Luciano Rispoli psicoterapeuta: Le vere radici della violenza razziale.

in “Neagorà” – Napoli 1991.

Il problema del razzismo si intreccia profondamente con quello della violenza e della rabbia. La mescolanza dei due aspetti del problema forma una miscela esplosiva, che è stata ed è continuamente una grave causa di conflitti, di distruzioni, di intolleranze, di soprusi, di odio.


Se noi guardiamo al senso del razzismo nella sua accezione più ampia, al suo interno dobbiamo collocare tutti quei fenomeni di non accettazione del “diverso”; dall’intolleranza e l’odio verso un diverso colore della pelle all’intolleranza e l’odio che si scatenano contro l’altro sesso, contro le religioni diverse, contro l’handicappato, le altre nazioni, le culture diverse, la squadra di calcio dell’altra città.

Delle origini e delle caratteristiche della psicologia del “diverso” abbiamo già parlato in un articolo precedente. La paura dell'”estraneo”, l’attaccamento morboso a ciò che è noto e conosciuto, hanno radici antiche e profonde nella prima infanzia, legate ad un’aria di scarsa fiducia nell’esterno che si respira in famiglia, e a una carenza di sostegno dei nuclei profondi del Sé del bambino.

L’ostilità e la diffidenza nei confronti del diverso, contrariamente a quanto si possa pensare, è un fenomeno che denota un senso di appartenenza veramente molto scarso, fragile e traballante; un senso di appartenenza che si è, per questi motivi, alterato ed è divenuto patologico, malato.

Tutti noi possiamo ricordare quel periodo dell’infanzia in cui ci si riconosceva nelle cose “familiari”, in quelle scelte che erano tipiche della famiglia: un certo modello di automobile, quei particolari biscotti, un certo dentifricio, una ben determinata marca di televisori o di elettrodomestici, quella macchina specifica fotografica. Questo sano senso di appartenenza, di scelte e preferenze del gruppo familiare, del gruppo di appartenenza, serve a creare, o meglio a conservare, un senso profondo di identità, attraverso cui si può salvaguardare l’esistenza del Sé; una sorta di “cuccia” protettiva nella quale il cucciolo umano può sempre rifugiarsi e ritrovare, ogni volta che sia necessario, calore, sicurezza, protezione.

Questo sano senso di appartenenza fa, sì, credere ai bambini che i prodotti, le persone, le marche scelte dalla famiglia e care a lui siano proprio le migliori, ma solo in senso bonario e affettuosamente ingenuo. Al contempo rappresenta proprio quella mano salda che tiene il piccolo con calore e con amore, e che gli permette di affacciarsi sul mondo meno familiare, diverso e sconosciuto, con grande tranquillità, con interesse, con curiosità, con passione.

Quando questo senso di appartenenza viene ostacolato ed alterato, diventa indispensabile per l’individuo cercarsi appartenenze di tipo “esterno”, legate ad elementi formali, ai quali bisogna conformarsi totalmente, senza elasticità, con rigidità e ossessività. In questi elementi esterni vengono proiettate tutte le ultime possibili briciole di sicurezza della propria identità, della propria continuità di esistenza. Uscire da questa fragile appartenenza esterna diventerebbe dunque intollerabile e pauroso: fuori c’è il vuoto che da bambini si è già dolorosamente e angosciosamente sperimentato.

Questa rigidità, che già di per sé acquista la connotazione di ostilità verso il diverso (perché pericolo e minaccia al senso così fragile del proprio Sé), viene intensificata da una trasformazione della originaria paura in rabbia. La rabbia di impotenza nell’infanzia, il rancore compresso, il Sé ferito inesorabilmente nel bambino, confluiscono in una esplosione di distruttività.

Questa distruttività, segno dunque evidente di debolezza e mancanza di forza calma e profonda, viene molto spesso ancor più incentivata dalle condizioni di degrado sociale e culturale che avanzano in modo preoccupante e angosciante.

Bambini e ragazzi assorbono crescenti messaggi e immagini di violenza, sia dai contenuti delle comunicazioni dei mass-media, sia dagli episodi di alterazione dei valori del contesto ambientale, sia dal pericoloso isolamento nel quale spesso resta confinata la famiglia nucleare e chiusa di oggi. E la distruttività si scatena così in un odio furioso e irrazionale, in un violento e indiscriminato razzismo.