Luciano Rispoli psicologo: I modelli Psicologico-clinici per i servizi psichiatrici.

in Benvenuto S., Nicolaus O. (a cura di) “La bottega dell’anima” – Franco Angeli, Milano 1990.

Luciano Rispoli, psicologo e psicoterapeuta, propone dei modelli psicologico-clinici a supporto dei servizi psichiatrici, attraverso la psicoterapia Corporeo-caratteriale.


La capacità operativa

Il problema principale dei servizi territoriali, visto dall’angolazione dell’indirizzo clinico-terapeutico, si incentra su due aspetti apparentemente disgiunti ma, invece, profondamente interdipendenti: la capacità operativa e la formazione degli operatori. Per capacità operativa intendiamo una concatenazione congruente e non arbitraria di formulazioni che porti dal livello teorico generale all’esplicitazione di dispositivi di cura, di tecniche specifiche, di metodologie adatte a quel setting e a quella determinata istituzione. La grande sfida dei servizi di consulenza psicologica e di igiene mentale alla psicologia clinica e alla psi­coterapia è nel doversi misurare con la più svariata patologia, anche quella psichiatrica grave. Capacità operativa assume il significato di mettere a punto uno strumento efficace al di là del rigore e dell’immutabilità del setting, ma ancora basato su elementi che non appartengono a quella particolare relazione. A facilitare la ricerca di tali elementi, che abbiano una costanza di sussistenza, al di là delle condizioni ambientali, c’è quel particolare evento di “regressione e di transfert iniziali”. Sin dall’inizio il rapporto con lo psicologo, con il medico, con il terapeuta è, cioè, tutto intessuto delle condensazioni nell’attuale di emozioni trascorse, delle stratificazioni di storia passata, degli esiti di altre e più antiche relazioni, che si ravvivano in quell’evenienza. Sin dai primi incontri, anche nelle condizioni di un servizio pubblico, c’è un intensa aspettativa affettiva dall’utente, che colora in modo intenso la relazione, al di là dei particolari che caratterizzano il luogo, le persone, le attrezzature e così via.

La formazione degli operatori

 La formazione degli operatori è un aspetto intimamente legato al progetto operativo, poiché ne è il secondo fondamentale strumento. Non è possibile utilizzare un qualsivoglia modello se non vi sia conte­stualmente un insegnamento-apprendimento su come realizzare l’intervento stesso, cosa tener presente degli innumerevoli aspetti che caratterizzano la relazione, su quali parametri intervenire, come capire e facilitare le modifi­cazioni. Formazione e metodologia di intervento sono legati in un divenire che si arricchisce di volta in volta, astrae proposizioni e formulazioni più generali, si riammette nella realtà dei servizi come strumento potenziato, in un circolo a feedback continuo… La ricchezza delle esperienze di chi lavora nei servizi deve affiancarsi alle comici teoriche di riferimento, per divenire ricerca scientifica. La formazione diviene dunque l’anello di congiunzione tra il modello teorico e una prassi che deve rispondere all’urgenza drammatica dei proble­mi psichici dell’utenza.

La costanza della struttura caratteriale e funzionale

La psicoterapia funzionale (che prende le mosse dalla Vegetoterapia di Wilhelm Reich), e che è stata elaborata in più di venti anni di attività e di n­cerche, da tempo si interessa a queste problematiche attraverso una prassi sperimentale che ipotizza una Scuola di formazione direttamente implicata nei servizi, sia pubblici che privati. Questi ultimi sono costituiti dalle attività interne agli Istituti della Società italiana di psicoterapia funzionale e corporea (Sif), nel campo dell’infanzia (apprendimento, socializzazione, sviluppo evolutivo), in quello della nascita (preparazione al parto, parto, assistenza neonatale), nel settore più propriamente della psicoterapia (adul­ta, infantile, di gruppo, ecc.) e infine nel couseling (problemi relazionali, familiari, terapie focalizzate, disturbi psicosomatici, ecc.). Uno degli elementi che si possono considerare generali, presenti cioè in ogni condizione relazionale e terapeutica, è la costanza della struttura carat­teriale e funzionale del Sé. Essa si basa sui “messaggi” ripetitivi e stereoti­pati che la persona esprime nei confronti del mondo circostante, in maniera per lo più inconsapevole. A questa comunicazione partecipano più piani re­lazionali: dal tono di voce alla gestualità, dalle posture del corpo alla sua configurazione merceologica, dalle modificazioni vegetative alla scelta delle parole e della loro concatenazione. La maggior parte di tali elementi non è strettamente influenzata dall’am­biente circostante; il che significa che in qualsiasi “condizione al contorno”, in ogni setting, in ogni struttura istituzionale, la persona esprimerà la pro­pria modalità caratteriale di relazione in maniera riconoscibile ed inequivo­cabile. Ciò permette di formulare una diagnosi funzionale delle condizioni del Sé anche in situazioni non protette, disturbate, e in genere in condizioni lontane dalla purezza del setting.

Un criterio modulare di verifica

Diagnosi e terapia non possono che essere strettamente intrecciate, dal momento che le formulazioni generali e più astratte della diagnostica deri­vano direttamente dalla prassi terapeutica adoperata: viceversa è l’analisi permanente della situazione a indicare la strategia operativa da seguire. L’utente ha sin dall’inizio bisogno di una risposta diagnostica chiara ed esauriente, che colga i suoi bisogni più profondi e si accorga dei nuclei più nascosti del Sé, incapsulati a più livelli, vuoi nelle posture, vuoi nelle alte­razioni fisiologiche, vuoi nei movimenti. Sappiamo che il valore terapeutico di una tale diagnosi iniziale è già per sé elevato, a ulteriore riprova che i due momenti sono solo fittiziamente separati. Ma nel corso dell’intervento tera­peutico è possibile individuare la presenza permanente di una diagnosi le­gata ai processi in corso, al modificarsi della relazione, dell’espressione ca­ratteriale, della configurazione funzionale del Sé. La psicoterapia funzionale ha posto specificatamente l’accento su questo aspetto della metodologia, nell’ambito più complesso del delicato tema della sperimentabilità e scientificità in psicologia clinica. Si tratta di individuare elementi costanti presenti in ogni processo tera­peutico, di individuare cioè fasi e strutture che si susseguono in ogni sin­gola vicenda, al di là di particolarità e differenze. Le fasi possono essere considerate come i modi in cui si sviluppa la relazione terapeutica dall’inizio sino alla sua conclusione. In tutte le psicoterapie si ritrovano modalità simili se non identiche (così come è costante la configurazione del Sé del paziente in ogni condizione esterna); esse piuttosto variano all’interno del singolo caso, diacronicamente. Fasi e strutture si presentano dunque come elementi base per un discorso scientifico sulla ripetibilità e comunicabilità di quanto avviene nell’intera­zione terapeutica, e in particolare come elementi centrali per costruire un’ipotesi di verifica dei risultati a medio e lungo termine. Questa ipotesi è di tipo modulare e processuale (Rispoli 1988); segue cioè l’andamento della relazione punto per punto, modulo per modulo, e permette di verificare non solo i risultati in senso assoluto, ma soprattutto se e attraverso quali condizioni si passi da una fase all’altra, si proceda in avanti nel corso del trattamento. In psicoterapia funzionale una tale concezione di verifica è strettamente connessa ad un altro concetto, quello di mobilità, che deriva, come propo­sizione generale, direttamente dal modello del Sé corporeo e dai suoi aspetti funzionali. La mobilità è un criterio che attraversa le varie parti del Sé, come capacità o meno del paziente di spaziare in una determinata dimen­sione, di utilizzare tutte le possibilità e le strategie che non compongono la gamma. Per dimensione si intende un insieme di sfumature o scelte com­prese tra due poli opposti, appartenente ad una delle quattro grandi aree in cui abbiamo raggruppato le funzioni del Sé (fig. 1).

  

Le quattro aree funzionali sono:

  1. muscolare-strutturale (posizioni del corpo, stereotipie somatiche, mor­fologie, blocchi muscolari, ecc.)
  2. fisiologica (apparati e sistemi interni, quale il respiratorio, il cardiocircolatorio, il neurovegetativo, il sistema sensoriale e percettivo)
  3. emotivo-affettiva (tonalità delle relazioni oggettuali, pulsione nell’agire, valenza verso le mete, ecc.)
  4. cognitivo-simbolica (pensiero razionale, consapevolezza, mondo figu­rativo- simbolico, fantasie, ricordi, ecc.).

Una delle dimensioni che appartengono, ad esempio, all’area emotiva è quella della rabbia-tenerezza, naturalmente con tutte le sfumature che sono contenute tra questi due poli, oppure quelle del coraggio-paura,fiducia-sfi­ducia, agitazione-tranquillità, e così via. Le dimensioni invece del tipo caldo-freddo, vagotonìa-simpaticotonìa, appartengono al fisiologico; oppure ci sono quelle del postulare (prendere­lasciare, avvicinare-allontanare, teso-rilassato, ecc.); quelle del percettivo (vicino-lontano, grande-piccolo, ecc.); e così via per tutte le altre fonda­mentali funzioni del Sé. Ciascuna di queste dimensioni ci permette di verificare se il paziente ha la possibilità di spaziare nell’intera gamma, e se è in grado di scegliere volta per volta la coloritura e la strategia più adatte alle condizioni esterne del momento. E ciò vale per i sentimenti come per la gestualità, per la perce­zione come per la fantasia, per la razionalità come per il funzionamento biologico.

La tecnica terapeutica nei servizi

Un siffatto criterio di verifica ci conduce direttamente alla tecnica tera­peutica, come risposta ai pressanti problemi dell’utenza. Nell’eziologia dei disturbi psichici intervengono fattori di varia natura, connessi alla storia e al vissuto del paziente nelle sue molteplici interazioni affettive e relazionali. L’esistenza di concause sociali e ambientali del disa­gio psichico non dovrebbe in alcun modo comportare uno scarico di re­sponsabilità da parte dell’équipe deputata all’intervento clinico, ma casomai ribadire la necessità di approntare strumenti integrati, che possano agire su più piani e mettere in moto, appunto, anche quegli aspetti più propriamente culturali e sociali che un’istituzione pubblica dovrebbe riuscire a mobiliz­zare. Qui necessariamente limiteremo il discorso a quel versante della tecnica operativa relativa al campo specifico della psicologia clinica (includendovi anche le pratiche definire “psichiatriche” che non si riducano alla sommini­strazione di farmaci), rimandando ad altri scritti l’altro aspetto del pro­blema. Ricorderemo soltanto come il modello funzionale si stia sviluppando anche in quella direzione, rivelando la possibilità di costruire diagrammi dei fondamentali processi funzionali delle istituzioni, del territorio, del tessuto sociale; da cui una serie di strategie operative (legate ad una precisa dia­gnosi) misurabili nei loro effetti e nel loro evolversi. La psicoterapia funzionale ipotizza tre differenti modelli di intervento, nel campo più strettamente clinico:

  1. diretto ed individuale: si rivolge direttamente al paziente e permette di affrontare situazioni strettamente connesse con la caratterialità e la strut­tura personale profonda del Sé. Ne parleremo diffusamente più avanti;
  2. dimensione di gruppo. agisce sulla gruppalità interna ed esterna dell’in­dividuo, non tanto nell’affrontare la patologia specifica ed i sintomi dei soggetti, quanto nel modificare tutti gli elementi che agiscono nella dimensione relazionale o tutti quegli elementi fisiologici, posturali ed emotivi che concorrono a sostenere la patologia.

Nel delineare la modalità con cui il gruppo si rapporta con sé e con il terapeuta, sono fondamentali gli elementi di configurazione somatica gruppale: quali il porsi nello spazio, usare le strutture del luogo, i mo­vimenti, i sottogruppi, la rumorosità e così via. Anche nella tecnica di gruppo uno degli strumenti fondamentali è la re­gressione psicosomatica, che consiste nel raggiungere con più modalità, non solo globali ma anche corporee, particolari zone del Sé, aree pro­fonde dove la gruppalità abbia ancora significato non rimosso, dove solleciti ancora risonanze congruenti nella struttura emotiva, percettiva, motoria e verbale del soggetto. E’ da queste aree che può ripartire un cammino di esplorazione e mobilizzazione anche delle zone più chiuse, dove cioè la mobilità sui vari piani è ridotta e le risposte sono limitate e cristallizzate. Non tutti gli interventi di gruppo sono riferibili come psicoterapeutici in senso stretto (pur essendolo nel senso più ampio, in base alla formula­zione del modello funzionale), ma neppure sono sovrapponibili ai clas­sici “gruppi di lavoro” orientati esclusivamente al compito;

  1. condizioni al contorno: questo intervento, che può essere definito di “psicoterapia indiretta”, è rivolto alle figure affettive e significative in contatto con il paziente. E’ insostituibile nel caso dei bambini piccoli, per i quali è solo tramite i genitori che si può arrivare ai nuclei affettivi profondi del Sé. Risulta comunque molto utile, affiancato da altre metodologie, in numerose altre situazioni, poiché permette una sinergia di iniziative su più fronti che consolidano l’operato terapeutico in senso stretto e modificano le condizioni (familiari, scolastiche, ecc.) che hanno contribuito a generare o a mantenere il disturbo in questione.

E’ importante sottolineare che non si tratta di un intervento di tipo so­ciologico o assistenziale, che pure un servizio territoriale può svolgere. Stiamo parlando pur sempre di un intervento clinico, teso come tale a modificazioni, non di tipo strutturale ma psicodinamico, delle persone che sono in stretto contatto con il soggetto in cura.

Interventi individuali

Possiamo considerare tre modalità con cui effettuare un intervento diretto individuale.

Diagnosi terapeutica. Le esigenze profonde che sono alla base della struttura di personalità e al di sotto dei tratti caratteriali riflettono parti del Sé che molto spesso hanno avuto scarsissime possibilità di essere accettate, espresse ed elaborate nella vita del paziente. Rappresentano perciò spesso l’indicazione di un cammino reintegrativo che a volte la persona può percorrere da sola, e che le si apre dopo un aiuto iniziale diagnostico-tera­peutico che rimette in moto processualità psicocorporee fino a quel mo­mento immobilizzate.

Terapie focalizzate. L’uso di altri piani di comunicazione oltre a quello verbale, l’intervento diretto sul corpo del paziente, l’uso del modello quadrifunzionale del Sé, hanno dimostrato via via, nei 20 anni di ricerche della psicoterapia corporea e funzionale, che sempre di più molti sintomi rece­dono già nelle prime fasi del trattamento. Raggiungendo con tecniche inno­vative in tempi molto brevi aree profonde del Sé, si consegue l’immediato effetto di alleviare notevolmente un’ampia gamma di disturbi di tipo psi­chico, somatico o psicosomatico. A volte questi risultati si rivelano di per sé sufficienti, perché spezzano il circolo chiuso ed inarrestabile del disagio: sintomo-paura-conflitto relazionale-ulteriore rimozione e alterazione del Sé-sintomo; e lo spezzano da più parti contemporaneamente, con effetti pro­gressivi che portano a un nuovo soddisfacente equilibrio di vita. Non stiamo parlando di terapie “sintomatiche”, poiché il lavoro non si rivolge al solo sintomo, ma investe comunque tutti i piani su cui l’individuo ha visto ridotta la propria mobilità: dalla evocazione di ricordi alle formula­zioni simbolico-oniriche, dalla condizione posturale al funzionamento fi­siologico. Si tratta dunque di vere e proprie psicoterapie che possiamo chiamare focalizzate, nel senso che alcune parti della personalità sono lasciate sullo sfondo e non vengono raggiunte attraverso la regressione psicosomatica ai nuclei del Sé. Parallelamente alcuni elementi della struttura caratteriale non vengono modificati, ma continuano a sussistere pur se in un nuovo equili­brio.

Psicoterapia istituzionale. Un trattamento di psicoterapia in senso stretto realizzata all’interno dei servizi pubblici deve poter coniugare le caratteristi­che specifiche del modello teorico-tecnico utilizzato con le condizioni par­ticolari dell’Istituzione.

Le ipotesi e la pratica di un modello funzionale hanno dimostrato che è possibile, in un ampio numero di casi, riconnettere questi due aspetti, rea­lizzando un intervento che conservasse elementi di “continuità”, come l’analisi del transfert e della struttura caratteriale, e la razionalità attraverso tutti i piani del Sé funzionale. Pur non godendo della protezione di un set­ting privato, respirazione, movimenti, mobilizzazione delle posizioni del corpo sono ben accetti al paziente, poiché egli avverte in queste tecniche una tranquillizzante concretezza, un senso di risposta immediata ai suoi problemi. Nello stesso tempo i primi miglioramenti giungono molto presto, nella grande maggioranza delle sintomatologie trattate, e rassicurano in modo tangibile la persona sulla sensazione che sta ‘Tacendo” qualcosa per se. Ciò permette di calmare le prime ansie, di modificare le condizioni di transfert negativo e quindi di affacciarsi a quella tolleranza e a quella capa­cità di accettazione indispensabili per esplorare parti di sé più profonde e nascoste. E’ così possibile proseguire nella regressione psicosomatica, sui piani corporei e psichici più profondi, senza il pericolo di angosce eccessive che la mancanza di un contenimento somatico (connesso profondamente alla memoria corporea, alle sensazioni di benessere, di cura, di holding che il bambino porta impresse in tante parti del suo corpo), non riuscirebbe ad evitare. Da qui si può procedere, in tempi neanche troppo lunghi, a quella paziente e delicata ricucitura delle sconnessioni e delle incongruenze, a quella riequilibratura delle varie aree funzionali del Sé, caratteristica della psicoterapia funzionale (fig. 2).

Alterazioni delle funzioni del Sé in un caso clinico.

Le riconnessioni partono dal nucleo interno ancora integrato, a cui si può accedere soprattutto attraverso le aree funzionali meno sclerotizzate e scisse, che qui sono il fisiologico, il razionale, l’immaginativo. Un intervento terapeutico del genere ha una tale intensità, con vissuti psico-corporei così vividi, che presenta il vantaggio (fondamentale in un servizio pubblico) di non aver bisogno di una frequenza elevata di sedute. Ciò permette di rispettare tempi ed esigenze istituzionali, poiché lo psico­logo, lo psichiatra, devono poter seguire, anche se a diversi livelli di inten­sità, numerosi casi e molteplici richieste nella medesima fase temporale.

Campi di applicazione

 L’uso del corporeo e del funzionale, costanti nelle loro manifestazioni in ogni tipo di setting e di razionalità, rende questo modello flessibile e appli­cabile in vari campi. Non è questa la sede per descrivere dettagliatamente le modalità con cui lo si è fatto ed i risultati ottenuti. Citeremo solo alcuni dati riassuntivi e generali.

  1. Nella gravidanza e nel parto le tecniche di psicoterapia corporea e funzionale hanno permesso allentamenti, significativamente consistenti, tanto delle tensioni muscolari croniche quanto delle ansie e delle angosce ti­piche o anomale di quel periodo. Inoltre si è accresciuta notevolmente la capacità di benessere della madre durante tutta la gestazione (sono anche diminuiti i disturbi, quali stanchezza, dolori, nausea, lombo-sciatalgie) e si è instaurata una buona capacità di accoglimento e di contatto col neonato.

Si sono registrati così aumenti considerevoli di parti spontanei, svoltisi in maniera naturale e più “attiva”, più rapidi e meno dolorosi, con una mi­gliore condizione psicofisica del bambino, anche per un lungo periodo suc­cessivo alla nascita.

  1. L’intervento diretto sul neonato immediatamente dopo il parto ha mi­gliorato in tutti i casi la qualità della respirazione e dell’espressività emotiva, riducendo di più del 50% l’uso dell’ossigeno a pressione e di farmaci nei casi di difficoltà e di ritardo della respirazione iniziale nei primi minuti di vita.
  2. Relativamente a problematiche scolari si sono affrontate con successo, tramite tecniche derivate direttamente dal modello del Sé funzionale, situa­zioni di difficoltà e di blocchi di apprendimento di vario tipo.

Inoltre con bambini in età prescolare si è sperimentato come essi siano in grado di acquisire molto precocemente elementi costitutivi di concetti logici (ad esempio matematici o di fisica).

  1. Considerando che la formazione è fondamentalmente un processo di ristrutturazione del campo percettivo-motorio-cognitivo-emotivo, sono stati utilizzati i concetti base del modello funzionale anche in processi formativi a vari livelli: dalla formazione specifica per psicoterapeuti a quella di gruppi per insegnanti (anche all’interno della scuola stessa); da quella degli psico­logi delle Usl a quella degli operatori dei servizi materno-infantili, ecc.

Modello formativo

Se la condizione di base del progredire delle conoscenze, relative al di­sagio psichico dell’uomo, è realmente nella ricerca, allora non è possibile parlare di “applicazione” di un modello clinico se non vi si affianca un di­scorso formativo serio e continuativo, dal momento che ricerca e forma­zione sono a loro volta intrecciati indissolubilmente. Attraverso una forma­zione-ricerca, dunque, si acquisiscono nuovi elementi e si potenzia la capa­cità di intervento non solo e non tanto di un singolo approccio psicotera­peutico, quanto di un corpus teorico-clinico comune, che si ponga alla base di qualunque operatività nel settore. Un modello formativo di carattere generale, che tenga conto dell’esigen­za di “scientificità” anche nel campo della psicologia clinica, dovrebbe ba­sarsi sia su criteri di congruenza interna che di congruenza esterna, tenendo cioè presente i risultati provenienti sia dalle proprie formulazioni, sia dalla psicologia di base, sia da altre discipline scientifiche attinenti. Moltissimi, ad esempio, sono i dati che ci sono giunti o ci giungono og­gi riguardo le percezioni, le capacità, i movimenti del neonato. Questi dati non possono essere ignorati da un modello clinico, che deve presentarsi comunque come teoria generale sulla personalità e includere quindi ipotesi e proposizioni precise sugli stadi evolutivi nell’infanzia. Una verifica dei risultati, e quindi delle proposizioni teoretiche, più che basarsi sullo sperimentalismo di tipo classico, impossibile nella complessa condizione relazionale di una psicoterapia, possono comunque fare affida­mento sulla falsificabilità e ripetibilità di ipotesi più generali relative alle fasi di un processo più che ai particolari irripetibili della singola vicenda indivi­duale.

Un possibile modello formativo generale potrebbe essere il seguente:

Nella pratica specifica della Scuola di formazione in psicoterapia funzio­nale e corporea abbiamo tentato di realizzare un collegamento costante tra modello terapeutico e modello formativo; ciò lungi dal confinarci in una realtà settoriale, ci ha aperto la strada per una serie di considerazioni gene­rali e di problematiche valide per ogni approccio clinico, e in definitiva per un corpus teorico clinico di base. L’ipotesi di fondo è stata quella di interconnettere più piani e livelli di esperienza e di rielaborazione come superamento della concezione lineare dei processi (la quale ritiene di poter far discendere dalla trasposizione pe­dissequa della terapia personale e dell’analisi didattica direttamente un cam­po formativo completo). Alla psicologia clinica si dischiude quindi, con l’apporto del modello funzionale e psicocorporeo, un campo di intervento e di ricerca che non è certamente ai suoi inizi, ma non è nemmeno conchiuso. Non si tratta di semplici tecniche o di particolari formulazioni teoriche, ma è proprio il senso più profondo e dinamico della relazione stessa ad essere chiamato in causa, con tutti gli accadimenti che intervengono sui vari canali e piani inte­rattivi, rispetto ai quali, come non è più possibile chiudere gli occhi, così non si può neppure saltare a empirismi o formulazioni inconsistenti, in­complete e prive di agganci scientifici con le altre discipline che studiano l’uomo e il suo complesso funzionamento. Potremmo concludere affermando che la psicoterapia funzionale più che essere un ennesimo modello, un altro dei tanti approcci, è una strada, una prospettiva di ampliamento e potenziamento degli strumenti terapeutici e psicosociali. Incontrando fenomeni e accadimenti prima inesplorati, o in­compresi, o comunque impossibili da studiare sistematicamente con altre metodologie cliniche, ne sono derivati nuovi problemi e interrogativi, ma nel contempo anche una nuova luce su una parte inesplorata del funziona­mento dell’uomo, della relazione interpersonale e di quella terapeutica. Dal modello funzionale poi sono giunti ulteriori impulsi a ristrutturare non tanto il singolo approccio terapeutico, bensì il campo intero della psicologia cli­nica. Lo stesso è accaduto man mano che teorie, formulazioni e modelli si ag­giungevano (o si separavano) a quelli iniziali. Nuovi tasselli si aggregavano al quadro complessivo via via che i vari approcci e le varie ipotesi di teorie della personalità illuminavano differenti aspetti della clinica psicologica, in relazione al benessere e alla sofferenza degli esseri umani. Forse adesso è iniziata la fase storico-culturale in cui è possibile mettere insieme i vari tasselli per costruire una scienza che aiuti efficacemente a su­perare il disagio, a ritrovare le condizioni di un vivere sano, di una mobilità e di una gioia che, anche se nel profondo, è possibile rintracciare in cia­scuno, come nucleo di base della esistenza perinatale. In fondo anche nell’area dello psicocorporeo si può dire superata la fase di contrapposizione tra tecniche corporee e tecniche verbali. La psicoterapia funzionale in tal senso è un obiettivo di ricerca e di intervento non ancora raggiunto, una proposta e un progetto aperti alla psicologia e al settore delle scienze umane in genere, in vista del superamento della fase dei tecnicismi e dei settorialismi. Ciò non significa ricadere nella genericità e nella arretra­tezza di formulazioni vaghe ed eclettiche, ma al contrario conservare pur sempre l’uomo come centro dell’attenzione scientifica, e la sua profonda presenza affettiva nelle costruzioni sociali che lo circondano. Solo mettendo l’essere umano come polo fondamentale della ricerca psi­cologica (più che le tecnologie e le metodologie, o le esigenze istituzionali e dei servizi) e dirigendo gli sforzi verso una convergenza dei molteplici mo­delli teorici, potremo affrontare la complessità che si riconosce oggi ai fe­nomeni della vita, della malattia, della salute, senza perdere in operatività, in capacità di agire e di intervenire concretamente per alleviare la sofferenza, o meglio ancora per consolidare e amplificare lo stato di benessere e di vitalità.