Psicoterapia Funzionale: La centralità della relazione.

II Convegno Nazionale AP-SIMP, – CNR, Roma, 1994.

Molte sono le nuove conoscenze che si sono sviluppate sull’infanzia, sul funzionamento del bambino molto piccolo, e tutte ci dicono che l’interazione con l’ambiente e con gli adulti è fondamentale per uno sviluppo positivo.


Il processo di individuazione, che ci accompagna per tutta la nostra vita, è di primaria importanza all’interno del mondo relazionale, della fitta rete di rapporti che noi abbiamo sin dalla nascita. L’incontro con gli altri è possibile proprio grazie alla individualità di ogni persona e alla identità di genere. di sesso. Nelle storie relazionali, nelle storie di vita è importante che non vadano mai perdute le singolarità, il corpo, la verità di ciascuno e di ciascuna. Non bisogna dimenticare che noi siamo nati da una madre e siamo sessuati, e cioè in un certo senso destinati all’incontro con l’altro. Ciascuno dei due sessi ha un suo limite proprio nella sua identità di genere. Ma il limite, secondo il “pensiero della differenza”, non va inteso come una povertà, e le persone non lo possono superare nella ricerca di qualcosa fuori di sé (metafisica o materialistica che sia), oppure, secondo altri modi di vedere, in un utopistico rincorrere il ricongiungimento con il grembo materno, l’originaria perduta “fusione”. Anzi, al contrario, possiamo incontrare l’altro arricchendoci e non annullandoci, se riusciamo ad evitare le tentazioni di possederlo o di esserne inglobati,. modalità che finiscono sempre per cancellare la nostra individualità. Attraverso un amore non possessivo, un’alleanza che riscopra un mondo in cui la ragione non schiaccia la natura ma anzi la esalta – dice Luce Irigaray – l’incontro tra un uomo e una donna, tra le differenze di genere, può creare un nuovo linguaggio del corpo, delle emozioni, dei sentimenti.: un diverso modo di “essere due”. Ma per andare nella direzione dell’utopia della Irigaray dobbiamo ritornare ad analizzare come nasce l’identità di genere nei bambini, come si sviluppa il processo di separazione o individuazione.

Ora, molte sono le nuove conoscenze che si sono sviluppate sull’infanzia, sul funzionamento del bambino molto piccolo, e tutte ci dicono che l’interazione con l’ambiente e con gli adulti è fondamentale per uno sviluppo positivo. E’ accertato che un neonato ha sin dall’inizio un contatto molto intenso con la madre, attraverso lo sguardo, il tocco, la voce. Sappiamo che il contatto fisico è fondamentale perché il neonato possa continuare a percepire in modo positivo la relazione con l’ambiente. Anche la psicoterapia corporea del resto (quest’area oggi così significativa della psicologia clinica), ce lo ha dimostrato, attraverso le esperienze accumulate in oltre 50 anni di pratica nella quale gli interventi diretti sul corpo dei pazienti sono andati sempre più intrecciandosi con il loro mondo emotivo, simbolico e cognitivo. Oggi sappiamo bene quanto sia importante; nella ricostruzione dei nuclei profondi della persona, recuperare le esperienze basilari del Sé: il calore, l’essere preso, il nutrimento, il potersi abbandonare all’altro, il poter “stare” senza doversi attivare, il senso di pienezza, il senso di continuità delle esperienze positive. Oggi sappiamo che tutti questi bisogni fondamentali vanno soddisfatti come un “fluire” ininterrotto di cui il bambino non deve preoccuparsi, non deve sentirsi responsabile, per non spezzare troppo precocemente la continuità della sua esistenza, del suo nucleo profondo. La psicoterapia corporea, attraverso una differente teoria del rapporto corpo-mente, di tipo circolare più che piramidale, nella quale la mente non domina dall’alto tutto l’organismo ma ciascun piano è pariteticamente connesso con tutti gli altri e tutte le funzioni sono integrate sin dall’inizio, ha messo l’accento sull’importanza di queste esperienze fondamentali per il Sé, neccessarie per mantenere l’integrazione durante lo sviluppo evolutivo. Quanto più i bisogni fondamentali sono soddisfatti nella relazione che il bambino e la bambina hanno con i genitori, quanto più sono “presi” e “tenuti” in un sostegno completo, tanto più facilmente e serenamente si svolge il processo di individuazione e separazione.

Del restø sia le esperienze della psicoterapia corporea (ricostruzione delle condizioni e dei bisogni arcaici attraverso la “regressione terapeutica”) sia le più recenti ricerche sull’infanzia ci hanno dimostrato che, al contrario di quanto si riteneva sino a ieri, le carenze di soddisfazione dei bisogni del neonato da parte della madre (o di chi svolge funzioni materne) non arricchisce per niente l’immaginario e il senso di potere del bambino. Anzi, ciò che accade è l’interruzione della catena ricordo- bisogno-immaginazione-soddisfazione (quest’ultima costituita essenzialmente da sensazioni corporee). Le immaginazioni non trovano più contatto con le sensazioni, si sconnettono, si impoveriscono; comunque finiscono per divenire angosciose, terrifiche, ripetitive, perché non prefigurano più la soddisfazione del bisogno, il piacere di qualcosa di positivo che arriverà. E anche quando la soddisfazione del bisogno giunge, molto spesso il neonato è oramai talmente spossato dal pianto, dalle angosce, da fantasie e sensazioni negative, che le sensazioni positive della soddisfazione sono irremediabilmente inquinate, intrecciate con queste ultime. E se l’evento si ripete molte volte questo intreccio finisce per restare, come è ben noto nella clinica, in maniera inestricabile e automatica anche nell’adulto. L’intera configurazione dell’organizzazione del Sé del neonato si altera, divenendo la base su cui finiscono per innescarsi future patologie. Del resto le esperienze di genitori che hanno cresciuto i loro figli con un rapporto affettivo senza riserve, che hanno dato loro molto contatto fisico, tenerezza, calore, vicinanza, ci dimostrano che questi bambini e queste bambine hanno una maggiore capacità di costruire la loro identità, hanno molta più facilità a separarsi dalla famiglia, e allo stesso tempo ritornano volentieri a contatto con i genitori in una relazione positiva ed elastica. Ne viene fuori che il processo di individuazione non deve consistere neccessariamente in una lotta dolorosa contro gli adulti, ma piuttosto in una possibilità di utilizzare serenamente quelle qualità e quelle caratteristiche genitoriali che ciascuno predilige. Anche il processo di costruzione dell’identità di genere, dell’identità sessuale, sembra poter essere differente da quanto si pensava prima. Le nuove conoscenze sulle capacità del neonato di interagire con l’ambiente, in modo molto intenso sin dalla nascita, sia affettivamente che sensorialmente che cognitivamente, ci hanno fatto scoprire che il neonato “assorbe” dal mondo esterno gesti, movimenti, comportamenti, e che utilizza tutti i canali (emozionali, motori, percettivi, mentali e simbolici) per l’espansione del proprio Sé, di ciò che egli comincia a riconoscere come “se stesso”. Questi bambini e queste bambine che hanno avuto un’infanzia “positiva” si costruiscono prima di tutto come persone, come esseri umani capaci di contatto, capaci di costruire e mantenere delle profonde relazioni affettive. E anche le differenze di genere in essi assumono caratteristiche meno marcate, meno stereotipate: sono meno imprigionati in giochi prettamente maschili o femminili, meno legati ai ruoli e ai comportamenti che la società destina a ciascun sesso. Di certo le bambine cresciute con queste diverse modalità affettive e protettive apprezzano il loro essere femminucce, sin da piccole, ed è difficile continuare a pensare nel loro caso a “ferite narcisistiche primarie”, a fantasie di castrazione, di perdita del pene, di vuoto doloroso. E dal canto loro i maschi sentono maggiormente la tenerezza come un valore comune, al quale non debbono rinunciare, e che anzi arricchisce la loro esistenza. Il punto critico diventa, casomai, comprendere quanto la pressione sociale esterna riesca poi a limitare queste mobilità e a relegarli nuovamente in ruoli stereotipati. Nei mammiferi (e in molte altre specie animali) ciò è molto evidente. La funzione materna, di protezione nei confronti del piccolo, di calore e amore, di soddisfazione dei bisogni fondamentali, è assoluta e perfetta perché geneticamente determinata. E non è detto che sia assolta solo dalla madre. Un ruolo specificamente “paterno”, invece, non esiste. Non è necessariamente il padre che insegna la caccia, la forza, o che incoraggia a sperimentare e affinare le varie capacità. Maschile e Femminile conservano, invece, entrambi, un senso specifico nella loro differenza: ma al di là di schemi culturali che hanno sempre privilegiato il potere maschile, la differenza non è certo nella forza, nel tipo di intelligenza, nella priorità dell’uno sull’altro. E nemmeno è nello stereotipo delle dicotomie attivo-passivo, teneroduro, ricettivo-intrusivo.

Certo loro il le sensazioni di un uomo e una donna sono diverse e i mondi interni (così come i loro corpi) lo sono. Anche tipo di attrazione per l’altro è, per questa ragione diverso; e forse, a voler semplificare, lo si potrebbe identificare come attrazione verso qualcosa che avvolge da una parte, e verso gualcosa che può entrare dall’altra. Ma questa resterebbe comunque una semplificazione troppo schematica, che non può rendere l’idea della ricchezza dei relativi vissuti. E risiede proprio in questa contraddittorietà la crisi attuale del maschio: nel sentire che i vecchi suoi ruoli non possono più reggere, ma nel non aver trovato ancora una mobilità che gli permetta di abbracciare in pieno caratteristiche ritenute sino ad ieri esclusivamente femminili: la tenerezza, appunto, la morbidezza, la dolcezza, e così via. Tutto ciò significa che la costruzione di identità essuaie non è biologica in senso stretto, né pUramente culturale, ma è basata piuttosto sulla congruenza tra differenti piani e aspetti del Sé: conoscenza razionale e consapevolezza del proprio corpo (differenze fisiche con l’altro sesso); valori attribuiti al maschile e al femminile nella famiglia (e più tardi nella società); immaginazioni e fantasie; sensazioni e percezioni fisiche; funzionamento dei sistemi fisiologici-biologici. Non è dunque da una condizione “neutra” e attraverso una contrapposizione e una lotta contro l’altro sesso che nasce la differenziazione. Essa va piuttosto intesa come “amore per se stessi” e capacità di valorizzare le proprie sensazioni positive. Ma maschile e femminile non significano direttamente paterno e materno. A ben vedere, anzi, non ha senso realmente nello sviluppo del bambino una funzione paterna ma solo una funzione materna.

D’altra parte anche la sessualità non è solo fisica, né solo emozionale, né solo immaginativa, ma si sostanzia del concorso di tutte le funzioni del Sé’, ed è tanto più positiva quanto migliore è la congruenza e l’armonia tra esse. Ora, nella realtà sociale del bambino e della bambina, dalla condizione primigenia della tribù, attraverso la famiglia numerosa con molteplici figure dì riferimento (una famiglia contenitiva), si è arrivati nella società odierna del mondo occidentale alla famiglia nucleare: soltanto i due genitori e i figli (a volte anche uno solo). La conseguenza più importante è che è venuta a trovarsi in primo piano la relazione tra le persone, anzicché la ruolizzazione rigida precedente. Ma se prima la madre non aveva tempo per tutti i figli, dovendo badare anche alla casa, e il padre teneva le distanze ed interveniva solo più tardi nel rapporto col bambino, in compenso numerose altre figure fornivano un contributo fondamentale alla funzione materna protettiva e contenitiva (nonni, sorelle, zie, governanti, ecc.). Dal matrimonio per convenienza, dal matrimonio per assicurare la continuità attraverso la prole, si è passati dunque alla coppia, che non ha altro scopo se non il rapporto affettivo, la relazione.

“Il re è nudo”.

Dalla tribù si è arrivati alla relazione duale, con al contorno una società che non solo non è più contenitiva ma invia continui segnali sull’esistenza di grandi pericoli all’esterno della famiglia, e con una tribù che non esiste più, cosi come non esiste più la famiglia numerosa e protettiva. Dunque l’influenza sui bambini è molto più diretta ed intensa, perché è senza mediazione la relazione tra genitori e figli. Ogni piccola carenza nell’accudimento diventa immediatamente una grave lacerazione della continuità di esistenza del bambino, una evidente mancanza di soddisfazione dei suoi bisogni. Non ci si deve meravigliare, allora, se si arriva a fenomeni che sono si estremi ma che ben rappresentano questo disagio precoce, come quello dei “bambini-killer”. La pratica clinica ci ha insegnato come il processo terapeutico risieda essenzialmente nella ricostruzione dei nuclei primari, della continuità del Sè. La psicoterapia corporea, e l’approccio funzionale in particolare, ci hanno mostrato come questa continuità si basi sulla conservazione della congruenza e dell’integrazione delle varie parti e funzioni (sensazioni, pensieri, emozioni, ecc.). Le conoscenze dei bisogni del bambino per uno sviluppo “sano” dunque le possediamo: sta a noi far si che nelle famiglie nucleari di oggi la relazione con il bambino sia veramente al centro dell’attenzione, che i genitori siano aiutati nel loro compito, che la società riprenda su di sé un ruolo di protezione nei confronti dell’infanzia.

Bisogna che l’identità si costruisca sull’accettazione e non sul rifiuto, e che si costruisca primariamente come una identità di persona, di un Sé integrato capace di dare amore, e che non sia costretto a sostituire ai bisogni primari insoddisfatti una continua vana ricerca di potere, di ricchezza, di violenza, di sopraffazione.