Luciano Rispoli psicoterapeuta: Tappe e livelli della psicoterapia corporea.

in “L’età dell’uomo” Ferrara, 1987.

Luciano Rispoli, autore di numerosi saggi ed articoli relativi alla ricerca scientifica in campo clinico, chiarisce i punti cardine della Vegetoterapia carattero-analitica, ripercorrendo le tappe fondamentali dello sviluppo della psicoterapia corporea.


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Per chiarire i punti fondamentali della Vegetoterapia carattero-analitica dovremmo percorrere le tappe di sviluppo della “psicoterapia corporea”; come e’ nata dal pensiero di Reich e come si e’ andata evolvendo attraverso il contributo di successive ricerche e teorizzazioni. Si vedra’ cosi’ che oggi e’ possibile delineare degli enunciati di base comuni sui quali poggia ogni psicoterapia ad integrazione somatica che si muova seriamente nell’ambito clinico e scientifico; fondamenti che hanno le loro radici proprio nel complesso corpus teorico della Vegetoterapia. Sono 18 anni che lavoro come ricercatore, terapeuta e formatore in questo campo, e posso dire che i livelli di conoscenza che ormai abbiamo raggiunto stanno, rispetto alle prime formulazioni di Reich, come i motori turbo rispetto alleprime automobili inizio secolo. Eppure il nostro debito nei confronti di Reich e’ ugualmente enorme poiche’ a lui dobbiamo la genialita’ di a- vere imboccato questa strada cosi’ feconda e allo stesso tempo ancora ricca di numerose potenzialita’ inesplorate. Un modo di procedere altemativo che non sia l’intera cronistoria delle tappe e delle evoluzioni del pensiero reichiano potrebbe essere quello di farsi guidare da problemi e tematiche, in modo da toccare i punti piu’ significativi e controversi direttamente alla luce delle piu’ recenti acquisizioni. Che cosa accade quando ha inizio una psicoterapia corporea? Come e quando deve avvenire il contatto diretto con il corpo del paziente? Quale “agire” ha una correttezza terapeutica e cosa invece puo’ risultare intrusivo, pericoloso o aggressivo? La relazione terapeutica non e’ un qualunque rapporto di amicizia, di affari o di semplice conoscenza. Quando una persona si rivolge ad uno psicoterapeuta, in pratica gli chiede di essere aiutata, gli affida, almeno in parte, a- spetti della propria vita, dal momento che sente di non farcela piu’ a “curarsi” da solo. Tutti noi sappiamo utilizzare, e spesso lo facciamo automaticamente, espedienti e meccanismi difensivi per stare meglio. Nella vita si presentano molteplici esperienze “terapeutiche”, cioe’ in grado di dare origine ad una nuova consapevolezza, e a modificazioni del Se’ a vari livelli.

Ma tutto questo ha dei limiti; a volte ci si accorge in modo inequivocabile della necessita’ di un indispensabile aiuto che venga da qualcuno che e’ preparato proprio a questo. La relazione terapeutica nasce dunque in situazioni del tutto particolari, ed e’ peculiare anche perche’ e’ essa stessa, proprio nella sua continuita’, il “filo rosso” di un percorso preciso, di un viaggio verso cambiamenti e “guarigioni”. Nelle fasi di avvio sembrano precipitare in un denso e profondo concentrato i vissuti emotivi e cognitivi dei pazienti, rendendo piu’ evidenti la patologia e i sintomi, e facilitando quella iniziale consapevolezza che spinge la persona a chiedere aiuto ad uno specialista. Questo stato, che io definisco di “Regressione iniziale”, fa emergere l’intero quadro caratteriale e somatico della persona; gli atteggiamenti arcaici e cristallizzati nello psiche-soma sono anzi come evidenziati e messi in risalto nello strutturarsi della relazioìe terapeutica.Questa prima regressione, cosi’ necessaria per potersi “affidare”, per entrare in un contatto profondo con se’ e col terapeuta, mette in mostra la struttura delle difese infantili, costituita da identificazioni introiettive e proiettive e dall’insieme di “maniere” in cui l’individuo si pone nella vita, cioe’ dalla “qualita” delle sue reazioni, sui diversi piani comunicati/i, che noi definiamo “identita’ caratteriale”  interessante notare come questa )peculiare condizione faciliti poi proprio l’emergere di emozioni, ricordi e percezioni profonde che man mano si fanno strada verso la possibilita’ di essere espresse all’esterno e verso la consapevolezza. Qualcosa di simile, anche se in scala piu’ ridotta, noi lo possiamo sperimentare ad esempio nel leggere un libro che suscita profonde risonanza emotive, nell’assistere ad un film che tocca corde molto delicate; in una serata particolare trascorsa con un amico con il quale si possa scendere nelle intime pieghe del nostro animo; o ancora in momenti di viaggio intensamente e poeticamente vissuti. Tutte queste sono indubbiamente “situazioni terapeutiche” che possono scavare e sconvolgere, ma che sono ben altro da una vera e propria psicoterapia. D’altra parte e’ ancora piu’ facile smuovere equilibri precari e suscitare intense reazioni emozionali se vi sia anche un contatto fisico, un tocco diretto, poiche’ questo sollecita la “memoria corporea”: vale a dire quel complesso di percezioni-sensazioni-movimenti interni-posizioni-toni muscolari, che assumono caratteristiche ben determinate, fisse e stereotipate per ciascun individuo incapsulando cosi’ vissuti emotivi non accettati o percepiti come pericolosi e proibiti. Ma in psicoterapia non ci si puo’ fermare alla regressione iniziale; e’ indispensabile un ulteriore movimento regressivo, proprio per scendere al di sotto degli atteggiamenti caratteriali e delle formazioni reattive, al di sotto delle strutture di copertura, sino al nucleo piu’ profondo del Se’. In Vegetoterapia noi parliamo di “regressione psicosomatica poiche’ questo “movimento” viene indotto agendo contemporaneamente su piu’ livelli funzionali della personalita’: dal racconto di antichi ricordi a movimenti caratteristici di un’eta’ infantile; da un contatto fisico che risveglia primitive percezioni sensomotorie a particolari interazioni verbali; dall’uso di immagini-simbolo, alla mobilizzazione di apparati fisiologici interni. Lo scopo non e’ soltanto quello di recuperare esperienze del periodo preverbale, anche se questo rimane uno dei vantaggi propri delle psicoterapie corporee. Agire su più livelli permette soprattutto di raggiungere numerosi vissuti che non avrebbero altrimenti alcuna possibilita’ di essere elaborati e analizzati perchè non possono giungere alle soglie della coscienza, neppure sotto forma simbolica nei sogni o nelle fantasie. Essi rimarrebbero cosi’ nascostamente attivi, come nucleo profondo patogeno, perchè non potrebbero essere richiamati ne’ dalle libere associazioni ne’ dalle immagini interiori, continuandosi a celare, invece, nei sintomi, nel carattere e nella struttura corporea. Vorrei pero’ precisare che il fenomeno della regressione psicosomatica non e’ tanto un “viaggio” all’indietro nel tempo, anche se vi rientrano sensazioni e vissuti del passato. La Teoria delle funzioni del Se’ corporeo ci permette di ipotizzare che questo tipo di regressione può piuttosto portare in aree di esperienza psicofisica nelle quali percezioni e movimenti hanno ancora una stretta connessione sia con le emozioni sia con i ricordi, sia con le simbolizzazioni della struttura cognitiva; in esse cioe’ le varie funzioni sono ancora integrate. L’accesso a queste aree e’ diverso caso per caso, situazione per situazione e dipende sia dagli ispessimenti della struttura comunicazionale del Se’, sia dalle sconnessioni e dalle fratture che sono intervenute tra le varie funzioni e all’interno di ciascuna di esse (cognitivo-simbolica, muscolare-posturale, emotiva o fisiologica che sia). L’analisi delle funzioni e dei piani di connessione diviene dunque indispensabile e sul piano diagnostico e su quello terapeutico. Senza avventurarci in una trattazione troppo complessa possiamo purtuttavia accennare alle modalita’ con cui vengono scelte di conseguenza differenti tecniche di approccio. In alcuni casi, infatti, si privilegera’ un contatto diretto su determinati distretti corporei; in altri acquistera’ piu’ peso la rivisitazione di ricordi di specifici periodi di vita; a volte potra’ essere piu’ penetrante ricorrere prevalentemente all’uso guidato delle fantasie o al sorgere delle immagini spontanee; altre ancora richiedono un uso rassicurante delle parole.  dover raggiungere aree profonde del Se’ corporeo,aree del nucleo originario integrato, ci puo’ far capire qualcosa della qualita’ speciale della relazione terapeutica. Essa non e’ infatti ne’ del tutto reale, riconducibile cioe’ solo agli elementi dell’attuale, del “qui e ora”, del conscio e del volontario; ne’ e’ del tutto simbolica, come esclusiva ripetizione di continui rapporti affettivi di tipo genitoriale; e neppure e’ un viaggio in memorie e vissuti passati come se tutto si riducesse ad un “li’ e allora”. Cio’ su cui si lavora e’ piuttosto l’insieme di quanto si e’ stratificato nello psiche-soma, i cui effetti sono presenti nell’oggi pur con il tessuto delle espenenze passate. In altre parole gli esiti delle relazioni con l’ambiente nel periodo evolutivo e nella storia successiva (nella intera sfera corporea e a livello conscio o inconscio) costituiscono il campo transferale della relazione terapeutica, con caratteristiche proprie e qualita’ particolari dei messaggi scambiati. Da quanto detto finora discendono due corollari:

1) Il contatto diretto sul corpo del paziente, cosi’ importante nel facilitare il processo di regressione psicosomatica, non puo’ essere dato “a caso”, ne’ seguendo schemi rigidi e prefissata, e nemmeno scegliendo per “intuizione” le zone che ci sembrano grosso modo “bisognose”. Il modello della “Stratificazione emozionale e del Se’ corporeo”, elaborato in piu’ di 15 anni di ricerche nella SIV (Societa’ Italiana di Vegetoterapia e Psicoterapia corporea) e nella Scuola Europea di Formazione, propone strategie specifiche per ogni caso, individuabili diagnosticamente in modo abbastanza preciso. Noi parliamo cosi’ di “zone chiave” da mobilizzare inizialmente; di “analisi delle funzioni” per trovare sconnessioni esistenti piu’ o meno gravi; di “distretti corporei funzionalmente connessi” che ci possono dare indicazioni sul come procedere in terapia.

 2) Cio’ che emerge e’ soprattutto una concezione nuova del fenomeno transferale e controtransferale, che puo’ essere letto e capito da diverse angolazioni con il supporto dei livelli fisiologici, posturali, di movimenti in- temi ed esterni, di percezioni e sensazioni corporee, di variazioni croniche del tono muscolare e cosi’ via. Siamo ormai giunti molto piu’ lontano dai primi tentativi di Reich (pure cosi’ geniali) che imitando movimenti e posizioni tipiche dei pazienti realizzava una sorta di identificazione che gli permetteva di capire meglio emozioni e stati d’animo profondi. Oggi l’uso del controtransfert e’ molto piu’ complesso e permette di utilizzare tutto cio’ che succede anche nel corpo del terapeuta, in relazione alla “sua” storia emozionale, ai “suoi” blocchi corporei, alle “sue” sconnessioni funzionali. Cosi’ il punto non riguarda tanto il tenere le proprie sensazioni ben distinte da quelle del paziente, ma anzi l’opposto: cioe’ utilizzarle per capire ed entrare in contatto con i diversi livelli ai quali e’ congelata la storia e l’espressivita’ dell’altro. Il corpo, come il carattere, da ostacolo al lavoro analitico diviene cosi’ uno strumento efficace sia per la comprensione che per la trasformazione, momenti indispensabili nella relazione terapeutica. E gli aspetti di “forma”, i riscontri e i segnali “fisici” e “visibili”, “l’ampiezza” dei livelli di osservazione e di interazione rendono la metodologia psicocorporea (se supportata da una teoresi valida) un mezzo che si adatta a molteplici situazioni e a settings differenziati, compresi in quelli di intervento istituzionale nelle strutture sociosanitarie pubbliche,nelle quali vanno comunque riposte le speranze di salute e di prevenzione a livello di massa.