sarà con la tenerezza e la morbidezza; che la gioia ed il gioco non debbono necessariamente uscire dalla nostra vita quando diventiamo grandi, e che l’autonomia non significa egocentrismo ma che l’essere umano vive naturalmente entro confini biologici e psicologici nei quali la solidarietà rappresenta un elemento vitale di estrema importanza!