Psicoterapia Funzionale: Il progetto delle aree teoriche.

Istituto Italiano di Studi filosofici – Napoli, 1991.

PROGETTO: “aree teoriche della psicologia clinica e della psicoterapia.”

  • Il dibattito sugli aspetti costitutivi.
  • Processi di apprendimento.
  • Le radici ed i modelli culturali.

A un anno dall’approvazione della Legge sull’ Ordinamento della Professione dello psicologo è possibile oggi guardare all’insieme degli eventi, dei movimenti, delle discussioni, delle posizioni che hanno riempito la scena del mondo scientifico e professionale, sia negli anni che hanno preceduto il difficile varo della legge, sia nel periodo immediatamente successivo. Al centro della scena, argomento dei discorsi più accesi e delle polemiche più aspre, vi è il tema cruciale della funzione psicoterapeutica dello psicologo, e non certo per puro caso.

Vediamo brevemente le ragioni.

In primo luogo la funzione terapeutica si riconnette alla crescente e diffusa domanda di cura di una società che vive per la prima volta la prospettiva terrificante di un degrado ambientale a livello planetario, sull’orlo di una pericolosa soglia di irreversibilità. Forse è soltanto un coincidenza (o forse no) che tale condizione “catastrofica” si affaccia nella storia dell’umanità alla fine del millennio, con le relative risonanze profonde che queste scadenze hanno nell’inconscio culturale collettivo della psiche umana. Certamente la psicologia clinica non può e non deve identificarsi tout court con la pratica psicoterapeutica, possedendo orizzonti e contesti di ben più ampia portata: la posizione della Divisione Clinica della SIPs è stata a tal riguardo sempre esplicita e forte. Purtuttavia non bisogna dimenticare che anche le prime teorizzazioni cliniche sono nate come tensioni “curative” verso il disagio e il malessere, e che nel futuro del mondo della clinica si gioca una scommessa difficile, ma ineludibile, che ci viene lanciata dal crescente consumo di psicofarmaci nelle popolazioni di tutto il mondo: addirittura al primo posto assoluto tra tutti i tipi di trattamento farmacologico. Il terreno della terapia, dunque, rimarrà a lungo uno dei temi fondamentali della psicologia e della medicina, e quello della psicoterapia dovrà diventare, da teatro di scontro delle due branche della scienza, momento di confronto e collaborazione, così come oggi accade a volte, almeno a livelli periferici, in alcuni rami dei servizi sanitari o tra alcuni singoli professionisti.

Bisogna a questo proposito, però, ricordare che è proprio da un modello curativo che, almeno nelle sue linee essenziali, può nascere un modello efficace di prevenzione della salute fisica e psichica. Non possiamo non allinearci con l’interesse (che va oggi sempre più espandendosi) per una psicologia e una medicina della salute. Ma vorremmo a tal proposito accennare, seppur sinteticamente, alla crescente necessità di un’ottica multifocale che si muova comunque da un’idea centrale e conduttrice, al fine di poter affrontare in modo non paralizzante la complessità dei sistemi e degli organismi viventi e dell’uomo in particolare. Ci riferiamo all’acquisizione epistemologica più recente che richiede un quadro teorico di riferimento di tipo unitario, all’interno, all’interno del quale però è indispensabile potersi spostare (attraverso strumenti adeguati) da un piano di specificità all’altro, consapevoli scientificamente dei limiti che ciascun piano presenta nella comprensione del fenomeno a tutto tondo, nella sua interezza.

Così una teoria psicologico- clinica è fondamentalmente costituita da un filo rosso che conduce all’interno della struttura di personalità, fornendo delle ipotesi sul suo funzionamento. Ma al contempo, spostandoci da un livello di specificità ad un altro, sono le medesime ipotesi di base a trasfondersi e permeare anche un modello che dia ragione dello sviluppo evolutivo della mente e del comportamento durante l’infanzia, che fornisca una maniera di interpretare la rottura dell’equilibrio-salute e l’insorgere delle alterazioni e delle disfunzioni, nonché una presa di posizione sulle modalità di intervento curativo, e così via. In altri termini un modello clinico non può, a meno di scadere in mera tecnica empirica, non contenere al suo interno i nodi teorici essenziali che permettano di spostarsi a un parallelo modello evolutivo, a un paradigma dell’apprendimento e della formazione, a un modello eziopatogenetico, terapeutico, antropologico. A tal proposito un’altra motivazione dell’interesse che riveste il problema “psicoterapia”, oltre a quelle evidenti dell’urgenza con cui  esso si pone nell’attuale momento storico e scientifico, anche riguardo al riconoscimento formale della pratica e soprattutto della formazione in psicoterapia, è la seguente. Nell’ambito della storia della scienza un fenomeno abbastanza peculiare ha caratterizzato lo sviluppo della psicologia clinica e della psicoterapia: quello del fiorire di modelli e teorie differenti relativi alla struttura di personalità, alla patologia e alla cura delle sue alterazioni. Il procedimento clinico è quello dell’osservazione e dello studio del singolo caso all’interno del processo di relazione con l’osservatore, della situazione particolare nel suo senza l’evidente manipolazione che avrebbe procurato il metodo sperimentale classico. Eppure ciò non ha impedito il naturale sbocco (che è poi quello di ogni processo scientifico) in metateorie generali, che possano comunque avvalersi di proposizioni valicabili al di là del singolo, particolare, evento relazionale. Questa precipua commistione tra elementi soggettivi e oggettivi del campo clinico ha finito per produrre molteplici quadri di riferimento teorico, chye per un certo tempo si sono distanziati in linguaggi, settings, procedure e impostazioni epistemologiche separati. Successivamente, un certa “corsa” all’accaparramento dell’utenza (per la psicoterapia o per la formazione) si è innestata su questa condizione preesistente, amplificandola e aggravandola nel senso di una vera propria frammentazione, che ha raggiunto i livelli parossistici di un panorama di oltre 500 tra Scuola e Istituti. Negli ultimi tempi un modello del tutto nuovo poteva essere “inventato” dall’oggi al domani miscelando del tutto arbitrariamente elementi presi da più parti. Se questo è stato l’effetto negativo, dilatatosi negli anni in cui la legge è stata annunciata ma non giungeva ancora alla luce, dall’altra parte non si può negare che essa abbia accelerato una spinta ad una riflessione interna e ad un confronto tra approcci clinici differenti, fino a qualche anno fa ancora difficili e stentati. Certo siamo ancora agli inizi di questo processo complesso e articolato, ma le prospettive che si aprono, in termini di aumento delle conoscenze e sistematizzazione storicistica del susseguirsi dei vari modelli clinici, sono indubbiamente di grande interesse. Dunque un sistema scientifico che studia l’uomo, la sua psiche, il suo comportamento, il suo ammalarsi, ha visto fiorire molteplici indirizzi teorici con una ricchezza di posizioni, di idee e di ipotesi creative. Ma a differenza della filosofia, la psicologia clinica ha sempre dovuto fare i conti con la necessità pragmatica di interventi, curare, alleviare, modificare e, seppur in  minor misura  della medicina, misurarsi con i risultati. E questo ha spinto a riflettere profondamente sul fatto che non fosse sufficiente creare idee, ma che queste idee dovevano essere in qualche misura supportate da un ritorno operativo. Da qui dunque scaturisce l’evidente constatazione che, nonostante l’esistenza di centinaia di strutture psicoterapeutiche in Italia, non è possibile né sufficiente parlare solo di tecniche, ma bisogna ritornare ai sistemi teorici generali, che certamente non sono altrettanto numerosi.

Un dato interessante è emerso dall’inchiesta che la Divisione di Psicologia clinica ha realizzato gli scorsi anni sull’”Arcipelago” degli psicoterapeuti in Italia: per la maggioranza degli psicologi clinici la formazione si è svolta all’interno almeno di due modelli differenti, evidenziando l’insostenibilità di una separatezza totale tra differenti approcci clinici. Alla luce del dibattito attuale, dunque, si è andata sempre più rafforzando l’idea dell’esistenza di alcune fondamentali grandi aree teoriche della psicologia clinica, al di là delle differenze di correnti, di stili personali e di proposizioni o paradigmi che sono secondari all’interno dei modelli fondamentali. D’altra parte la riflessione epistemologica e storica, al contempo, sull’evoluzione dei modelli della psicoterapia, può aiutarci a comprendere quali siano queste differenti concezioni, e come si siano sviluppate l’una dall’altra, in una evidente continuità della ricerca (almeno nelle sue linee essenziali e portanti) e in un dibattito che poteva essere contrappositivo su taluni assunti di base, ma non del tutto incongruente. Un altro elemento, altamente significativo, scaturisce dalla riflessione epistemologica sull’insieme dei modelli teorici. Ciascuno di essi non può considerarsi un impianto del tutto separato e a sé stante, e tantomeno esaustivo relativamente all’inquadramento teorico della struttura della personalità. Non si tratta di ottiche interscambiabili ciascuna delle quali applicabile all’intero campo, né di sistemi che interpretano esattamente i medesimi fenomeni che sono alternativi l’uno all’altro. Siamo piuttosto in presenza di approfondimenti di aspetti parziali delle personalità e dei fenomeni di relazione. Possiamo dire che nel corso del procedere scientifico i ricercatori del settore si sono imbattuti in particolari aspetti dello psichico umano e questi aspetti hanno studiato, illuminato e interpretato con ipotesi specifiche e specifici concetti. Cosicché siamo di fronte non già ad una decina di teorie separate e contrappositive, ma ad una decina di ottiche differenti che hanno centrato la loro ricerca su zone differenti del campo clinico, pur in una inevitabile sovrapposizione di alcune parti periferiche, come altrettanti cerchi che in alcuni punti si intersecano. Da qui l’interesse a che tutte queste aree teoriche si sviluppino acquisendo più chiara consapevolezza di quali elementi abbiano centrato e di quali contributi ciascuna di esse può e deve portare alle altre: dalla psicoanalisi delle pulsioni a quelle delle relazioni oggettuali; dal modello relazionale-sitemico a gestaltico; dalla gruppoanalisi alla psicosomatica e alla psicoterapia corporea; dal comportamentismo al cognitivismo; dall’analisi transazionale alla terapia funzionale.

Il progetto che in tal senso si pone allora la Divisione di Psicologia Clinica, nel p

  1. Stimolare una ricerca e uno studio specifico e dettagliato sul riconoscimento e la delimitazione delle grandi aree della clinica, attraverso le formulazioni teoriche di base e i principi applicativi, visti in relazione alla nascita, allo sviluppo e alla alterazione dei processi psicofisici dell’uomo.
  2. Incrementare i processi di scambio e di interazione tra i differenti approcci clinici, quale base essenziale per un linguaggio comune fra gli operatori e per interpretare strade di ricerche nuove e fattive.
  3. Assicurare la pluralità della presenza delle differenti aree teoriche all’interno dei processi formativi, e in particolare: A) come informazione indispensabile per la conoscenza e per l’orientamenti, a livello dei corsi formativi di base (in particolare Medicina e Psicologia); B) come acquisizione tecnica nelle Scuole di Specializzazione universitarie post-laurea; C) come presenza multidisciplinare e multifocale nei Servizi Territoriali8;
  4. Avviare un dibattito culturale, scientifico e organizzativo all’interno della singola area teorica di riferimento, affinché l’intera area, anziché i singoli centri e istituzioni che ad essa si ispirano, si costituisca come polo di riferimento complessivo per l’istituzione di strutture formative nel settore, a livello nazionale. La proposta è quella di demandare all’intera area sia il dibattito sugli standards formativi, sia l’organizzazione delle scuole di Formazione (in collegamento o meno con l’Università) con il contributo di docenti, esperienze e conoscenze di tutti i centri e istituzioni che nel settore siano altamente qualificati. E’ in tal senso che viene anche recepita la formulazione dell’art. 3 della legge, come momento, cioè, che sancisce da una parte l’indispensabilità di un impianto di tipo “universitario”, e quindi della ricerca, all’interno delle Scuole di Formazione private, e dall’altro l’importanza dell’esposizione personale, e insieme degli approfondimenti e dei contributi che vengono direttamente dalle varie aree della psicoterapia.
  5. Nell’ambito della specificazione e dell’interpretazione di taluni controversi elementi della Legge sullo psicologo, la Divisione di Psicologia Clinica ritiene particolarmente importante e delicata la fase di applicazione dell’art 35 come impostazione generale relativa alla formazione in psicoterapia. Si ritiene significativo a tal fine puntare su un concetto di base e cioè che nella valutazione per il riconoscimento della funzione psicoterapeutica vengano preferiti criteri esclusivamente legati al livello qualitativo di una formazione specifica effettivamente svolta, e non a ruoli, titoli onorari, posti concorsuali, attività meramente didattiche ecc., che con l’attività psicoterapeutica possono avere a che fare solo, al limite, nel senso di una trasmissione cognitiva di conoscenze. L’altro rischio consisterebbe nell’identificare tout court l’operatività con i complessi processi do formazione, che invece necessitano assolutamente di tutte le seguenti fasi: attraversamento e trasmissione interiore, studio e acquisizione delle metodologie, tirocini guidati. Ed è perciò che dei cinque anni minimi che la legge prevede dopo la laurea per l’art 35, dovrebbe essere richiesto come requisito imprescindibile la presenza di un processo formativo (non importa se svolto in scuole di Formazione private, in Università o Servizi Territoriali) completo nel senso di cui sopra, e della durata di almeno 4 anni (se non 5). L’attività professionale dovrebbe essere stata svolta solo dopo aver terminato la formazione, e perciò dovrebbe essere considerata come requisito solo accessorio, perché addirittura controproducente se svolta nel periodo dei 5 anni dopo la laurea, senza ancora una formazione adeguata.
  6. La Divisione Clinica intende infine concludere il Progetto “Aree teoriche della Psicologia Clinica e ordinamento della Psicoterapia” portando a termine un’inchiesta sulla formazione, già in parte ideata dalla Commissione per le Scuole e la Formazione del precedente Comitato esecutivo. Il progetto prevede un aperto e proficuo momento interlocutorio con le scuole e gli istituti che in Italia si occupano della formazione in psicoterapia, senza sconfinare in un atteggiamento o intenzionalità benché minime di riconoscimento o di validazione della singola struttura. Lo scopo è invece, come del resto si evince già da altri passi di questo documento programmatico, quello di sollecitare l’intera area teorica ad una esplicitazione delle proprie radici culturali e scientifiche, dei modelli clinici di riferimento, delle connessioni utilizzate tra teoria clinica e formazione, delle metodologie adoperate sia in campo terapeutico che formativo. E ciò proprio allo scopo di utilizzare in pieno le esperienze e i livelli qualitativi degli istituti formativi (grandi o piccoli che siano nelle loro dimensioni strutturali), purchè scientificamente validi nell’attività di ricerca e negli standards raggiunti, al fine di puntare al rialzo e non ad un appiattimento delle realizzazioni e della psicoterapia nel nostro paese.