Luciano Rispoli psicologo: La psicoterapia in Italia: le scuole post-universitarie in “Il laboratorio e la città”.

in XXI Congresso SIPs- Ed. Guerini e Ass., Milano, 1988.

Luciano Rispoli, psicologo e psicoterapeuta, affronta il delicato ruolo svolto dalle Scuole di formazione e l’importanza, da parte di queste ultime, di formare professionisti in grado di cogliere la complessità del mondo clinico in generale.


LA PSICOTERAPIA IN ITALIA : LE SCUOLE POST-UNIVERSITARIE.

Che le Scuole di formazione post-universitarie siano uno dei 3 poli fondamentali di sviluppo del sapere in Psicoterapia è un dato sicuramente incontrovertibile. Ma proprio il tema di un riconoscimento dell’importante ruolo svolto dalle Scuole serie e fondate, che riesca a discriminare la qualità scientifica dalle improvvisazioni, è sicuramente il problema scottante del momento. Esistono a proposito due tendenze nella SIPs e nel mondo clinico in generale. Una è di tipo garantista, e cerca di tutelare pressocchè indiscriminatamente tutti gli psicologi che fanno formazione in psicoterapia. Pur accettando l’esigenza di alcuni standards e parametri di qualità, questa tendenza abbraccia il presupposto che in un certo senso vadano riconosciute tutte le strutture, in quanto vanno salvaguardate tutte le tecniche adoperate, come fossero assimilabili di per sé a sistemi teorici e a modelli clinici completi, verificati e ben radicati nel mondo scientifico. L’altra linea che definirei scientifica è quella che la Divisione Clinica sostiene in pieno e che ha prodotto, tramite una sua Commissione (di cui ha fatto parte anche il sottoscritto), il Documento per un Progetto di Archivio delle Strutture di Formazione in Psicoterapia. Questa linea promuove, più che un’elencazione di Scuole che siano dentro o fuori parametri prestabiliti, il concetto di sviluppo scientifico e delle conoscenze che sono la ricchezza del polo costituito dalle Scuole di Formazione. Essa risponde alla tendenza sempre più pressante di un maggiore collegamento tra le prassi operative (che oggi sono veramente miriadi e in un certo senso incontrollabili) con dei sistemi teorici generali e fondati, coerenti al loro interno e collegati sia alle formulazioni della psicologia sperimentale che alle ricerche che si svolgono nell’ambito di discipline scientifiche contigue alla psicologia. E’ insomma il problema della rifondazione scientifica e della sperimentabilità anche in psicologia clinica che sta in primo piano. Per questo gli item che compongono il Documento—indagine sono domande aperte, domande-riflessione, che stimolano le Scuole ad un grosso lavoro di definizione di modelli teorici, di verifica delle congruenze interne, di ripensamento sulle necessarie interconnessioni tra metodologie formative e formulazioni della teoria generale di riferimento. Questa linea, che in fondo fornisce garanzie ben più radicate alle Scuole stesse, vuole in definitiva potenziare l’esistenza di quel patrimonio di conoscenze e di esperienze accumulato nelle strutture formative. Ma tende al contempo a stimolare una stretta interazione tra Formazione e Ricerca, indispensabile ad evitare due grossi pericoli. Da una parte sclerotizzazioni, tautologie, insegnamenti fatti di ripetitività e applicazioni pedisseque di calchi e di regole; dall’altra invenzioni arbitrarie, proposizioni prive   di fondamenti scientifici, mancanza di coerenza del modello, scollamento dai risultati e dai dati delle ricerche in campo psicologico innanzitutto e negli altri campi concernenti il funzionamento dell’essere umano. Oggi l’ennesima separatezza tra approcci e metodologie differenti corre il rischio di perdere il suo valore di arricchimento delle conoscenze, e di avallare un rifiuto di una mentalità sperimentale e scientifica che, pur tenendo conto delle specificità del campo clinico (intersoggettività, relazione come oggetto centrale di studio), deve permeare una ridefinizione delle pratiche e dei modelli di psicoterapia. Probabilmente questo stato frammentario della disciplina ha come condizioni storicamente determinanti una presenza totalizzante del modello psicoanalitico, e una necessità delle altre Scuole di esasperare le differenze (o di inventarne a volte forzatamente di nuove) per acquisire una corposità che le rendesse visibili. Ma la frammentazione e la proliferazione ha finito (specie negli ultimi tempi, sotto la spinta di una proposta di legge per il riconoscimento giuridico) per far spingere sull’acceleratore delle ideologie e dell’immagine esterna, più che su di un lavoro epistemologicamente fondato.

Vediamo allora quali possono essere i punti cruciali e le problematiche che oggi le Scuole devono affrontare per evitare il rischio di una involuzione del sapere.

1) La definizione epistemica dei modelli. Comporta un’assunzione di mentalità scientifica (più che sperimentalista in senso ristretto) nell’individuare e rafforzare le proposizioni teoretiche e le modalità operative del modello che  non siano in contraddizione tra loro, che reggano a criteri di verifica, che risultino (anche se in senso lato) “falsificabili”, o comunque in grado di far discriminare tra ipotesi significative e ipotesi ininfluenti o incongruenti col modello teorico in oggetto. Sperimentabilità ed atteggiamento scientifico significano anche guardare ad una coerenza complessiva de modello teorico; e soprattutto utilizzare dati e risultati che provengono dalla psicologia generale ed applicata da discipline che studiano il comportamento umano da più punti di vista.

2) Confini ed osmosi. La individuazione delle specificità teoretiche non va intesa tanto come delimitazione di ambiti di applicazione diversi e separati nei vari indirizzi di psicoterapia, quanto piuttosto come la chiarificazione di confini di conoscenza che da ciascuna teoria-prassi possono essere raggiunti ed esplorati. I confini allora possono assolvere al compito di trasdurre conoscenze (più che di parcellizzare), veicolando, proprio con una osmosi attraverso di essi, con una condizione di mobilità e trasparenza, dati e risultati all’interno di un continuum scientifico che è il corpus teorico della psicologia clinica. Anzi è proprio da questa osmosi (non stupido eclettismo, stravolgente assunzione di metodologie e tecniche diverse) graduale e lenta di tecniche, di settings, di punti di vista differenti, che può giungere la capacità di individuare elementi comuni, di illuminare aree di dubbi e di incongrunze, per realizzare una impostazione epistemologicamente corretta dell’intera disciplina; ricerca “unitaria” nelle sue differenziazioni, capace di utilizzare in modo intelligente contributi di varie e differenti tendenze. Ritrovare dei confini chiari significa abbandonare una modalità confusiva che si ostina a considerare ogni modello senza limiti e specificità, come se potesse ricoprire l’intero universo psicologico-clinico. I confini invece sono punti di passaggio e di contatto per la costruzione di un senso comune, di un’area complessiva di ricerca e di intervento.

3) Interrelazione modello clinico-formazione. Se la Formazione ha una valenza di modificazione ampia, profonda e in tenore degli individui, può essere considerata come un processo che tende a ricostruire un senso in aree emotive e conoscitive dove sembrano essersi perse continuità e congruenza. E’ evidente allora lo stretto parallelismo con la pratica psicoterapeutica se si considera che anche nella relazione “formatori allievi” si cerca di giungere a(o partire da) aree cosiddette integrate, dove esistono ancora forti comunicazioni tra movimenti appartenenti a piani differenti: Emozioni, Razionalità, Percezione, Apprendimento, Sensazioni e così via. Ma pur considerando la necessità che formazione e modelli clinici siano epistemicamente correlati, proprio per quanto dicevamo prima, risulta evidente che non possono sussistere iter formativi a sé stanti per ciascuna Scuola di formazione. Proviamo a considerare allora quali caratteristiche comuni si debbano riuscire a realizzare e concretizzare in ogni processo formativo, e quindi in ogni Scuola di Formazione:

  1. b) Inventiva e creatività come modalità specificamente clinica di formazione, purchè si individuino tappe, fasi, principi e strategie generali strettamente connessi con i modelli teorici in questione.
  2. c) Formazione non come somma di esperienze che è possibile “accumulare” per giustapposizione, ma presenza e progettazione di un iter profondo e unitario di trasformazione oltre che di apprendimento.
  3. d) Utilizzazione nei processi formativi di quei concetti base presenti anche nei modelli terapeutici: quali quelle particolari interazioni tra il Sé e il mondo esterno che costituiscono il campo contransferale, come condensazione nel presente di tutti gli esiti stratificati delle relazioni trascorse; oppure la modificazione continua delle incongruenze che si presentano nei sistemi aperti costituiti dal complesso formatori allievi; e così via.
  4. e) Come nello sviluppo del bambino assume particolare importanza la capacità di “decentrarsi” e assumere punti di vista differenti, così per i processi (che dovremmo più correttamente definire riformativi) è necessario realizzare un decentramento cognitivo e percettivo. Non ci si può allora limitare al solo rapporto diadico formatore-allievo, analista didatta-paziente, ma bisogna aprire a relazioni multiple e gruppali, a esperienze di decentramento esperienziale, a tirocini anche con trainers di altri approcci, pur mantenendo nel complesso una unitarietà e specificità di impostazione.
  5. f) La formazione assume allora il senso di una strada, di una ridefinizione del proprio campo relazionale che non può per ciò essere episodica, una volta per tutte, ma che va supportata come formazione permanente. Ciò rompe con la vecchia concezione dell’applicazione di un sapere conchiuso, e apre all’intrecciarsi del sapere col saper essere e il saper fare, necessario per un adeguamento continuo all’accumularsi in tempi brevi di nuovi dati, ricerche e ipotesi che ridisegnano il campo conoscitivo.

Un modello generale della formazione potrebbe allora esse re il seguente :

Le proposizioni generali in Psicologia clinica deriverebbero non solo dalla psicologia di base e dai dati provenienti da altri campi scientifici, ma anche da una pratica e una teoria della FORMAZIONE che agirebbero da filtro, discriminando gli elementi fondamentali delle teoresi di riferimento. “La formazione è infatti pensare alla formazione, rielaborarla ed organizzarla, interpretando un modello clinico in chiave di trasmissione di capacità, di conoscenze e di modali tà di essere anche nel profondo”. (Rispoli 1986) “La formazione è la vera chiave di lettura di un modello teorico, poichè è un pensiero che si organizza ed organizza. E questo è ancor più vero in Psicologia clinica poichè la prassi terapeutica è profondamente intersoggettiva così come i pro cessi formativi.” (Rispoli 1986),)

Riprendendo in esame le problematiche relative alle Scuole di Formazione post-universitarie, possiamo affrontare ancora 2 ordini di questioni. La prima riguarda l’organizzazione e i modelli formativi in senso operativo. La seconda ciò che nelle Scuole si può realizzare al di là delle ristrettezze e delle norme istituzionali che a volte possono impastoiare le strutture pubbliche. Problemi strutturali. Riguardano la struttura complessiva delle Scuola. Possono essere riassunti nei seguenti tre punti:

1) L’immagine esterna. La necessità di avere un’immagine che non sia solo facciata, laddove oggi è forte la tendenza verso un look quasi del tutto costruito. E’ un equilibrio dunque delicato e non facile da raggiungere. A questo riguardo la produzione scientifica può fungere da garante della consistenza e della qualità; ma spesso la produzione scientifica è separata dall’immagine, e non giunge al pubblico e quindi alle possibili utenze e committenze. E’ un problema che quindi investe anche il rapporto tra pubblicazioni scientifiche e pubblicazioni di massa, e l’accesso dei ricercatori e dei loro lavori ad entrambe.

2) Qualità e quantità. La Scuola di formazione è pur sempre un’azienda e come tale deve poter avere un bilancio non fallimentare. E’ necessario anche qui una non facile capacità di raggiungere un equilibrio tra quantità di allievi, di corsi, di sedi nazionali (che dia fondi sufficienti per una sopravvivenza significativa, per le ricerche, i contatti, ecc.) e qualità. Questa ultima non deve distaccarsi troppo dai livelli di un buon laboratorio di ricerca in cui l’équipe operi in continua e stretta collaborazione.

 3) Collegamento tra i tre poli della ricerca. Affinchè non vada sprecato il potenziale empirico e teorico della Scuola, ma vada, anzi, rafforzato, bisogna che sia reso effettivo il collegamento con gli altri dite poli di sviluppo della Psicologia clinica: vale a dire l’Università e i servizi territoriali.

Problemi operativi.

Sono numerosi ma estremamente importanti poiché veicolano direttamente le impostazioni scientifiche e metodologiche della Scuola nel rapporto formativo con gli allievi sul campo. Possiamo raggrupparli sinteticamente nei seguenti punti:

 1) Organizzazione della ricerca. Come vi partecipano gli allievi; quali e quanti i finanziamenti. Come collegarsi con altre strutture di ricerca pubbliche e private. Come far circolare ipotesi scientifiche e risultati.

2) Standards formativi e risultati. Mettere a punto nell’iter   formativo momenti di verifica di fasi, stadi, tappe evolutive dei processi formativi che siano legati al modello ma che al contempo possano trascenderlo connettendosi alle proposizioni scientifiche di un corpus teorico clinico generale. Dunque strumenti di verifica che possano essere adoperati al di là dei singoli protagonisti, comunicati scientificamente e proponibili all’intera area disciplinare.

3) Tirocini. Sono uno dei punti più delicati e cruciali dei processi formativi che organizza una Scuola, perché: momenti di intersezione tra prassi e teoria, confronto con altri indirizzi, verifica epistemologica, ricerca di criteri valutativi dei risultati raggiunti.

 Debbono poter abbracciare pratiche individuali e gruppali, senza dimenticare neppure il settore della crescita della personalità, vale a dire l’osservazione direttamente con l’infanzia, nelle varie fasi dello sviluppo evolutivo. Riportiamo una possibile griglia organizzativa e operativa di una Scuola.

  • Gruppo terapeutico
  • Terapia individuale
  • Intensivi
  • Seminari teorici
  • Laboratorio didattico
  • Tirocini guidati: Infanzia; Gruppo; Colloqui clinici
  • Supervisione gruppale
  • Supervisione individuale

Per concludere possiamo dire che la potenziale “libertà di azione” (cioè di scelta di iter e di strategie facilmente modificabili) delle Scuole di Formazione post-universitarie ne fa un laboratorio di ricerca per certi versi privilegiato. E’ possibile approfondire in modo circostanziato il modello teorico in oggetto sia approntando metodologie di ricerca e formative di volta in volta adatte, sia perchè alla Scuola non si richiede una neutralità di insegnamento, dal momento che il punto di partenza è anzi fortemente centrato sulla teoria di riferimento. A questa conoscenza specifica forniscono poi un arricchimento ulteriore gli apporti di studiosi dello stesso delimitato campo a livello internazionale, molto spesso chiamati come trainers fissi od ospiti della Scuola. Questa ricchezza non va né sottovalutata né sciupata; ma può essere realmente garantita solo da una chiarificazione sulle strutture interne delle Scuole, da un dibattito aperto e trasparente. E’ necessario inoltre che in collegamento tra di loro e con la SIPs si prosegua il lavoro della Divisione Clinica verso una capacità di sviluppare conoscenze scientifiche e metodologie. Solo in questo senso si può arrivare, in presenza o meno di una Legge dello Stato, ad una organizzazione che discrimini in modo significativo, dando propulsione, forza, presenza e collegamenti a quelle strutture che si sono mosse e si muovono nel senso di una riformulazione e un ampliamento dell’intero corpus teorico della Psicologia clinica.