Luciano Rispoli psicologo: Come cambia l’uomo in ferie.

in “La Repubblica” – Napoli, 23 agosto 1991.

Luciano Rispoli, presidente degli psicologi campani, riflette sulla difficoltà dell’uomo a modificare il proprio stile di vita a favore di un cambiamento che può risultare benefico. Il corpo e la mente, indissolubili, reagiscono insieme al cambiamento, eliminando la dicotomia corpo-mente.


Alcuni giorni fa la televisione dava una notizia curiosa a proposito del famoso “mal di testa della domenica”. Recenti studi avevano scoperto che a provocarlo non erano cause di tipo psicologico, ma il semplice fatto di non prendere il solito caffé la mattina, appena svegli. Siamo alle solite ineffabili scissioni tra la parte psichica e quella corporea dell’uomo, perpetrate così sovente nella cultura occidentale. Alla luce delle attuali conoscenze, è invece molto più verosimile ritenere che ciò che produce il malessere e le cefalee non sia in realtà la mancanza di caffeina quanto il cambiamento: cambiamento nei ritmi, nelle ore di sonno, nella collazione mattutina (anche), nelle attività della giornata. Psichico e somatico sono, come sempre, strettamente intrecciati: il corpo e la mente reagiscono insieme al cambiamento. Non si vuole assolutamente affermare che il cambiamento sia dannoso. Al contrario, il cambiamento è estremamente benefico; purché non sia troppo rapido e totale, ma morbido, graduale, modulato dolcemente. Dopo una settimana di lavoro intenso (e di caffé mattutino) l’interruzione festiva troppo brusca genera squilibri e sofferenze (tipica e anche la depressione della domenica).

Cosa dire allora delle vacanze estive, di questo dover modificare vita e abitudini dopo un intero anno?

Possiamo capire perché tanti malanni colpiscano proprio quando stiamo per andare in vacanza, e come le persone, inconsapevolmente, tentino di opporsi al cambiamento. Chi rimandando i preparativi per la partenza (per poi dover fare tutto con l’acqua alla gola). Chi invece “prolungando” le ultime cose da sistemare al lavoro. Chi non interrompendolo nemmeno, e portando con sé carte e pratiche da sbrigare. Altri si difendono dal cambiamento tenendo con sé in villeggiatura tutto quello che possono prendere della casa cittadina. Tutti abbiamo avuto la visione di automobili stracariche di ogni genere di suppellettili, di sedie, tavoli, biciclette, televisori, tappeti, letti e materassi. Le vacanze come un trasloco!

Ma chi, del resto, non ha fatto almeno una volta l’esperienza di mettere in valigia, nel dubbio, anche quella camicia e il pantalone blu che possono sempre servire?

E perché non qualcosa di pesante (chissà se si guasta il tempo e viene freddo); e non dimentichiamo il vestito elegante da sera; poi per ritornare a casa dal viaggio avendo usato come al solito neanche la metà dei vestiti portati?

Sono tutti esorcismi contro il cambiamento troppo radicale, umanamente comprensibili. Ma c’è un limite a tutto. Credo che il colmo mi capitò di vederlo in un campeggio, dove una “graziosa famigliola”, oltre a televisori, frigoriferi, moquette, tappetini, pentole, piatti, servizi di tutti i tipi, sfoggiava anche una mastodontica affettatrice elettrica. Ma il cambiamento fa bene, anche se all’inizio una dose di malessere può, a volte, nonostante le precauzioni e le gradualità, essere inevitabile.

L’aria buona e la vita più salubre spesso all’inizio provocano disturbi (cefalee, giramenti di testa, debolezze, mal di pancia) perché l’organismo intossicato, non abituato a vivere in modo sano, all’aperto, godendo dei benefici effetti dell’ossigeno, soffre di una sorte di crisi di astinenza (e come potrebbe essere diversamente, provenendo da questa città, tra le più inquinate d’Italia?)

Le tossine incamerate nel nostro corpo e nella nostra psiche, le tossine dell’abitudine, vanno in circolazione proprio durante il cambiamento, aggredendo il nostro senso di salute, per l’equilibrio perso. Ma niente paura: dopo ci si sentirà veramente bene. L’importante è immergersi nella natura; sentire finalmente il proprio corpo, lasciarlo vivere più libero, sciolto, in un’osmosi continua con l’ambiente; essere più in contatto con noi stessi.